Tra il 1684 e il 1686 la corte parigina si era accesa di ammirazione per due memorabili ambascerie provenienti dal Siam, che avevano scatenato entusiasmo principalmente per la magnificenza dei costumi; ancor più splendida la seconda, del 1686, che aveva recato, tra i molti doni, ricchi ricami cinesi dalla vivace policromia. La Cina stava diventando di moda con le sue architetture, i suoi giardini, i suoi temi decorativi. Nel 1665 era apparsa la traduzione francese del dettagliato rapporto di un’ambasciata olandese a Pechino, scritto da Johan Nieuhoff e illustrato da incisioni; tradotto in inglese e francese, il libro “fissò l’immagine del Catai nella fantasia degli Europei”. L’arazzo raffigurante “L’udienza dell’Imperatore” della serie Tenture chinoise eseguita dalla manifattura di Beauvais agli inizi del Settecento, derivava dal frontespizio del libro; la serie venne ripetuta così tante volte che nel 1732 i cartoni risultavano sfruttati al punto da non poter essere riutilizzati di nuovo. Si innescò anche la frenesia di collezionare manufatti cinesi; il conte di Chaulnes collezionava molti costumi, maschili e femminili, riferiti a personaggi di alto rango. L ’inventario delle raccolte del cardinale Mazzarino includeva, nel 1653, “dieci pezze di sargia di seta... di tipo cinese fabbricata a Parigi”.
Mix di stili
Le suggestioni dell’Estremo Oriente infiammarono di nuove fantasie e desideri il gusto per l’esotico, dando corpo a una “cineseria” in cui elementi europei, legati al barocco e al rococò, si mescolavano a capricci e invenzioni che combinavano e confondevano spunti indiani, cinesi, giapponesi, oltre che turchi e persiani, in una formulazione squisitamente europea per linguaggio e contenuti.
Oriente idealizzato
Colpito dalla forma di governo cinese, Nieuhoff aveva notato il ruolo preminente dei filosofi nel regno e la sorprendente reverenza loro tributata anche da parte della corte. Questo tipo di informazioni a livello più divulgativo, assieme all’interesse suscitato tra gli studiosi europei dalla traduzione delle opere di Confucio curata dalla Compagnia di Gesù, portò a una visione idealizzata della Cina come paradiso di saggezza, libertà e sapienza. Voltaire soggiacque a questo entusiasmo, ritenendo che l’organizzazione dell’impero cinese fosse “veramente la migliore che il mondo abbia mai visto”. I mondi lontani apparivano incontaminati, “innocenti” e veri come i paesaggi inesplorati in cui si trovavano immersi; una semplicità antica che si trasmetteva alle vesti. Di queste, suscitava soprattutto ammirazione l’immutabilità nel tempo, il perpetuarsi di forme e ornamenti tradizionali di generazione in generazione. Stupiva e incantava i colti europei, condizionati da abbigliamento profondamente marcato da segnali di status, come i potenti vestissero della stessa foggia dei sudditi. L’abito indossato dal Gran Mogol era lo stesso usato dagli abitanti nel suo vasto impero.
Il teatro
Sul finire del Seicento, la cineseria apparve sulle scene parigine con Les chinois, opera recitata da commedianti italiani, dove la componente cinese era Arlecchino, vestito da dottore cinese, che usciva da uno stipo cinese. Il teatro rappresenta un tramite importante per il passaggio di tracce del gusto esotico al gusto vestimentario europeo, assieme alle mascherate, passate in gran voga presso le principali corti europee. Attraverso il teatro e le maschere passava la coscienza di costumi originali che, indossati dalle maschere, divenivano familiari a certi ambienti in grado di apprezzarne differenze vantaggiose rispetto alla rigida architettura delle vesti formali. Si avvia un nuovo filone della rappresentazione pittorica: il ritratto in costume esotico.