Gian Lorenzo Bernini ebbe occasione di scolpire nel marmo le figure dei potenti del suo tempo in modo straordinariamente realistico: a questo verismo estremo, raggiunto con ogni più raffinato espediente tecnico e prospettico si contrappone un'altra tendenza ritrattistica da lui sviluppata con successo e incetrata sul suggerire i caratteri unici e peculiari del soggetto con il minimo dei tratteggi e degli elementi grafici.
Dai ritratti carichi alle caricature
I cosidetti "ritratti carichi" erano in voga già dal MedioEvo e in essi erano calcati ed esagerati i caratteri grotteschi e i difetti in modo da rendere subito riconoscibile il soggetto ridicolizzandolo. Ma il primo ad usare il termine moderno caricatura sarà proprio Bernini che, non sottraendosi alla tradizione satirica romana delle pasquinate, eseguirà molti di questi ritratti satirici immortalando personaggi più o meno noti del jet set dell'Urbe.
Proprio per il ruolo sociale e di potere rivestito dai suoi soggetti, Bernini gioca più sugli attributi professionali che su quelli fisici: i capelli fatti crescere da un abate sotto la tonsura alludono inequivocabilmente alla doppiezza morale di alcuni personaggi della Curia, come le grandi mani rapaci attribuite ad un prelato ci suggeriscono facilmente avidità e maestria nel ricoprire il ruolo di maneggione (questo termine, giunto con caratteristiche dispregiative fino a noi, era quello che nella Roma del '600 si dava "tecnicamente" agli abili portaborse dei cardinali).
Bernini si è dedicato alla caricatura probbilmente già dall'età giovanile, ispirandosi ai ritratti umoristici del Guercino o di Carracci: una delle più antiche è quella che ritrae il cardinale Scipione Borghese, datata 1633. Rispetto all'illustre ispirazione, Gian Lorenzo mostra una componente sociale più acuta, sagace e sottile, oltre alla predilezione per soggetti del quadro dirigente molto conosciuti nell'alta società Romana.
Rispetto ai "ritratti carichi " del passato, che spesso sceglievano contadini deformi o rozzi villani come soggetti da stigmatizzare con un intento quasi morale che ricalca l'antica calocagazia greca (chi è buono e nobile d'animo è anche bello), è evidente che le caricature berniniane sono un prodotto d'elite, relizzate come divertissement per quella stessa classe che in esse viene ridicolizzata, ma più con intento di divertire e intrattenere che di criticare e condannare. Pare che alcune di esse fossero state addirittura espressamente richieste da committenti colti e disincantati che avevano colto tutto il potere espressivo di questa nuova tecnica.
Prendiamo ad esempio due delle sue caricature più riuscite: quelle dal cardinale Antonio Barberini e del Cardinale Chigi "quando era giovane". Anche in quei pochi tratti di inchiostro i due personaggi mantengono tutta la loro nobile, altezzosa alterigia, quasi schiacciati dal peso di fluenti e sovradimensionate capigliature.
Caricature di Bernini a Parigi
Nel diario di viaggio di Bernini in Francia (1665) si apprende che " se i cortigiani continueranno ad interrompere le sedute di posa per il busto al re, distogliendolo con questioni futili che avrebbero potuto porgli in qualsiasi altro momento della giornata, sarò costretto a fare qualche caricatura".
Bernini dovette spiegare il significato del termine al suo accompagnatore, cavaliere di Chantelou, dato che in Francia sia la parola che la forma d'arte in questione erano sconosciute. In questo caso Bernini allude di certo a ritratti non per ridere insieme al modello ma alle spalle di esso, in un'accezione forse più simile al nostro concetto contemporaneo di caricatura.
Com'è noto Bernini in Francia la pazienza la perse veramente e tutto il suo astio si riversò sul ministro delle finanze Colbert, considerato dall'artista il sabotatore del suo progetto artistico agli occhi del Re Sole e definito nei suoi diari un vero coglione privo di gusto per l'arte. Quasi sicuramente la caricatura del cavalier francese ritrae il famigerato ministro e la mancanza degli occhi alluderebbe certamente alla mancanza di gusto per l'arte figurativa.
L'ultima caricatura di Bernini
Anche l'ultima caricatura di Bernini è un ritratto senza pubblico, che probabilmente non ha mai lasciato il suo studio: rappresenta addirittura Benedetto Odescalchi, eletto papa con il nome di Innocenzo XI quattro anni prima della morte di Bernini.
Bigotto, tirchio e insensibile all'arte, non si servì dell'arte dell'anziano cavalier Bernini, ormai di fatto scultore e architetto ufficiale della Santa Sede, se non per velare la nudita della Libertà sulla tomba di Alessandro VII appena conclusa in San Pietro. Quando il papa ordina un'indagine sulla solidità della cupola di San Pietro a causa dei lavori svolti da Bernini sulla crociera ai tempi di Urbano VIII, la misura è colma: l'artista lo ritrae nel letto, dove usualmente dava udienza a causa del suo stato malaticcio, con le sembianze non umane ma di qualche insetto travestito da persona, con i cuscini al posto delle ali e la mitria al posto delle antenne. (Irving Lavin)
Il trionfo della soggettività
Nel 1934 viene pubblicato Che cos'è il barocco? di Erwin Panofsky, uno dei testi più autorevoli e ancora attualissimi sull'argomento: l'autore si sofferma sulle caricature di Bernini sostenendo che il barocco è l'unica fase della civiltà rinascimentale in cui i conflitti che la agitano non vengono superati rimuovendoli, come nel classicismo, ma prendendone coscienza e trasformandoli in un'energia emozionale soggettiva con tutte le conseguenze che la soggetivizzazione comporta: è l'inizio di un periodo che potremmo definire moderno con la "m" maiuscola.