La Controriforma e la critica al Rinascimento
Scritto da Irene Marone. Pubblicato in arte barocca
L'utopia del Rinascimento
Tutto l’ambito dell’esperienza corporea - il mondo, la natura, l’ordinarietà delle cose - acquista nel Trecento un’importanza quasi sacrale. Per la prima volta in più di mille anni, ambienti e cose vengono descritte con realismo e questa celebrazione va interpretata in rapporto all’Incarnazione”, afferma il critico statunitense Thimoty Verdon. Questo naturalismo è destinato ad impregnare completamente le arti figurative in Europa almeno fino all'avvento dell'astrattismo, e anche la dimensione sacra non rimarrà certmente estranea a questo forte anelito di verità e carnalità. In fono l'esperienza e l'immagine stessa di Cristo sulla croce sono estremamente umane, carnali sanguigne.
Ma l'uomo (con l'aureola e senza) che dal '400 alla fine del '700 "sfilerà" sulle tele è un uomo che subirà dei veri e propri sconvolgimenti. L'umanesimo dà all'uomo una dimesione di centralità mai conosciuta prima: grazie all'introduzione della prospettiva nasce l'idea dello spazio pittorico e dei concetti di centro e "periferia" del quadro (quindi del mondo). L'uomo è protagonista e diviene sempre più simile a quello reale, che il quadro lo guarda, grazie al recupero degli studi anatomici degli antichi.
L'incontro tra Vitruvio e Leonardo è la perfetta sintesi dell'Umanesimo: una cultura assetata di laicità , di bellezza, di perfezione che riscopre attraverso modelli antichi, puri, incontaminati dalle dispute politiche e religiose che attanagliano l'Europa del 4-500. Ci si rifà ad un passato, tra il mitico e lo storico, in cui le divinità sono come regine e gli imperatori sono come dei, dove le vicende dell'Olimpo e le saghe degli eroi sono impregnate dei vizi e delle vitù dell'uomo, dove tutto è umano e sembra esserlo nel modo più bello e giusto. La passione per lo studio delle scienze, delle proporzioni, della Natura esplode nelle prorompenti nudità michelangiolesche, nelle città ideali di Raffaello, nell'amore per una paesaggistica quasi fotografica.
Il "trauma" della Riforma
Da questa splendida commistione tra classicità e innovazione, priva di taboo e alla ricerca spasmodica di una bellezza misurata che giustifichi tutto, nasce il grande "equivoco", quello che con disprezzo il cardinale Federico Borromeo chiamerà nella sua opera De Pictura Sacra del 1624 "le favole dei gentili". Il piano ideale sul quale sono poste le vicende sacre del Rinascimento è un piano equivoco e lascivo, nel quale non è più possibile distinguere la verità storica delle scare scritture e le sovrapposizioni classiche. Anche i ruoli sono stravolti e gli abiti sono inattendibili, spesso non conformi allo stato sociale o al decoro del personaggio che li indossa.
Ciò che doveva generare bellezza e un'elevazione estetica genera equivoci, confusione, offese. Per non parlare della nudità sparsa ovunque a profusione ed ancor più sconvolgente perchè sfacciatamente ostentata in tutta la sua scultorea veridicità.
Il vento sta cambiando e la riforma Luterana piomba come un macigno sulla tradizione umanistico-rinascimentale, polverizzandola nei suoi presupposti e nelle sue intenzioni: sono ormai intollerabili le Madonne e le Martiri ingioiellate, con le perle tra i capelli come la Duchessa di Urbino di Piero della Francesca. Il tempo delle ostentazioni e della lascivia che sta avvelenando la Chisea deve finire e secondo Lutero è assolutamente necessario un ritorno al rigorismo morale e al pauperismo della Chiesa delle origini.
Michelangelo: un ottimo esempio....da non seguire!
Nel 1545 si apre il Concilio di Trento, nel tentativo di arginare l'ondata di dissenso e insubordinazione che la riforma protestante ha generato: si chiuderà ben 18 anni dopo con le basi per per una rivoluzione artistica, ideologica e dogmatica di portata planetaria.Il Barocco.
L'ultima fase del Concilio è espressamente dedicata ai problemi dell'arte e delle rappresentazioni iconografiche come strumento di propaganda e di riconquista di attenzione e credibilità da parte dell'opinione pubblica. I vescovi del Concilio partono, nella loro riflessione, dalla istanze luterne ed arrivano alla conclusione che sono soprattutto le "licenze" e le equivocità del Rinascimento ad aver offerto il fianco della Chiesa a questa critica. Il cardinale Federico Borromeo fà espresso riferimento alla Cappella Sistina come una delle maggiori "pietre dello scandalo": commissionata da un papa per i suoi appartamenti ma straripante di nudità e di riferimenti al paganesimo, come l'introduzione della barca di Caronte. Afferma infatti il cardinale: Fu sempre concessa ai pittori e ai poeti la massima libertà, ma tale libertà non deve mai giungere al punto che le venerabili e sacrosante leggi della Fede Cattolica, nonché la stessa ragione (le quali tutte vietano che, come in ogni discorso, così nella pittura si faccia miscela di sacro e di profano) debbano talora venir calpestate. Michelangelo, dipingendo nella Cappella Papale in Roma il Giudizio Universale, non so con quale spirito vi raffigurò la barca di Caronte sulla quale i miseri mortali vengono traghettati, il che non fu certo una lodevole trovata di quell'artista.
Ma la divina provvidenza ha pensato anche a questo: Ma ecco che, per divina disposizione, il caso stesso intervenne a correggere e quasi a sopprimere quella cosa favolosa e sconveniente. La mole del maestoso altare, infatti, e i suoi ornamenti, nascondono la barca a tal punto che non dà più nell'occhio.
L'altare tardo cinquecentesco che copre le "licenze" dell'affresco rinascimentale è una chiara sintesi di un concetto semplice: un nuovo stile (il barocco) deve nascere e deve "mettere una pezza" su questi scempi, a costo di modificarli o deturparli.
Seguono, sempre partendo dalla poderosa opera michelangilolesca, critiche all'eccesso di nudità, alle fisicità "procaci" attribuite anche a personaggi di età avanzata. Non manca neppure una querelle sull'età del Salvatore, considerata troppo giovane, e probabilmente presa a pretesto per indulgere nella rappresentazione licenziosa e sovradimensionata del corpo di un prestante ragazzo. O sulle guance di San Pietro, asperse di troppo rossetto.
Il tramonto dell'umanista e l'alba dell' uomo barocco
Anche l'amore rinascimentale per i paesaggi architettonici e naturalistici, che spesso sono i veri protagonisti della tela, è ampiamente esecrata: Si deve (…) altamente biasimare l'imperizia di quelli che, nella descrizione del campo pittorico, pongono gli accessori al primo posto e il tema essenziale dell'opera quasi lo velano e l'occultano. Volendo, per esempio, dipingere San Giovanni nel deserto, lo mettono in un angolo oscuro e trascurato e riempiono la scena con animali, piante, rocce con varia prospettiva. Molto più opportunamente si sarebbe rappresentata quella varietà di scene in un'altra tavola, consacrando interamente la prima alla figura per cui era stata preparata.
Per questo stesso motivo l'Ultima Cena del Veronese verrà portata al cospetto del tribunale della Santa Inquisizione: su una tela di 13 metri, dominata da un meraviglioso portico palladiano sotto il quale brulica una miriade di personaggi, Gesù che spezza il pane occupa solo pochi cm, semi coperto da altre figure. Veronese sarà costretto a cambiareil titolo dell'opera in" cena in casa di Levi...e potrà anche ritenersi fortunato per non aver subìto altro!
Nonostante tutto il cuore della tela è sempre l'uomo, seppur nel ruolo sacro che impersonifica.
Viene introdotto il concetto di controllare l'opera attraverso organi (il tribunale dell'Inquisizione) e autorità (i vescovi) preposti all'arte: per la prima volta la censura viene applicata in modo sistematico e stroncante.
Tuttavia la premessa che abbiamo fatto all'inizio non viene meno neppure dopo l'avvento della Controriforma: l'esigenza di rappresentare con carnalità e veridicità non solo si riconferma ma esplode proprio all'interno dei dettami conciliari, che invocano il ricorso alle scene dei martirii e delle vite dei Santi.
Il dolore, l'estasi, la sofferenza sono rappresentati in modo verista, talvolta crudo, in modo da poter garantire una immedesimazione del pubblico. L'idealizzazione arcadica e assolata delle scenografie rinascimentali si incupisce, cambiano i colori, le simbologie, ma nonostante apparentemente sia il Sacro l'unico fulcro di questo rinnovamento, è ancora una volta l'Uomo in cui il sacro si incarna ad essere al centro.
E' al centro anche in "negativo" o persino quando non è ritratto sulla tela come nel filone delle vanitas, che trasla sugli oggetti e le nature morte la caducità e il carattere effimero della vita. Quello stesso uomo che è al centro dell'universo galileiano e che da questo momento non perderà più il suo primato di "centro di gravità permanente" nell'arte.
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