Pettinature, creste, cipria
All' inizio del diciottesimo secolo le acconciature sono alte come nell’ultimo decennio del Seicento e si porta ancora la cresta, che è considerata un ornamento signorile. Goldoni racconta nei suoi «Mémoires» che nel 1719 un bimbo dodicenne fuggito in un barcone da Rimini a Chioggia, e pur non avendo l’indirizzo di sua madre, fece presto tuttavia a trovarla.
Forse l’espressione di oggi «che cresta! » per dire: «che orgoglio, che aria» non si riferisce per traslato alla rossa cresta dei galletti ma a quella settecentesca acconciatura.
Dopo il primo decennio del secolo la pettinatura è ancora alta, ma semplice e senza ornamenti: soltanto due ciocche le danno movimento scendendo lunghe e sottili sulle spalle. Questa pettinatura, che con lo slancio della linea raccolta al sommo del capo e la morbidezza delle ciocche ricadenti affina l’ovale del viso e l’attacco del collo, acquista grazia aristocratica dal candore della cipria che si faceva aderire ai capelli unti con pomate. Verso il 1730 la pettinatura si semplifica raccogliendo in alto tutti i capelli.
Il monopolio della produzione della cipria a Venezia è ancora in mano di tal Bortolo Lucadello, che si vanta di averne introdotto l’uso nella città. La cipria più fine e più sana è quella di riso.
La pettinatura incipriata è incantevole e segue la linea del capo con i capelli leggermente ondulati e raccolti senza scriminatura. Come unico ornamento un mazzolino, o un solo fiore appuntato sulla fronte verso il lato sinistro.
Tuppé
Verso il 1770 già la pettinatura comincia ad alzarsi un poco sulla fronte. La moda dei capelli rialzati con un ciuffo sulla fronte è quella del tupé o tuppé, dal francese toupét, o ciuffo, di cui rimane il ricordo nell’espressione ha un bel tuppé, per significare faccia tosta, sfacciataggine, forse derivata dal fatto che il ciuffo alto dava un’espressione baldanzosa al viso ed era portato da persone giovani, ricche ed eleganti.
Maria Antonietta
La moda della pettinatura esageratamente alta viene dalla Francia. Maria Antonietta si lascia acconciare da Léonard, che una sera propone i capelli rialzati artificiosamente più di mezzo metro sul capo. Léonard lancia anche la moda di frammischiare ai capelli sciarpe di velo che ornano con le cocche sbuffanti i cosidetti poufs, ossia le acconciature imbottite con un cuscinetto di crine. In tutta la Francia, e si può dire in tutta l’Europa, si segue la folle moda.
La regina di Napoli, sorella di Maria Antonietta, incarica Léonard di mandarle delle bambole acconciate di sua mano, per essere al corrente delle nuove mode; ma timorosa che i parrucchieri napoletani non siano abbastanza iniziati a tutte le finezze del gusto francese, ottiene dalla regina di Francia che Léonard venga di persona ogni anno a Napoli ad acconciarla e riveli i misteri della sua arte.
Per tenere alti i capelli il tuppé ha una armatura di filo metallico, tanto che un professore dell’Università di Padova propone ironicamente di fornire di parafulmini le teste femminili per salvarle dal pericolo della saetta.
Le strutture per sollevare i capelli diventano sempre più complesse e alte, frammiste di odori ed oli per tener in piega i capelli e saldi gli oggetti di decorazione. Ai tempi non esistevano efficaci zampironi e per tener a bada gli insetti, attratti dalle folte capigliature, si usava mettere nei castelletti un piattino che alcune dame riempivano di sangue e miele per evitare che i parassiti andassero in giro per la testa e ronzassero attorno al viso.
A destra l'interno di una acconciatura in cui si vede l'armatura in ferro, l'imbottitura e un piccolo piattino sopra la testa in cui si mettevano odori o sostanze per i parassiti.
In Italia prevale una linea di moderazione, sebbene si ricordino dei tuppé dai più stravaganti nomi e dei più strani modelli: tuppé a piramide, a ventaglio, a paniere, a martello, à la Montgolfier, à la Susanne, la noblesse, à la laitiére. L’acconciatura diventa uno studio per meravigliare gli altri, sfruttando persino la cronaca del giorno e la manifestazione dei propri sentimenti pur di attrarre l’attenzione.
Parrucche
In alcuni periodi del Settecento anche le donne portarono le parrucche. A Venezia nel 1725 fu l’esempio di due grandi dame inglesi, viste alla Scuola di San Rocco coi capelli tagliati e un parrucchino in capo, che convinse le veneziane a seguirne l’esempio. Da questi parrucchini tondi derivarono quelli a grossi ricci che rimasero appannaggio delle donne anziane, mentre le giovani adottarono capelli legati in forma di coda con un nastro. Verso la metà del secolo, con la moda delle pettinature semplici, la parrucca è spodestata. Ma verso la fine del Settecento anche la pettinatura a cignone dà luogo a una forma di parrucca con ben quindici canne di treccia, e cosi pure il tuppé può essere innalzato su una parrucca.
La cuffia
Grande importanza ha di nuovo nel Settecento la cuffia, che da due secoli era quasi scomparsa, come oggetto non d’uso ma di eleganza. Già al principio del secolo la Relazione delle mode correnti, uscita il 12 maggio 1703, segnala: Quattro sorti di scuffie usansi oggidi, oltre a quella da coprire, e chiamansi di parata, alla Tignon, da notte, e a batiloeg che vuol dire battilocchio: chi è a due ordini e chi a tre, quali con le code e quali senza; tutte però guernite di pizzi finissimi e nastri longhi e larghi, ma solamente appuntati con le spille, e non più inramati.
Dalla commedia del Goldoni Le smanie per la villeggiatura abbiamo testimonianza che le cuffie da giorno e da notte si facevano fare anche in casa da quelle scuffiare o conzateste. Trovare una buona scuffiara che accontentasse la cliente non era cosa facile: Rosaura ne La Donna volubile dichiara che non si servirà più della sua, perché la cuffia le sta malissimo, e non si confà per niente all’aria del suo viso, e la fa parer brutta.
Credits: le foto qui pubblicate sono di proprietà di Atelier Gluck Arte e sono state realizzate in occasione della mostra "Maria Antonietta: l'ultima Regina" a cura di Enrico Ercole e Luise Tschabuschnig.
E' vietata qualsiasi riproduzione non autorizzata.