Come vestivano i poveri nel seicento e nel settecento? siamo sempre attirati dagli abiti dei nobili, che nel periodo barocco erano il 99 % della popolazione, ma la gente comune che rapporto aveva con gli abiti?
In questa pagina raccolgo divertenti paragrafi scritti da Francisco de Quevedo nel suo romanzo picaresco ' Il trafficone', che descrive, in modo divertente, quali erano gli espedienti escogitati dai gentiluomini, con pochi denari, per vestirsi.
A quei tempi vestirsi era molto complicato, ora gli indumenti costano poco e si trovano facilmente ma trecento anni fa gli abiti costavano tantissimo ed anche lavarli era un problema e causa di consunzione. Anche ago e filo non si trovavano facilmente come ora e bisognava essere sempre pronti a fare un rammendo. Ma soprattutto a differenza di oggi il vestito era una questione di status e gli abiti erano più complessi, non si poteva certo andare in giro in calzoni corti e ciabatte, come purtroppo molte persone fanno oggi; era necessario un decoro fornito almeno da un tabarro o mantello, gorgiera, stivali e cappello.
Filo e cucito tutti i giorni
Per quel che riguarda il vestiario, conosciamo a memoria tutte le botteghe di rigattiere; e come altrove ci sono ore fisse per le orazioni, cosi noi abbiamo un’ora stabilita per rattopparci. E bisogna vedere di mattina, cosa non risaniamo! Siccome consideriamo il sole nemico dichiarato, perché è lui che ci mette a nudo i rammendi e le toppe e le ricuciture, al mattino ci mettiamo a gambe larghe sotto i suoi raggi, e cosi nell’ombra che proietta in terra vediamo il profilo dei brindelli e delle filacce del cavallo dei calzoni, e con un paio di forbici facciamo la barba alle brache.
E siccome è proprio quella parte che si consuma di più, bisogna vedere con quanta arte togliamo l’imbottitura dal didietro per ripopolare il davanti; e sogliamo avere il fondo dei calzoni talmente sacrificato a forza di levare fette,‘ che il pita delle volte si riduce a pura fodera; ma è un inconveniente che soltanto il nostro mantello conosce, e stiamo attenti ai giorni di vento e a non salir scale troppo illuminate o a montare a cavallo. Studiamo posizioni contro la luce, e quand’è giorno chiaro camminiamo tenendo le gambe strette strette, e facciamo l’inchino piegando solamente le caviglie, perché se si aprono le ginocchia si scoprirebbero le finestre.
Il ciclo della vita degli abiti
'Sulle nostre persone, poi, non c’è indumento che non sia stato prima un’altra cosa e non abbia dietro di sé una storia. Vossignoria guardi bene questo giubboncello: prima era un paio di calzoni, nipote d’un mantello e bisnipote d’un tabarro, che ne fu il capostipite; e adesso attende di essere smesso per diventar solette e altre cose. Le pezze da piedi sono state in precedenza fazzoletti, e prima ancora asciugamani e un tempo camicia, flgliole di lenzuola; poi ce ne serviamo per fame carta, e sulla carta scriviamo, e poi la bruciamo per fame polvere e rianimare le scarpe: più d’una volta, e già in stato disperato, le ho viste rivivere con questo medicamento.'
Saper indossare gli abiti
'E che dire poi dell’abilita con cui ci teniamo lontani dai lumi, perché non si notino i mantelli calvi e i giustacuori imberbi? Sono più spelati di un ciottolo, e pare che la peluria il Signore cc la voglia far crescere sulla faccia e togliercela di sui mantelli! Cosi, per non sprecar soldi col barbiere, abbiamo cura d’aspettare che un altro di noi abbia un bel po’ di pelo addosso, e allora ce lo tagliamo l’un l’altro, secondo il detto del Vangelo: “Aiutatevi da buoni fratelli”.
Se ci prude da qualche parte quando siamo in presenza di dame, abbiamo le nostre arti per grattarci in pubblico senza che nessuno se ne accorga; se ci prude la coscia, raccontiamo d’aver visto un soldato trapassato proprio da parte a parte, e indichiamo con le mani ii punto dove ci prude, grattandolo, invece di limitarci a sfiorarlo; se siamo in chiesa e ci prude nel petto, battiamo il sanctus, anche se siamo appena all’introduzione; ci alziamo sulla punta dei piedi e ci appoggiamo a una cantonata come se volessimo veder meglio qualcosa, e cosi ci grattiamo.'
Lo spulcatoio
'.... Si tolse il mantello e vidi che sotto la sottana aveva un grosso rigonfiamento; pensai che si trattasse delle calze lunghe, perché l’apparenza era quella; ma poi, andando a spulciarsi, si tirò su la tonaca e m’accorsi che erano due rotoli di cartone che portava legati alla cintura e adattati attorno alle cosce; cosi facevano un bel vedere sotto la lunga veste di lutto, perché il nostro uomo non portava né camicia né calzoni. E non so proprio che bisogno avesse di spulciarsi, cosi poco vestito com’era.
Ad ogni modo entrò nello spulciatoio, e volta una tavoletta che era appesa lì fuori, simile a quelle che si usano nelle sacristie, dove stava scritto: “C’é uno che si spulcia”, in modo che non entrasse un altro. Ringraziai di cuore il Signore, nel vedere che dono ha fatto agli uomini, dando loro l’astuzia se toglie loro le ricchezze.'
Mai senza gorgiera
'Qualunque cosa può mancare ad un gentiluomo, signor dottore, ma la gorgiera inamidata no! In primo luogo per adornare la persona, e poi perché, dopo averlo rivoltato da una parte all’altra, ci serve a sostentarci, perché l’amido può servire da alimento, se lo si sa succhiare con un certo garbo.'