Caravaggio a Roma
Scritto da Irene Marone. Pubblicato in pittura barocca
Sappiamo che Michelangelo Merisi nacque a Milano ma sin da piccolissimo, a causa della morte del padre, si trasferì con la madre ed i fratelli a Caravaggio, dove la sua famiglia aveva da generazioni impieghi e protezione presso i Marchesi locali.
Fin da bambino espresse interesse per la pittura ed ottenne dalla madre di andare a bottega dal pittore Simone Peterzano per imparare il mestiere: presto la Lombardia divenne stretta per le aspirazione del giovane pittore.
La sua ultima presenza in Lombardia è attestata il 1 luglio 1592 ma notizie certe della sua presenza a Roma si hanno solo dal 1595.
Canestra di frutta, anno 1596, Milano, Pinacoteca Ambrosiana
I primi anni romani di Caravaggio
Per sapere cosa accadde in quei 3 anni ci vengono in aiuto i primi biografi di Caravaggio, il suo rivale Giovanni Baglione e Giovan Pietro Bellori: ci raccontano che Michelangelo era già a Roma alla fine del 1592, cercando di guadagnarsi da vivere accettando qualsiasi tipo di lavoro nelle botteghe dei pittori più affermati.
Dipingeva quelle che al tempo si chiamavano teste (ritratti, mezzi busti non di primo piano in una composizione pittorica), quadretti di maniera, fiori e frutta, copie di soggetti sacri destinati alla casa di qualche modesto prelato o cappella poco blasonata.
Nonostante i suoi sforzi, Caravaggio visse i suoi primi anni romani nella miseria e nel degrado, cercando con poco successo di emanciparsi dal lavoro di bottega vendendo i suoi quadri, ben poco richiesti e quotati sul mercato. Aveva preso in affitto una stanza nel Rione Campo Marzio, un quartiere centrale ma malfamato, abitato da prostitute e piccoli delinquenti, nel quale pur cambiando diversi alloggi rimase a vivere per tutta la sua permanenza a Roma.
Sappiamo poco o nulla delle tante opere che in questo periodo dipinse mosso dal bisogno, a parte la sicura attribuzione del Bacchino malato e del Ragazzo con canestra di frutta, sequestrati a Caravaggio per debiti nel 1607 dalla bottega del Cavaliere d'Arpino, per il quale lavorava, e finiti già da subito nella collezione del cardinale Camillo Borghese. Ancora oggi questi dipinti, con straordinaria continuità, campeggiano nelle sale della Galleria Borghese da oltre 400 anni.
Ragazzo con canestro di frutta anno 1594, Roma, Galleria Borghese
Caravaggio e il Cardinale: a Roma tra salotti e bordelli
La situazione di Caravaggio cambiò radicalmente dopo il suo incontro con il rappresentante diplomatico a Roma del Granduca di Toscana, il cardinale Francesco Maria del Monte, che lo prese a suo servizio presso la sua residenza a Palazzo Madama, liberandolo da problemi economici ed offrendogli protezione e ottime commissioni.
Sarà proprio per intercessione di dal Monte che Caravaggio riceverà il suo primo importante incarico romano: il lavoro per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, chiesa attigua al palazzo del Cardinale.
Caravaggio resterà al servizio di Dal Monte dal 1597 al 1601 ma in questi anni frequenterà poco i salotti altolocati dei prelati e degli intellettuali romani che gravitano attorno al cardinale: si trova più a suo agio nei vicoli del rione Campo Marzio, nei quali torna appena può a spendere tra bordelli, osterie e bische ciò che ha guadagnato con il suo lavoro.
Michelangelo, nonostante i ripetuti inviti, non si trasferirà mai nel palazzo del cardinale nè in quello di altri suoi committenti romani, continuando a frequentare quei bassifondi nei quali si sente più a suo agio che nei salotti e dove può trovare la disperata e variegata umanità che ispira la sua arte.
Ciclo di San Matteo, Cappella Contarelli San Luigi dei francesi in Roma
Caravaggio, genio intemperante e anti-sociale
Neppure la sicurezza economica offerta da Dal Monte e la fama di primo pittore di Roma che si va guadagnando grazie a sempre più illustri committenze possono sedare la natura irrequieta, violenta e crepuscolare di Caravaggio che fino alla sua fuga da Roma sarà protagonista degli atti e delle cronache giudiziarie della capitale, oltre che della sua scena artistica.
Persino quando si trova nei salotti del cardinale a palazzo Madama Caravaggio non riesce a controllarsi: il 28 novembre del 1660 malmenò con un bastone Girolamo Stampa da Montepulciano, un nobile che si trovava ospite di Dal Monte.
In seguito fu arrestato per schiamazzi, risse e violenze e incarcerato a Tor di Nona; fu il cardinale in persona che si adoperò per farlo liberare.
Ancora in un'altra occasione mise in imbarazzo il cardinale, che era stato contattato dal fratello prete di Michelangelo, Giovan Battista.
Il sacerdote aveva desiderio di rivedere dopo tanti anni il congiunto e chiese a Dal Monte, in qualità di “padrone” e datore di lavoro del Merisi, di poter essere intermediario dell'incontro. Il cardinale combinò l'appuntamento ma davanti a lui e a Giovan Battista, che aveva affrontato un lungo viaggio da Caravaggio a Roma solo per quell'incontro, il pittore negò di avere fratelli e si ritirò.
Essere amico di Caravaggio e potersi accompagnare con lui è alquanto problematico se non addirittura pericoloso: infatti non si consacra di continuo allo studio, ma quando ha lavorato un paio di settimane, se ne va a spasso per un mese o due con lo spadone al fianco e un servo dietro, e gira da un gioco di palla all'altro, molto incline a duellare e far baruffe, cosicché è raro che lo si possa frequentare (Karel van Mander, pittore olandese e biografo di Caravaggio)
I rapporti tra Caravaggio, Baglione e altri pittori della Roma del '600
La combriccola che frequentava Caravaggio era composta da giovani e turbolenti artisti come lui, tra i quali i pittori Orazio Gentileschi , Filippo Trisegni e l'archietto Onorio Longhi.
Una delle occupazioni preferite della comitiva era canzonare e perseguitare con poemetti volgari e scherzi di cattivo gusto altri pittori, considerati di scarso talento o per motivi di rivalità professionale.
Nel 1603 Caravaggio viene querelato dal pittore Tommaso “Mao”Salini per un'aggressione alle spalle con la spada. Così recita la deposizione del Salini:
Venutemi dietro et avvecenatosi il detto Michel Angelo con la spada che portava me tirò un colpo dalla banda de dietro, et me colse in un braccio ed essendomi revoltato, et messomi in difesa il detto Michel Angelo me tel'l molti altri colpi in modo che se non fossero corsi li vicini, et così sentito il rumore facilmente sarei ·potuto dal detto restar ferito et forse morto havendomi de più ingiuriato, et dinne becco fottuto, et altre parole ingiuriose.
Giovanni Baglione, collega e rivale del Merisi, querelerà il pittore due volte, nel 1603 e nel 1605: in entrambi i casi la denuncia è dovuta a diffamazione, insulti pubblici e vilipendio tramite la diffusione di poemetti ingiuriosi nei quali è definito Gian Coglione o Giovan Bagaglia (bagascia, prostituta).
Nella sua deposizione Baglione dichiarerà di essere sicuro che Caravaggio facesse di tutto per screditarlo pubblicamente perchè invdioso dell' incarico di dipingere la Resurrezione di Cristo per l'altare della Chiesa del Gesù.
Una vita violenta: i problemi con la legge
Fino alla fuga da Roma, Caravaggio continua a popolare costantemente i verbali della polizia capitolina anche più volte all'anno:
- nel febbraio 1604 viene querelato da Pietro Fusaccia, garzone all'osteria del Moro. Caravaggio chiede se i carciofi che ha ordinato siano cotti nell'olio o nel burro. Il garzone risponde che sarebbe bastato odorarli per capirlo. A questa risposta, ritenuta impertinente, Michelangelo tira il piatto di carciofi sul viso di Pietro e mette mano alla spada come per ferirlo, ma il garzone riesce a fuggire e riporta tutto all'autorità competente.
- nell' ottobre 1604 viene arrestato per aver lanciato sassi ai “birri” sulla strada che da Trinità dei Monti conduce a piazza del Popolo. A novembre viene fermato in via del Corso dal Bargello per un controllo del porto d'armi: Michelangelo lo possiede regolarmente e lo esibisce, ma mentre l'ufficiale sta per andarsene il pittore lo manda a quel paese. Viene incarcerato a Tor di Nona per oltraggio a pubblico funzionario e rilasciato solo dietro pagamento di una cauzione di cento scudi, frutto di una colletta dei suoi amici
- nel luglio 1605 viene di nuovo incarcerato per schiamazzi e baruffe nei pressi della casa di Lena, prostituta da lui abitualmente frequentata. Due amici, Cherubino Alberti e Prospero Orsi, fanno da garanti per il suo rilascio. Pochi giorni dopo ferisce alla testa il notaio Pasqualone d'Accumulo: per evitare l'arresto fugge a Genova e vi rimane circa un mese.
Al suo rientro, trova l'alloggio svuotato: la padrona di casa di Caravaggio, Prudenzia Bruna, non vedendo rientrare il pittore per giorni e giorni decide di recuperare le rate di affitto arretrate e non pagati richiedendo una confisca dei beni del pittore. Il sequestro dei miseri beni di Michelangelo copre solo una parte delle spese ma al suo rientro non perde occasione di vendicarsi tirando sassi contro la finestra di Prudenzia, che lo querela senza conseguenze. - nell'ottobre 1605 viene messo a verbale che Caravaggio, ferito alla gola e ad un orecchio, afferma di essere caduto sulla sua stessa spada. Non sa indicare né il luogo né la dinamica esatta dell'incidente, che pare sia senza testimoni. Non vengono eseguite altre indagini in merito.
Caravaggio, pittore-assassino, e la fuga da Roma
Il 29 maggio 1606 in Campo Marzio, nel campo di pallacorda attiguo a Palazzo Firenze, si svolge una partita di pallacorda che cambierà per sempre il corso della vita di Caravaggio e di tutta la storia dell'arte.
In campo ci sono due squadre composte da 4 giovani ciascuna: una capeggiata da Caravaggio, l'altra da Ranuccio Tommasoni, un vero e proprio boss che gestisce la prostituzione ed altri loschi traffici del quartiere con protezioni altolocate vicine al papa.
I giocatori non hanno voglia di divertirsi, la pallacorda è un pretesto: si incontrano con la precisa volontà di regolare conti personali e divergenze politche.
Tommasoni e i suoi sono filo-spagnoli, la fazione che anche il papa sostiene; Caravaggio e i suoi sono filo-francesi. Inoltre il pittore si è già scontrato più volte con Ranuccio, che è il protettore di Fillide: la prostituta è diventata amante del Merisi e lo incontra per piacere e non per denaro. Il Tommasoni, per gelosia della ragazza e per amore degli affari, è convinto che l'artista gli debba dei soldi e una sera lo aggredisce mentre passeggia vicino alla sua casa, ferendolo.
La tensione sul campo è altissima e in pochi minuti la partita degenera in zuffa: Ranuccio finisce a terra e Michelangelo, assetato di vendetta, sguaina la spada e gli inferge un colpo su quello che Baglione definì, nella sua descrizione dei fatti, “il pesce della coscia”, ovvero il membro maschile.
E' probabile che Caravaggio volesse mutilare o sfregiare Ranuccio nella sua virilità, ma forse affonda troppo la lama e recide un arteria: Tommasoni muore dissanguato e l'assassino e i suoi abbandonano il campo in preda al panico.
Nessun amico altolocato, neppure il cardinal Dal Monte, può evitare una condanna a morte certa per il pittore, reo di aver ucciso in modo ignominioso un esponente, seppur malavitoso, di una famiglia in vista vicina al papa.
Michelangelo lascia subito Roma e trova riparo tra Marino, Palestrina e Zagarolo, feudi del principe Filippo I Colonna, imparentato con i Marchesi di Caravaggio presso i quali aveva lavorato il padre del pittore: mentre l'artista si dirige verso Napoli, il principe organizzerà un depistaggio grazie a numerosi membri della sua famiglia che testimonieranno di aver visto ed ospitato Caravaggio in diverse città italiane, facendone di fatto perdere le tracce.
Bibliografia
Baglione G. (1642). Le vite dei pittori, scultori et architettori. Vita di Michelangiolo da Caravaggio
Bellori G.P. (1672). Le vite dè pittori, scultori et architetti moderni. Michelangiolo da Caravaggio
V. Pacelli G.Forgione (2012) Caravaggio tra arte e scienza, ed. Paparo
Caravaggio a cura di Claudio Strinati, AA.VV. (2010), Skira editore Milano