La vita
Jean Racine nacque nel 1639 a La Ferté-Milon (Valois), un piccolo paese vicino Parigi; rimasto orfano dei genitori a soli tre anni, fu accolto ed educato prima dalla famiglia paterna e poi nel celebre convento di Port-Royal dove, da grandi maestri, studiò ed imparò ad amare la lingua e la cultura greca e latina, soprattutto il teatro (tanto da entrare in contrasto con i suoi stessi educatori, i giansenisti, che non amavano gli spettacoli, temendo influenze negative su un pubblico non preparato), ma studiò anche la retorica francese e conobbe profondamente la tradizione cristiana.
Nel 1658 si recò a Parigi, dove entrò in contatto con una società molto libera e strinse amicizia con Jean de La Fontaine.
Ansioso di emergere, per celebrare il matrimonio del re Luigi XIV, compose un'ode, La nynphe de la Seine (La ninfa della Senna, 1660), che gli diede una fama relativa, sufficiente, tuttavia, a scrivere per il teatro.
Nel 1661 la famiglia lo mandò presso uno zio, vicario generale del vescovato di Uzès, presso Nîmes, a studiare teologia con la speranza di fargli ottenere un beneficio ecclesiastico; qui cominciò a comporre, tra il 1662 e il 1663.
Fu nel 1664 che andò in scena la sua prima opera, La Tebaide o I fratelli nemici, un'opera corneliana, che riscosse un successo mediocre, ma che avviava una nuova tragicità: la catastrofe era già anticipata fin dall'inizio e fortissima era la tensione drammatica.
Seguì, l’anno dopo, nel 1665, Alessandro il Grande, che ottenne un'importante affermazione, e nel giro di dieci anni, scrisse, altre opere più significative. come Andromaca (1667), Britannico (1669), Berenice (1670), lo stesso soggetto affrontato da Corneille; Bajazet (1672), Mitridate (1673); Ifigenia (1674), continuando a mietere successi fino al 1677, quando Fedra, ostacolata dalle polemiche dei suoi avversari, ebbe un clamoroso insuccesso dovuto ad una congiura artistica: una macchinazione ordita dalla duchessa di Bouillon e dalla duchessa di Nevers fecero cadere la sua Fedra e trionfare quella di Pradon.
Racine si riavvicinò ai principi di Port-Royal, sposò Mmle de Romanet e fu nominato storiografo ufficiale del re, carica di prestigio e ben retribuita; abbandonò il teatro definitivamente, anche se poi, per una istituzione di ragazze povere delle opere religiose, scrisse due tragedie di argomento biblico per Mme de Maintenon e per le sue collegiali di Saint-Cyr: Esther (1689) e Atalia (1691).
Scrisse anche una commedia intitolata I litiganti e una Breve storia diPort-Royal, pubblicata postuma.
Morì a Parigi nel 1699 e chiese di essere sepolto a Port-Royal.
L'opera
Fu il secolo XVII l’età classica per eccellenza nella letteratura francese, raggiungendo il massimo grado di raffinatezza ed equilibrio la cultura e l’ammirazione degli antichi, tanto da consentire ai maggiori spiriti del tempo di eccellere sia nell’erudizione che nell’arte.
Sulla scena teatrale due furono i grandi trascinatori: Molière che si affermò nel comico, e Racine, che si affermò nel tragico, in modo talmente incisivo che, dopo di lui, l’arte drammatica sembrò esaurirsi.
Massimo drammaturgo dell'età di Luigi XIV, Racine ebbe l’innegabile merito d’aver ripreso la tradizione tragica classica restituendole splendore e purezza.
Le sue tragedie, in cui mancano eventi esterni, sorde alla Storia, agli accadimenti dei popoli, sono caratterizzate tutte dalla pura tragicità, derivante dalla contemplazione dell'uomo oppresso e condannato dal caso e dalla profonda sofferenza vissuta dai personaggi, che si macerano nel dolore, richiusi in solitudini inaccessibili, incapaci di comunicare, che invano lottano controinvicibili forze interiori, i desideri, le passioni (l’esplosione dell'amore, imprevedibile ed indomabile e l’ambizione, passioni tipiche dell'aristocrazia del suo tempo), che distruggono l’anima e il corpo e conducono alla catastrofe.
Per Racine, dunque, è la follia umana a generare la tragedia. Per tutta la giovinezza, pur sondando i cuori umani nell’esplosione delle forze irrazionali, Racine tenne fede al giansenismo, che gli fu sfondo etico, com’è stato rilevato da molti, alla sua opera tragica.
Così si espresse Boileau: La ragione di solito guida gli altri alla fede. Ma è la fede che ha guidato Racine alla ragione.
E Saint- Beuve affermò: Athalie è bella come l’Edipo re, con in più la presenza del vero Dio.
Ed il nostro Benedetto Croce, storico, filosofo e critico letterario, lasciò questa bella pagina sulla poesia di Racine:
A me pare che l’interpretazione critica possa procedere più semplice e più soddisfacente col ripigliare il giudizio comune che fa del Racine (in contrapposizione al Corneille) il poeta della passione: giudizio alquanto vago, ma che, come tutti i giudizi comuni in fatto di poesia, merita molto riguardo, perché contiene l’impressione viva e generale che quella poesia ha suscitato e suscita. Determinandolo, si potrebbe riproporlo in questa forma: che l’ispirazione del Racine è la passione nella sua voluttà e nel suo tormento, il carattere misterioso e rapace della passione. Che questa sia di un cuore puro o impuro, mite o feroce, nobile o perverso, che trabocchi nella ruina e nella morte o riesca al trionfo, che sia aiutata o schiacciata da potenze malvagie ora umane ora divine, da potenze buone che traggono a salvamento o da potenze malvagie che opprimono e distruggono, sono le vicende varie dei drammi del Racine; ma il centro costante di tutti essi è sempre la passione, e questa, trasfusa in poesia, conferisce loro l’incanto. È la passione diAndromaca, sacra al ricordo di Troia e di Ettore, anelante alla solitudine e all’oblio, per sé e pel figliuolo superstite, disposta a cercar pace nella morte, ma ferma nel non voler accogliere alcuna macchia su quella sua fedeltà al passato, che è la sua ragione di vita (Andromaque). È la passione di Berenice, che non si arrende e lotta pertinace pel possesso dell’uomo amato, e, alfine, nella stessa forza di questa passione trova la forza di superarla e di ricollocarla al suo posto subordinato nella complessità degl’interessi umani (Bérénice)[...]. È anche la passione di Fedra, accompagnata dalla coscienza del peccato, dall’orrore di sé stessa (Phèdre). Ma è altresì la passione tutta politica e ambiziosa di vendetta e di potenza di Acomat, rettilineo nel suo operare, cauto nel consiglio e rapido nelle risoluzioni improvvise, sprezzatore delle follie amorose, delle quali pensa di valersi a suo uso e che lo turbano solo quando vengono a turbare il suo più alto giuoco (Bejarez); è quella di Mitridate, sterminata nei sogni d’impero e di riscossa e di conquista contro Roma (Mithridate); è, infine, quella di Joad e quella di Atalia, all’uno saliente dal profondo della tradizione sacerdotale, dalla coscienza dell’assoluto dominio sempre esercitato nella vita del popolo ebreo, all’altra dal sangue dei suoi che ha vendicato col sangue, fondando su questo la potenza tirannica, onde è ebbra e pur trepida (Athalie).
da B. Croce,Ariosto, Shakespeare e Corneille, Laterza, Bari 1961).