L'architetto messinese Filippo Juvarra arriva a Torino nel secondo decennio del Settecento. I lavori di ristrutturazione e ammodernamento della città sono già in corso con continuità e su vasta scala da più di un secolo, sollecitati dai sovrani sabaudi, in ossequio a quel ruolo di capitale che nel 1563 Emanuele Filiberto le aveva decretato. Con Guarino Guarini, Torino aveva assunto una fisionomia barocca e all'avanguardia.
Juvarra entra al servizio di Vittorio Amedeo II nel 1714, avviando un'attività che proseguirà fin quasi alla morte; un'attività che s'inserisce nel vivo di una situazione, ma con un piglio e un tono che inaugurano davvero il nuovo secolo. Nato nel 1678, Juvarra comincia la sua formazione presso il padre, che e' orafo. L'educazione successiva è soprattutto romana e si compie, a partire dal 1703-04, nello studio dell'architetto Carlo Fontana. Questi lo esorta a rimeditare tutta la storia dell'architettura: studia così il Rinascimento, Michelangelo, il Barocco e l'antichità classica, come attestano i numerosi schizzi nei quali appunta le sue osservazioni.
A Roma Juvarra esordisce anche come scenografo approntando tra l'altro, a partire dal 1708, diverse scenografie per il teatrino del cardinale Ottoboni, al cui circolo arcadico e' strettamente legato. Inoltre la vincita del Concorso Clementino, il concorso architettonico dell'Accademia di San Luca, gli conferisce uno straordinario prestigio. Nei fogli juvarriani del periodo romano si trovano progetti per architettura e apparati effimeri, capricci scenografici, vedute che singolarmente si legano per limpidità luminosa a quelle del Van Wittel detto Vanvitelli, che del resto conosce di persona. Ma la sua vera attività di architetto la esplica soprattutto in Piemonte, nella capitale e nei dintorni di essa.
Quando giunge a Torino nel 1714 è già famoso in tutta Europa in particolare come scenografo. L'esperienza nel teatro gli ha insegnato soprattutto la dimestichezza con tutti i trucchi prospettici e gli effetti di luce esistenti. Allo stesso modo, non ha nessunoscrupolo a collegare stili e forme espressive differenti se ciò gli permette di raggiungere l'effetto desiderato. Come "primo architetto del re", progetta chiese e residenze reali, ma si occupa anche di un'edilizia più corrente e della riorganizzazione di interi quartieri periferici. Lavora sullo spazio urbano, conformandosi a quei criteri di chiaro spartimento che improntano l'urbanistica torinese e creando nuovi punti focali: i Quartieri Miliari, che si aprono verso Porta Susa; la fronte di Palazzo Madama, che rinnova, senza turbarla, l'antica fisionomia di Piazza Castello; le chiese (San Filippo Neri, Sant'Agnese, il Carmine) e, fra tutte, la Basilica di Superga che sulla collina determina il nuovo confine visivo della città.
Le sue realizzazioni non si limitano tuttavia all'ambiente urbano: egli interviene anche nello spazio aperto della campagna a Venaria, a Rivoli, a Stupinigi, innestandovi un nucleo architettonico che nel contempo si adegua e si espande nel paesaggio circostante. Per ogni occasione recupera temi e suggerimenti, utilizzando il suo ricco bagaglio culturale: Juvarra e' un architetto eclettico, ma senza quelle connotazioni negative spesso implicite nel termine, perché di volta in volta l'artista sa riplasmare i suoi modelli in senso moderno e suggestivo, sul filo di una razionalità e sensibilità propriamente settecentesche.
Per la facciata di Palazzo Madama a Torino (1718-21) Juvarra ha ben presenti modelli francesi (la fronte verso il giardino di Versailles) e romani (Palazzo Barberini), tuttavia la soluzione e' originale: egli conferisce unità alla parete utilizzando l'ordine unico corinzio sopra l'alto basamento a bugnato piatto, e sottolinea la zona centrale e d'ingresso con l'aggetto delle colonne e della plastica ornamentazione delle lesene di base. Il palazzo, classicheggiante nel lessico e nella netta partizione degli elementi, si qualifica in senso settecentesco anche per le ampie finestre che mediano il rapporto edificio-ambiente e consentono una illuminazione chiara e distesa dei vani interni. Nello scalone del palazzo si precisa ancora di più la sensibilità di Juvarra: uno spazio scenografico calibrato, misurabile, in cui la decorazione, in gran parte autografa (gli stucchi morbidi a conchiglie e ghirlande fiorite, i bellissimi motivi che concludono la balaustra) aderisce alla struttura, rendendo più incisivo l'effetto della luce su di essa; qui come altrove la decorazione e' intimamente legata all'architettura, non e' puro vibrare in superficie o rovello fantastico, come nel rococò francese più tipico.
La Basilica di Superga (1717-31), mausoleo dei Savoia e celebrativa della vittoria sui francesi del 1706, e' collocata su un'altura come la maggior parte dei santuari tardobarocchi, soprattutto di area tedesca. Ma l'impianto centralizzato con pronao evoca il Pantheon, mentre la cupola s'ispira a Michelangelo ed e' inquadrata dai campanili di ascendenza borrominiana. Tuttavia, ogni tensione michelangiolesca o barocca si disperde: il nucleo centrale ottagono si dilata senza sforzo nel perimetro circolare dei cilindro esterno, perno di tutto l'organismo; da questo si protendono con eguale lunghezza il pronao arioso e le due ali simmetriche, su cui s'innestano i campanili (in realtà si tratta della facciata del monastero addossato alla chiesa che su uno dei lati corti fa corpo con essa). L'edificio si estende nello spazio, assecondando la forma della collina e la successione dei punti di vista, continuamente variati, che essa offre da lontano all'osservatore.
Nella Palazzina di caccia di Stupinigi (1729-33) torna il tema della rotonda, ma da essa fuoriescono quattro bracci a formare una croce di Sant'Andrea: uno schema su cui Juvarra aveva lungamente meditato fin dagli anni giovanili. Il nucleo centralizzato costituisce il punto focale di un disegno vasto e articolato: esso infatti è preceduto da una corte d'onore dal perimetro mistilineo, che s'innesta nell'ambiente naturale e per gradi conduce fino al palazzetto vero e proprio. Lungo il profilo di questa corte d'accesso si dispone un filare ininterrotto di costruzioni adibite a servizi. L'impianto del grande salone richiama precedenti illustri, ma tutto e' trasfigurato in senso rococo' in virtù della ricca decorazione a stucchi e pitture, degli arredi e, soprattutto, della luce gaia e brillante che si posa su di essi. All'esterno il trattamento della muratura, scandita da piatte lesene nettamente profilate e alleggerita dalle numerose aperture alle finestre, ribadisce il carattere raffinato e intimo dell'edificio e il suo rapporto di sottile compenetrazione con l'ambiente circostante.
Le chiese Juvarriane presentano soluzioni originali, come si vede particolarmente nella Chiesa del Carmine(1732-35): in questo caso il tradizionale impianto a navata unica con cappelle lungo i lati e' rinnovato con la riduzione del muro delimitante la navata a un'essenziale ossatura di alti pilastri di ribattuta e, ancora una volta, con la sapiente modificazione della luce che, piovendo dall'alto fra i pilastri, si diffonde nella navata e nelle cappelle. Le fonti di luce e lo sviluppo in altezza delle cappelle sono, in parte, accortamente dissimulati: le cappelle si collegano alla navata per mezzo di un arco libero gettato fra i pilastri che nasconde l'apertura ovale attraverso la quale esse comunicano con lo spazio sovrastante, a sua volta affacciantesi alla ribalta sotto forma di agile galleria. Ha scritto il critico storico dell'arte Cesare Brandi: "L'invenzione appare così una felice contaminazione coll'architettura del teatro e aggiunge un segreto senso di festa e di leggerezza all'ardita struttura della chiesa che solo nella volta, appunto a somiglianza di un teatro, ha una superficie unita, e quasi un velario teso sugli arredi delle grandi pilastrate".
La fama del grande architetto si espande tutta Europa: Juvarra lavorerà in Portogallo, a Londra, Parigi e infine a Madrid, dove morira' nel 1736.