La rivoluzione architettonica del teatro Olimpico di Vicenza lasciò un segno profondo nell'Italia dei ducati e principati di pimo '600: non è infatti un caso che nel 1587 il Duca di Mantova Vespasiano Gonzaga Colonna chiamò a corte per l'edificazione del tetaro di Sabbioneta proprio l'architetto Vincenzo Scamozzi, reduce dai lavori di edificazione del teatro vicentino concepito dal genio di Palladio.
Il teatro di corte, tra Vicenza e Sabbioneta
Per il teatro di corte di Sabbioneta, realizzato tra il 1588 e il 1590, Scamozzi ripropose in modo palese gli schemi palladiani ispirati all'arte classica e ai teatri greco-romani, dai quali vengono ripresi il semicerchio con la cavea a gradinate, l'orchestra rettangolare e il palco sopraelevato con la scena fissa.
Il teatro è una costruzione autonoma, che non si appoggia ad altre pre-esistenti: l'esterno si presenta elegante, a due ordini di finestre e sul marcapiano reca l'iscrizione "ROMA QVANTA FVIT IPSA RVINA DOCET" (Le stesse rovine insegnano quanto fu grande Roma). L'intento di celebrare l'architettura classica è quindi palese fin dall'esterno.
La sala, rettangolare, è suddivisa in 2 quadrati separati dal rettangolo per l'orchestra. Viene per la prima volta introdotta un'entrata dedicata per musici e attori, che permette di accedere ai camerini.
Al posto dell'odierno soffitto a cassettoni, Scamozzi aveva ideato una copertura a "carena di nave" con una controsoffittatura ad effetto finto cielo, molto simile a quella ancora oggi presente all'Olimpico di Vicenza. Questa soluzione di grande effetto diventava ancor più scenografica scendendo, come un velario, a livello della scenografia, unendosi al cielo delle pareti affrescate e creando una sorta di ambientazione "effetto esterno" nella qualo lo spettatore era immerso a 360°.
Una sorta di scenografia che dal palcoscenico dilagava sulle pareti e in tutto l'ambiente circostante allo spettaore, che si trovava così non solo ad assistere ad uno spettacolo, ma anche pienamente immerso in esso.
La scena fissa, distrutta alla metà del Settecento, era realizzata in legno, stucco e fondali dipinti e rappresentava una piazza con la prospettiva di una via sulla quale si affacciavano palazzi nobiliari e borghesi, altra evidente citazione del teatro palladiano vicentino: l'effetto prospettico era accentuato dall'inclinazione del piano del palco e la scena era completata da due strutture che raccordavano le architetture agli archi con vedute di Roma affrescati sulle pareti lunghe, contribuendo alla suggestione dell'ambientazione esterna. All'interno delle arcate delle archietture classiche, si aprono sugli affreschi che seguono tutto il perimetro della sala vedute di esterni della contemporaneità: musici, comici e artisti di strada, dame e cavalieri che passeggiano, persino le vetrine della bottega di un cerusico-barbiere. Gli affreschi sono attribuiti ad artisti della scuola del Veronese e ricordano quelli di Villa Barbaro a Maser.
Ispirato a Palladio,proiettato verso il barocco
Dell'impianto originale restano la spettacolare loggia, costituita da una colonnato corinzio sormontato da statue di divinità dell'Olimpo e arricchito da eleganti modanature in stucco, realizzate dallo scultore veneto Bernardino Quadri su disegno di Scamozzi. Nella parete di fondo della loggia sono dipinti a monocromo imperatori romani e nelle nicchie sono collocati 4 busti rappresentanti la dea Cibele e 3 condottieri non identificati. Durante le rappresentazioni, i gentiluomini sedevano nella cavea mentre la loggia era destinata ad ospitare le dame e il duca Vespasiano: alle sue spalle la figura dipinta dell'omonimo imperatore sembra porgergli la corona di alloro per consacrarlo signore della "novella Roma", com'era chiamata Sabbioneta nel XVI secolo. L'ideale continuità con i valori etici ed estetici del classicismo, intrapresa dal Rinascimento prima e dal Manierismo poi, risulta tuttavia già proiettata verso soluzioni e suggestione barocche: gli effetti illusionistici ottenuti con tecniche quadraturiste, la volontà di stupire e meravigliare con espedienti meccanici e prospettici, la scelta di creare sontuosi ambienti autonomi per l'intrattenimento di rappresentanza.
Il teatro fu inaugurato durante i festeggiamenti del Carnevale 1590: nello stesso anno il duca Vespasiano istituì la compagnia dei Confidenti, attori che si esibivano fissi nel teatro ogni sera per due mesi all'anno e che potevano vantare il privilegio di esporre lo stemma ducale dovunque recitassero.
Dopo la morte di Vespasiano il teatro e tutta la cità conobbero un periodo di decadenza: nei secoli successivi fu adibito a granaio, caserma, magazzino e cinematografo fino al 1969, quando fu restaurato e riportato agli antichi splendori, seppur con delle gravi mutilazioni della struttura originaria.