Cenni storici
Un des plus superbes batiments de Rome
Palazzo Barberini sorge sull’area occupata dalla metà del ‘500 dalla villa del cardinale Rodolfo Pio da Carpi; su di esso fu costruita la nuova residenza della famiglia Barberini, con i finanziamenti di Urbano VIII, anche se alla costruzione del complesso sovrintese il nipote, il cardinale Francesco.
I Barberini erano originari di Barberino d’Elsa (Siena) e fecero fortuna a Firenze come mercanti e poi banchieri.
Primo cardinale della famiglia fu Maffeo Barberini, nominato a soli 33 anni nunzio a Parigi. Divenuto papa con il nome di Urbano VIII, nel 1623, fu responsabile del processo a Galilei e risolutissimo nel praticare il più rapace nepotismo e una strategia di espansionismo politico.
Della sua famiglia, assai disinvolta nella spoliazione dei monumenti della Roma antica, si disse: Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini.
Tuttavia in fatto d’arte sia il papa che suo nipote Francesco se ne intendevano.
Alla costruzione e decorazione del palazzo lavorarono stabilmente oltre mille persone, il meglio del barocco che in quegli anni stava esplodendo in Italia.
Il progetto fu affidato nel 1625 a Carlo Maderno che ideò una struttura quadrangolare sull’esempio dei palazzi Rinascimentali. A Carlo Maderno subentrò Francesco Borromini, ben presto sostituito da Gian Lorenzo Bernini che terminò i lavori tra il 1620 e il 1633 e che probabilmente aggiunse le due ali aperte sul parterre d’ingresso e sui giardini.
Il palazzo si estende tra le vie Quattro Fontane e Barberini, la piazza omonima e a ridosso della salita di San Nicola da Tolentino e della via XX Settembre; ha una facciata sulla piazza e l’ingresso su via delle Quattro Fontane attraverso una cancellata ottocentesca in ferro fra otto pilastri con canestre e telamoni eretta da Francesco Azzurri nel 1864, che immette nel giardino antistante il palazzo.
Palazzo Barberini ebbe fin dalle origini una sua immagine culturale e divenne ritrovo di alte personalità del Seicento, tra le quali i poeti Gabriello Chiabrera, Giovanni Ciampoli e Francesco Bracciolini; e poi, ancora, lo scienziato Benedetto Castelli e Gian Lorenzo Bernini architetto che potè dare libero sfogo alle sue doti di scenografo nel teatro privato; il palazzo era inoltre utilizzato per tornei e cavalcate.
All’ultimo piano del palazzo era sistemata la grande Biblioteca del cardinale Francesco Barberini, contenente circa 60.000 volumi e 10.000 manoscritti, che nel 1900 fu acquistata dalla Santa Sede per la Biblioteca Vaticana con tutta la scaffalatura originaria, opera del Bernini.
Il palazzo è pieno di decorazioni pittoriche: al primo piano si trovano gli affreschi del grande salone raffiguranti Il trionfo della Divina Provvidenza di Pietro da Cortona, un’esaltazione barocca della famiglia Barberini.
Pietro da Cortona lavorò nel palazzo per sette anni tra il 1633 e il 1639 e sue sono le decorazioni della cappellina e della galleria del piano nobile; di Andrea Sacchi è invece Il trionfo della divina sapienza che si trova nella settima sala, anch’esso un tributo allusivo al merito dei mecenati Barberini.
I saloni del pianterreno contengono nelle volte affreschi di pittori del Seicento come Giuseppe Passeri e Andrea Camassei.
La proprietà di tutto il complesso appartenne alla famiglia Barberini fino al 1949, quando il palazzo fu venduto allo Stato Italiano.
All’ultimo piano, dove un tempo c’era la preziosa biblioteca del cardinale Francesco Barberini, oggi c’è l’Istituto italiano di Numismatica.
Al piano nobile e al secondo ha sede la Galleria Nazionale d’arte Antica che annovera opere di celebri pittori: Raffaello, Caravaggio , Holbein, Bronzino, Lotto, Reni, Guercino e Lanfranco.
All’interno dell’edificio, lo scalone ideato da Borromini che si avvita nel palazzo fino al terzo piano; la scala elicoidale ha una struttura a colonne binate e si ispira alla scala ideata da Giacomo Barozzi da Vignola per il palazzo Farnese.
Al piano nobile si trova invece la sala Ovale progettata da Bernini, cui si deve anche il salone affrescato da Pietro da Cortona.
L’intero secondo piano è ricco di opere di Baciccio, Bernini (due dipinti), Luca Giordano, Mattia Preti, Salvator Rosa, Maratta, Canaletto e Batoni; e poi la vasta cerchia dei contemporanei del Caravaggio: Baglione, Borgianni, Gentileschi, Saraceni e altri ancora.
Sempre al secondo piano, una delle chicche del palazzo: l’appartamento del ‘700 deliziosamente dipinto e decorato in ogni centimetro, destinato a Cornelia Costanza Barberini che nel 1728 sposò Giulio Cesare Colonna per rafforzare il declinante potere della famiglia.
L’appartamento ha conservato tutti gli arredi e alcuni abiti dell’epoca; ogni sala cambia aspetto e colore; ogni imposta interna o porta è dipinta con cura; su una parete, le prime vedute romane di Gaspar Van Wittel.
Deliziosa infine la piccola cappella dell’appartamento.
Itinerario
Al palazzo si accede dal porticato del piano terra; una rampa di fine ‘600 lo collega al giardino, visitabile anche senza biglietto.
Al piano terra si trovano il bookshop e le sale dedicate all’arte dal ‘200 al ‘400.
Lo scalone del Bernini, a sinistra del porticato, conduce fino al secondo piano, a pianta quadrata e maestoso.
La celebre scala elicoidale del Borromini sale fino al terzo piano, dove un tempo aveva sede la grande biblioteca del cardinale Francesco Barberini.
Il piano nobile ospita l’attuale percorso espositivo della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, preceduto da biglietteria e bookshop.
Le prime sale sono dedicate a Raffaello, ai raffaelleschi, alla pittura fiorentina, agli artisti senesi e leonardeschi. Accanto alla Fornarina, opere di Giulio Romano, Piero di Cosimo, Andrea del Sarto e del Sodoma.
Le sale visitabili
Nella Sala del Garofalo sono in esposizione alcuni grandi dipinti del raffinato pittore ferrarese del ‘500, Benvenuto Tisi da Garofalo; nella Sala dei veneti vi sono i capolavori di Lorenzo Lotto (Sposalizio mistico di Santa Caterina), Tintoretto (Cristo e l’adultera) e Tiziano (Venere e Adone).
La Sala dei ritratti, affrescata da Andrea Sacchi ospita opere di Holbein (ritratto di Enrico VIII) e Bronzino (Ritratto di Stefano Colonna). Sulla sala si apre la piccola cappella con la Crocifissione di Pietro da Cortona.
La Sala dei Manieristi propone due opere di El Greco e dipinti di artisti meno noti ma di grande interesse, come il fiorentino Jacopino del Conte.
La Sala dedicata al Caravaggio conserva tre opere del grande artista: Giuditta taglia la testa a Oloferne, Narciso e San Francesco.
La sala della pittura Emiliana espone opere di Lanfranco, Guercino, Guido Reni e Cagnacci.
Fulcro del piano nobile è il Salone Pietro da Cortona, progettato da Bernini con la volta affrescata da Pietro da Cortona tra il 1633 e il 1639 con Il trionfo della divina Provvidenza.
La Sala Ovale, come l’attiguo salone di Pietro da Cortona, si deve al progetto di Bernini. Doveva servire da luogo di riflessione per la cerchia di intellettuali che frequentava il palazzo.
Il secondo piano ospiterà dal 2011 alcune opere fino al ‘700 italiano.
Sempre al secondo piano c’è l’Appartamento realizzato tra il 1750 e il 1770 per Cornelia Costanza Barberini e il marito Giulio Cesare Colonna di Sciarra. Attorno al salone delle Battaglie, l’alcova, sale e salottini carichi di decori.
Il Trionfo della Divina Provvidenza
Il salone del piano nobile deve il nome a Pietro da Cortona, l’artista che eseguì la decorazione della volta. Il pittore fu chiamato nel 1633 da papa Urbano VIII ad interpretare un tema che doveva glorificare il suo operato e la grandezza della famiglia: Il Trionfo della Divina Provvidenza e il compiersi dei suoi fini sotto il pontificato di Urbano VIII Barberini, il programma iconografico, affidato all’erudito Francesco Bracciolini, fu concluso in sei anni.
La Provvidenza domina la scena centrale, circondata da figure come la Purezza, la Giustizia e la Verità. Trionfa su Cronos ( il Tempo) che è ai suoi piedi accanto alle tre Parche che tengono il filo dell’esistenza umana.
La Provvidenza ordina all’Immortalità di porre una corona di stelle luminose sullo stemma Barberini al centro della volta, caratterizzato dalle tre api (simbolo araldico di operosità).
Lo stemma è sostenuto dalle virtù Teologali (Fede, Speranza e Carità); alle sommità la Religione con le chiavi dell’autorità divina e temporale e la figura allegorica di Roma.
Agli angoli delle ricche trabeazioni, 4 clipei dipinti a finto bronzo, ciascuno raffigurante un episodio della storia romana che allude a virtù civiche e morali che i Barberini si attribuivano: perspicacia, sagacia, purezza e forza.
Assieme all’Abbondanza incede solenne la Giustizia che reca frutta e grano alla folla sottostante. Accanto, Ercole caccia con la clava le arpie, creature mostruose personificazioni del male.La scena rappresenta la bontà del governo temporale dei Barberini, portatore di giustizia e abbondanza.
La Pace e seduta in trono, circondata dalla Prudenza, dalla Potestà e dalla Fama. Attorno al gruppo centrale tre scene raffigurano Vulcano e i ciclopi che forgiano armi, la chiusura del tempio di Giano (le cui porte nella Roma antica si aprivano in tempo di guerra) e il Furore incatenato su un mucchio di armi spezzate. Il tema è quello della pacificazione dei popoli portata dal pontificato di Urbano VIII.
Al centro è la Scienza che guarda verso il cielo per indicare la fonte di ogni verità. È accompagnata dal Divino Aiuto (il giovane alato), dalla Religione e dalla Purezza.
Il gruppo si eleva dalla Lascivia, figura femminile discinta, e dall’ebbro Sileno, circondato da satiri e baccanti. La rappresentazione allude al trionfo della religione e della spiritualità sotto il governo di papa Urbano.
Infine Minerva, dea della scienza e della sapienza, che, armata di lancia e scudo, sbaraglia i giganti, rappresentazioni della brutalità primitiva. L’allusione è alla capacità di ragione e intelligenza, attribuite ai Barberini, di trionfare sulla violenza.