Disputa tra scultura e pittura di Galileo Galilei
Scritto da Irene Marone. Pubblicato in arte barocca
Un conflitto antico
La disputa su quale tra le arti sia la più perfetta è un fatto antco come l'arte stessa: già tra i Romani numerosi trattati sviluppano l'argomento, affannandosi ad argomentare quale sia il mezzo migliore per riprodurre fedelmente la realtà e trasfigurarla nel modo più perfetto.
In questo dibattito ebbe un ruolo centrale la ricerca del primato tra poesia e pittura: l'Ars Poetica di Orazio e il suo iconico verso ut pictura poesis era stato assurto come paradigma da numerosi trattati sulla pittura e questo sviluppò una lotta per la supremazia di una delle due arti che si trascinò, con alterne vittorie, fino al Rinascimento. Sull'argomento intervenne persino Leonardo da Vinci, che nel suo trattato il Paragone decretò defintivamente vincitrice la pittura sulla poesia, la musica e la scultura.
Sulla fine del '500 si diffonde la moda delle accademie e le dispute divennero di gran moda: la medicina rivaleggiava con la giurisprudenza, la teologia con la filosofia, le arti con le lettere; in questo clima di fermento culturale anche il primato della pittura affermato da Leonardo non tardò ad essere rimesso in discusssione.
La disputa nel XVII secolo e il parere di Galileo
In particolare il conflitto tra le due arti figurative tornò vivido tra gli artisti che nel primo decennio del XVII secolo stavano lavorando alla decorazione della cappella Paolina a Roma: le due parti avverse erano sostenute rispettivamente dallo scultore Pietro Bernini, padre di Gian Lorenzo, e il pittore e architetto Ludovico Cigoli, entrambi fiorentini.
Per dirimere la controversia Cigoli si rivolse al più colto dei suoi amici toscani, Galileo Galilei.
Nella lettera del 26 giugno 1612 con cui quest'ultimo, non solo dedito alle scienze ma anche brillante accademico dei Lincei, letterato e conoscitore delle arti, prontamente risponde si sostiene la dimensione pittorica della scultura:
"non ha la statua il rilievo per esser lunga, larga e profonda, ma per esser dove chiara e dove scura....perchè delle cose che appariscono e si veggono, altro non si vede che la superficie e la profondità non può dall'occhio esser compresa".
Partendo da un'analisi tecnica che trae le sue ragioni dagli studi ottci che andava conducendo, Galileo conferma la supremazia della pittura, che vince grazie ai "colori naturalissimi dé quali la scultura manca. E tutto questo è nella pittura non meno che nella scultura, dico il chiaro, lo scuro, la lunghezza e la larghezza: ma alla scultura il chiaro e lo scuro lo dà da per sè la natura, ed alla pittura lo dà l'arte: adunque anche per questa ragione si rende più ammirabile un'eccellente pittura di una eccellente scultura".
Prosegue esaltando l'illusionismo della pittura ed enunciando un principio che sarà chiave di lettura fondamentale per tutta l'arte barocca: "quanto più i mezzi con i quali si imita sono lontani dalle cose da imitarsi, tanto più l'imitazione è meravigliosa".
In linea con il metodo sperimentale che utilizzava nelle scienze, Galileo propone un esperimento per confermare le sue percezioni: se si colora un oggetto tridimensionale in modo che risulti scuro nei punti in cui cade la luce, questo perde la sua tridimensionalità e chi lo guarda lo percepisce come "piatto".
Da un appunto di Galileo collegato alla lettera di Cigoli sappiamo che Galileo è sostanzialmente allineato alla posizione degli intellettuali rinascimentali, che non attribuivano alla scultura alcuna capacità nè di riprodurre in modo credibile nè di trasfigurare la realtà: "la scultura non inganna punto, nè vi fa creder mai quello che non sia tale".
La scultura come la pittura: il miracolo di Bernini
E' probabile che Pietro Bernini, alquanto stizzito dal parere del comune amico, abbia messo al corrente della disputa anche il figlio tredicenne Gian Lorenzo, che già lavorava al suo fianco da anni. E' anche probabile che il giovane talento sia rimasto colpito nel profondo da questo giudizio così tranchant sulla sua arte, tanto da dedicare l'intera vita allo stravolgimento del linguaggio scultoreo e alla ricerca di un'estetica e di una tecnica nuove, che ricomponessero e superassero le antinomie evidenziate da Galileo.
L'intera opera scultorea di Bernini si può leggere infatti come la confutazione dell'affermazione galileiana "la scultura non inganna punto, nè vi fa creder mai quello che non sia tale" : l'eccellenza tecnica, la profonda conoscenza ottica e prospettica, insieme ad una fantasia e ad una genialità figurativa che raramente ha avuto pari nella Storia, Bernini riesce a dare colore, leggerezza e vita al marmo, tanto che da anziano potà a ben ragione decretare l'essenza stessa della sua arte e del Barocco "l'arte sta nel far che tutto sia finto, e paia vero".