Abiti all’amazzone
La raffinatezza del Settecento si rivela nella appropriata diversità dei vestiti secondo l’occasione in cui vanno portati. Nei corredi eleganti non mancano per esempio gli abiti di quel carattere un po’ maschile e militaresco che rende queste vesti adatte al loro scopo, almeno per il gusto settecentesco, anche se sono ricche di ornamenti.
Abito da viaggio, spolverina
Per viaggiare in diligenza si usano speciali abiti da viaggio. Il duca Rinaldo di Modena che cerca di conciliarsi in tutti i modi l’animo della regale nuora, venuta con riluttanza dalla splendida Corte di Francia a quella provinciale degli Estensi, ordina al suo ambasciatore a Parigi di comperare per lei un vestito da viaggio, e quello sceglie una stoffa ricca ma leggera eseguita su disegno apposito, e un pizzo di Spagna ricchissimo per ornarla. Sebbene a noi possa parere strano, le guarnizioni abbondano anche su questi vestiti, come risulta dal corredo di Elisabetta Grimani: camelotto di seta per abito di viaggio bz. 20 a L. 7,15 = L. 155, guarnizioni dell’abito di viaggio L. 154, per fattura e spese del medesimo L. 110. L’abito da viaggio però non bastava e ci voleva la spolverina che, nello stesso corredo, è scelta di color cenerino e ampia perché si impiegano 21 braccia di stoffa per un prezzo totale di L. 147.
Andrienne
Il vestito settecentesco per eccellenza è l’andrienne, che si afferma come novità elegante subito dopo i due primi decenni. Il nome viene dalla commedia Andrienne di Baron recitata per la prima volta a Parigi il 6 novembre 1703: l’attrice principale, Marie Carton Dancourt, vi apparve appunto vestita con questa foggia che incontrò subito larghissimo favore. L’andrienne, pur allargandosi pomposamente su cerchi sempre più ampi, ha una grazia meno civettuola ma più morbida del mantò, artificiosamente rialzato e drappeggiato. Scende diritta fino a terra; aderisce al busto lasciando ampiamente in vista la profonda scollatura, ma dietro ha una larga falda a pieghe che scende fluttuante dalle spalle senza aderire in vita, per allargarsi infine mollemente in un amplissimo strascico. Il Vocabolario della Crusca afferma che al principio del Settecento l’andrienne, come il mantò, era aperta davanti, chiudendosi poi verso la fine del secolo. La linea ondeggiante dell’andrienne si vale di tessuti morbidi ma di tipo diversissimo, sia ricchi sia modesti; anche gli ornamenti sono appropriati ai diversi usi.
Belletti
Quando guardiamo i ritratti femminili settecenteschi spesso rimaniamo stupiti della bianchezza gessosa dei volti, che viene di solito attribuita alla gamma coloristica troppo fredda di certi artisti. Forse sarebbe più esatto rifarsi alla moda del tempo che comandava alle donne di imbellettarsi il viso con biacca o cerusa, velenosa all’organismo e nociva alla carnagione perché contenente piombo. La cerusa dà appunto al viso quel bianco spettrale che rende le fisionomie del tempo più simili a freddi volti di fragili statuine di porcellana che a visi di persone vive.
Brunswick
Il Brunswick è un completo in due parti che si afferma attorno al 1740. E' composto da un giacchino abbottonato sul davanti simile al pet en l'air ma privo di scollatura e dotato di un cappuccio e da una gonna abbinata. Le maniche del giacchetto sono divise in due parti, per poter essere indossate a 3/4 o a manicha lunga (sotto le engangeants si poteva fissare una prolunga della manica). Sulla base di un modello tedesco si diffonde in Francia, Inghilterra e Stati uniti soprattutto come abito informale e da viaggio.
Busto, corsetto, camisola
Tradizionale capo di vestiario è invece il busto, di ricche stoffe assortite al sottanino, che ora approfondisce la secentesca scollatura ovale in una audace apertura ampiamente quadra o rotonda. La sua linea aderentissima stringe spietatamente la vita nella morsa di fitte e robuste stecche di balena o di asticelle di ferro, inserite nel doppio strato della forte fodera di tela. In questo modo il seno è spinto in alto assumendo un risalto procace.
Caraco
La moda inglese introduce intorno al 1780 in Francia l'uso dell'abito da giorno spezzato giacca+gonna per le donne. Si affermano quindi delle giacchette corte e attillate dette pierrot o caraco, con le maniche strette a ¾ o lunghe ai polsi, a volte a doppio petto. Potevano avere un volant intorno alla vita o una piccola coda sul retro.
Chemise "à la reine"
Dopo la prima gravidanza Maria Antonietta abbandonò lo stile sovraccarico e fasciante dei ricchi abiti di corte per lanciare la moda della chemise, una leggera camicia spesso in mussola dalle linee morbide con ampie maniche sbuffate, fermata in vita da un'alta striscia di raso. Questa mise, con cui la regina si fece più volte ritrarre dalla pittrice di corte Vigèe-Le Brun, destò scalpore per la sua indecenza, ma divenne di gran moda.
Circassienne
Abito di ispirazione esotica simile a quello alla “polonaise”, ma molto più gonfio. In Francia cadde in disuso verso il 1775 mentre in Inghilterra sopravvisse diventando molti più semplice e scivolato. Era un abito da te, di uso domestico. Con questo termine viene indicato anche un tipo di maniche a ¾ ornate da numerose ruches e arricciature che gli conferiscono la tipica forma rigonfia “a palloncino”.
Circassa, russiana, fodero
Probabilmente variazioni dell’antica zimarra. Pellicce e guanciali di fogge straniere erano la circassa e la prussiana. Il nome di fodero e quello stesso di pelliccia o di pelisse potevano esser dati a eleganti soprabiti di tessuti pelosi o leggermente ovattati. Il vestire leggero e gaio del Settecento non dà molta importanza alle pellicce; nei corredi più lussuosi se ne trovano però ancora in buon numero. Appaiono anche per la prima volta le martore del Canadà.
Cerchi, guardinfante, imbottiture, corico
Tanto aderente è il busto, quanto ampia la sottana. Se con il sottanino si portano semplici imbottiture, il guardinfante e l’andrienne si stendono sui cerchi che sono di vimini o di ossi di balena, attaccati a una certa distanza, da fettucce passate verticalmente.
E non era un'esagerazione se nella commedia goldoniana «Le Femmine puntigliose», rappresentata per la prima volta nel 1750, la contessa Clarice non potesse sedersi a causa del guardinfante che non entrava fra i bracci del seggiolone offertole da Rosaura. Per confezionare uno di quegli abiti, come Clarice stessa racconta, ci vogliono 24 braccia di stoffa a tre zecchini il braccio (circa 14 metri e mezzo). Naturalmente queste proporzioni esagerate non sono esenti da critiche e proteste, tanto da parte di donne più semplici come di uomini sensati. Con una certa realistica ironia, a Milano l’abbigliamento con i cerchi, dapprima usato soltanto a corte, poi anche comunemente, viene chiamato corico, con il nome abitualmente dato all’arnese in cui si mettono i bambini perché imparino a star ritti e a camminare.
Cantusciu
Variante palermitana dell'andrienne. Il Pitrè, sulla testimonianza dei viaggiatori del tempo, precisa che il cantusciu è una veste di lusso, composta di drappi a colori, lunga e ristretta alle maniche; particolare esatto che di solito non è messo in rilievo nella descrizione di questa veste settecentesca, e che invece nettamente la distacca dalle mode del passato.
Casacchino, cotus, petanier
La disinvolta grazia dell’abbigliamento settecentesco si afferma anche nelle corte giacche più o meno aderenti al busto da indossare unite a un sottanino. In principio del secolo le troviamo ricordate con il nome di casacchini. Il cotus compare in una legge veneziana del 1749 come sinonimo di petanier: ne viene proibito l’uso a chi va in chiesa, poiché questo tipo di abiti troppo sconvengono alla santità del luoco et a quella riverenza che gli si deve palesare anco colla compostezza del vestito. Ancor più succinto doveva essere il petenier, che deriva il suo nome da quello francese, improntato a un realismo piuttosto crudo e sguaiatello di pet-en-l’air (petto all'aria), allusivo appunto alla corta misura della falda. Ma le buone dame veneziane e gli stessi legislatori non sembrano essersi resi conto del significato originario del nome.
Enfant
Pettinatura che prevede una cotonatura ampia e morbida dei capelli, tagliati corte ad esclusione di ciocche più lunghe che ricadono sulle spalle arricciate in boccoli. Potevano essere usati posticci per infoltire la cotonatura e aumentare il volume, ma raramente veniva usata cipria sull'enfant. Fu adottata da Mia Antonietta dopo la maternità, quando abbracciò uno stile più sobrio e comodo rispetto al passato. Si fece ritrarre spesso con i capelli acconciati in questa foggia dalla pittrice di corte Vigèè Le Brun.
Gorgera
La gorgera è uno degli elementi più caratteristici della moda a cavallo tra Cinquecento e Seicento. Di ispirazione spagnola, si diffuse in tutta Europa. In italia fu introdotta dall'Infanta Catalina, figlia di Filippo secondo andata in sposa a Carlo Emanuele I di Savoia.Poteva raggiungere dimensioni notevoli e il suo scopo era quello di mantenere la testa e il mento più alti possibile, per conferire a chi la portava un aspetto altero e un portamento rigido e aristocratico. Si veniva così a creare un “distaccamento” ben evidenziato tra la testa, sede del pensiero e degli impulsi vitali, e il resto del corpo. In Spagna le gorgiere erano chiamate “legugillas”. in Italia “lattughe” e in Francia “fraises”.
Il bianco della gorgiera era richiamato dai polsini e dagli sbuffi bianchi delle camicie che fuoriuscivano dalle maniche tagliate delle giacche.
A fianco i passaggi per realizzare una gorgiera elisabettiana: sono necessari un collarino ed una altra stricia di tessuto. Il tessuto viene piegato cucito nelle pieghe e cucito al collariono dopo esser stato stirato ed arricciato da un ferro. Infine viene posto su una intelaiatura di ferro che serve per tenere in posizione la gorgiera.
Fichu
piccolo scialle di forma triangolare in stoffa leggera o pizzo che veniva portato sulle ampie scollature degli abiti à l'anglaise e rappresentava un accessorio indispensabile per la moda di ispirazione "pastorale" che si diffuse in Francia nella seconda metà del XVIII secolo. Poteva essere inserito nella scollatura, allacciato sul davanti o incrociato sul seno e annodato dietro la schiena.
Fontange
la duchessa Angelique de Fontanges, favorita di Luigi XIV, durante una battuta di caccia rimase impigliata in un ramo che spettinò la sua acconciatura. Per non rimanere discinta al cospetto del sovrano usò la sua giarrettiera di pizzo per legare in alto i capelli. Era nata la fontanges, che nel giro di pochi anni si sarebbe trasformata in un'imponente impalcatura di pizzo inamidato montato su sostegni in metallo che svettava dai capelli raccolti in piccoli ricci sulla sommità del capo. Alla fine del XVII secolo la Fontange poteva raggiungere anche i 50-60 cm di altezza ed era spesso completata da un velo e code di pizzo laterali.
Lévite
ampio e morbido soprabito di ispirazione esotica in voga in Francia intorno al 1780-90, veniva indossato sulla chemise a la reine.
Mantelletto, mantiglia
Con il cappuccio erano talvolta anche i mantelletti che potevano essere graziosamente ornati di nastri. I tessuti usati sono generalmente di seta e leggeri: satin o taffettà. Le mantiglie invece erano usate in estate, leggere ed elegantissime, oppure foderate di pellicce preziose per l’inverno.
Mantua o Mantova
Probabilmente trae nome dalla città italiana dove venivano tessute molte delle ricche stoffe con cui spesso si realizzava questo modello in voga nella seconda metà del XVII secolo. La sua caratteristica è che il corpetto e la "sopragonna" (ovvero il manteau) venivano tagliati dalla stessa pezza di stoffa e costituivano un corpo unico. Il manteau, che era quasi sempre dotato di uno strascico, veniva rimboccato e fissato sul sedere, a formare un effetto drappeggiato che mostrasse la ricca fodera a contrasto.
Sotto il manteau non venivano indossati sostegni, ma molte sottogonne per dare volume al tutto e verso la fine del secolo, dei "sederotti" imbottiti detti bouffantes. Le maniche scendevano poco sotto il gomito, bordate da una profusione di pizzi detti engageantes. Non un centimetro di pelle doveva essere scoperta e gli avambracci erano sempre protetti da lunghi guanti in seta.
I tessuti scelti per il manteau erano pesanti broccati o velluti operati dai colori sgargianti, mentre la sottogonna era realizzata in un tessuto a contrasto e infarcita di trecce, fiocchi, nappe e passamanerie d'ogni tipo.
Mantò, sottanino, cotolo
Quanto alle fogge del vestir femminile del Settecento si vedono al principio del secolo ancora il mantò e il sottanino detto a Venezia anche cotolo.
Matelota
Foggia speciale di sopravveste era invece la matelota, che deriva il suo nome da matelot e doveva avere qualche somiglianza con le vesti dei marinai, probabilmente per le maniche lunghe e diritte.
Nei
Indispensabili per completare il trucco, già apparsi nel Seicento e ora sempre più di moda, i nei erano di velluto, di raso, di taffettà e altri materiali. I nei assumevano un significato simbolico diverso a seconda della loro posizione, e la mosca sul naso ebbe il nome di sfrontata, all’angolo del l’occhio di passionata , di civetta e di galante sulle labbra o sulla pozzetta, di irresistibile accanto all’occhio, di maestosa nel mezzo della fronte e di assassina all’angolo della bocca. I nei erano provvisti, al rovescio, di una gomma leggera; cosi che, inumiditi, aderivano alla pelle. Il cicisbeo li aveva sempre pronti per la dama in un elegantissimo scatolino.
Pet en l'air
Giacca corta che presenta sul retro lo stesso taglio “a mantello” dell'andrienne. Veniva indossata su una gonna di stoffa a contrasto ed era considerata una tenuta informale, da giorno.
Piece d'estomache o stomacher
Con la nascita dell'abito detto Mantua nella seconda metà del XVII secolo nasce anche il concetto di pièce d'estomache. Ovvero un triangolo di stoffa irrigidita con un anima di teletta che veniva applicato sul petto nell'apertura lasciata dal manteau per coprire il corpetto. Erano riccamente ricamati ed ornati. Considerati il cuore dell'abito per tutto il '700, erano staccabili per poter essere “montati” su più di un vestito. Intorno al 1740 si diffuse la moda di riempirli di fiocchi di misure digradanti.
Pouf
Acconciature altissime e complicate lanciate da Maria Antonietta e dal suo parrucchiere personale Leonard. Su sostegni e alte intelaiature di fil di ferro dette "castelletti" i capelli naturali e artificiali insieme vengono stirati fino a ricoprirli tutti. Il pouf era poi completato da file di boccoli laterali, trecce e code sul retro e cuffie o miniature sulla sommità dell'acconciatura che poteva raggiungere anche il 60 cm.
Le miniature, fermate tra i capelli con spilloni o con creme e mastici naturali, si ispiravano alle stagioni, agli elementi naturali, ma anche ad eventi di attualità come le calamite che molte dame sfoggiarono tra i capelli ispirandosi agli esperimenti magnetici di Mesmer o il veliero detto "la belle poule"con cui Maria Antonietta celebrò nel 1778 la vittoria del veliero francese sulla fregata britannica Aretusa nell'ambito della guerra d'indipendenza americana.
Rossetti
Con un raffinato senso del colore, variavano a seconda del tipo fisico: esistevano infatti rossetti per le bionde diversi da quelli per le brune, in diverse sfumature o semplicemente di delicato color di rosa; tuttavia una curiosa Biblioteca da Toeletta pubblicata su di un almanacco settecentesco ne ricorda anche di carminio e di fuoco. Del resto i rossetti, che potevano essere in manteca o in polvere e a volte si dicevano di origine forestiera, erano in scarso numero in confronto alle acque e alle pomate. Come nei secoli precedenti, oltre ai lisci e ai belletti si usavano, ed erano forse meno deleterie, acque che non sempre erano essenze profumate, ma più spesso distillati per abbellire la carnagione come l’acqua canforata, di citriuolo, di lattuga.
Scollature, maniche corte, strascico
Nei primissimi anni del XVIII secolo le vesti sono ancora tagliate in tondo, ma già nel 1712 si usano assai corte davanti così da scoprire interamente lo scarpino, mentre dietro si allungano in certi strascichi tanto esagerati che bisogna appuntarli o farli reggere da un servitore. A Milano nel 1769 un Editto, nel suo piatto stile curialesco, vieta alle donne non nobili di farsi sostenere lo strascico, ossia code agli abiti. In pieno secolo dei lumi si stabiliva cosi, come in molti altri casi, un vistoso privilegio che inorgogliva le dame e umiliava le donne borghesi.
La dama doveva però saper sedere destreggiandosi con grazia, facendo vortice di sé medesima perché la coda ruotasse intorno alla persona e le lasciasse la possibilità di accomodarsi liberamente sulla sedia o sulla poltrona. Questa moda durò sessant’anni e fu causa di spese enormi. Un anonimo francese può dire ironicamente che con la coda di un abito femminile se ne sarebbe potuto fare un altro. Una donna ha due abiti: uno lo porta e l’altro lo strascina. Trenta donne passeggianti in piazza S. Marco la scopano cosi bene, che l’opera degli spazzini diventa inutile.
Come già nel pieno Seicento, la moda impone braccia nude fino al gomito e amplissime scollature; queste ultime danno occasione, complice il contegno femminile più libero e sciolto, a esibizioni assai più indiscrete che in passato: succede così che un esperto cavaliere, ritto di fianco a una giovane sposa intenta al gioco, le domini «dall’alto i pregi ascosi» meditando in cuor suo «future imprese».
Tabarro, tabarrino
Dalla moda maschile le donne prendono il tabarro rotondo e ampio, spesso con pellegrina sulle spalle e bavero rivoltato, che nel modello più comune scende poco oltre il ginocchio, mentre il tabarrino è più leggero e più corto. L’elegante patrizia veneziana, nel suo compiutissimo corredo, ha tre tabarri: due di cambellotto, dei quali uno con ricamo d’oro e l’altro con galloni d’argento, e un terzo di «nobiltà» ricamato, e ha pure tre tabarrini oltre a quello già ricordato da viaggio, diversi per il tessuto e per le guarnizioni.
Veste alla Turca, polacca
È ben difficile stabilire perché, dopo il 1780, le sopravvesti di levitica o pierotta aperte davanti fossero chiamate sul Giornale delle dame vesti alla Turca, se non per un richiamo agli avvenimenti politici (la Turchia era allora in guerra con la Russia). L’ascensione al trono di Francia della timida Maria Leszczynska, figlia del re di Polonia Stanislao, e la Guerra di Successione Polacca che coinvolse la Francia, giustificano la moda della polacca. Anche questa moda non arriva da noi direttamente dai paesi d’origine, ma come il più delle volte attraverso la Francia. In quella grande fucina di Parigi, dove si fondono e si aguzzano capricci e desideri donneschi a fronte di ponderate se non sempre ben informate leggi civili, è facile rendersi conto della continua assimilazione, trasformazione, esaltazione di fogge usate nel passato o in ambienti particolari; tra queste la levitica, forse ispirata dal successo delle grandi opere sceniche di carattere biblico o più semplicemente dalle vesti dei preti, diritte e abbottonate davanti.