Luca Giordano, nato nel 1634 e morto nel 1705, fu eclettico artista napoletano dalla vena inesauribile, di grande felicità, prodigiosa sicurezza e prontezza esecutiva (Lucafapresto era denominato). Allievo del Ribera, fu conoscitore di tutta la pittura del Cinquecento e contemporanea, assommando in sé le qualità della pittura del passato e del suo tempo, dominando la seconda metà del Seicento.
Il ratto delle Sabine (prima metà del XVIII secolo)
Di fama internazionale, attivo non solo in patria (fu a Roma, Firenze, Venezia, abbondantissima la sua produzione di tele a Napoli, ma anche alla corte di Spagna, dove dipinse affreschi e tele, conteso fra i più grandi collezionisti), di lui si parlava non solo nella città natale, ma in tutta l’Italia anche agli inizi del Settecento, ma spesso fu sottovalutato dai critici per la copiosità e la qualità ineguale dell’opera.
Aperto ai più diversi stimoli, in ascolto dell’eco della tradizione veneta, in confronto con la teatralità barocca di Pietro da Cortona, superato il chiaroscuro caravaggesco seppe andare oltre e rinnovarsi, divenendo punto di riferimento per la pittura tardobarocca in Italia, caratterizzandosi per la pittura spigliata, rapida e virtuosistica, per la fattura brillante, la tecnica prodigiosa, d’intenso ritmo, tanto da mettere subito in moto il meccanismo dell’immaginazione e produrre un vero e proprio concerto visivo.
La sua vasta produzione, documentata al Museo di Capodimonte da una nutrita serie di tele, che ripercorrono il suo percorso artistico e ne testimoniano il continuo accrescimento stilistico (attingendo incessantemente alla tradizione pittorica antica, per approdare ad una pittura libera e ariosa, che segnò l’affermazione del barocco nella cultura figurativa), comprende anche il dipinto “Lucrezia e Sesto Tarquinio”, un olio su tela che raffigura il momento in cui la giovane matrona romana cerca di respingere le profferte dell'etrusco, la cui violenza, infine, causerà il suicidio della donna.
Il sogno di Salomone (1693) - Museo del Prado - Madrid
Nel dipinto di Luca Giordano, che ebbe ben presenti Tiziano e Velazquez, Lucrezia, per la quale le fonti seicentesche ipotizzano che abbia posato come modella la moglie dell’artista, è ritratta nuda di spalle, le rosee carni su uno sfondo di panni e tessuti attentamente descritti, fra i quali la luce gioca ricamando sapienti effetti pittorici.
Sorpresa nell’intimità della sua camera, con un braccio la donna respinge l’aggressore che, però, non appare come un violentatore, non ha i lineamenti stravolti dalla brutalità del male che si accinge a compiere (contrariamente, invece, al Tarquinio offerto da Tintoretto e Tiziano), ha, anzi, un volto dai lineamenti gentili, e non è nemmeno armato (infatti non v’è alcuna traccia di armi); spinto dall’ardore, le si pone accanto suadente, un braccio levato in largo moto rassicurante, di certo non con piglio malvagio, ma, forse, il suo non è che uno dei tanti volti del male, quello di chi si mostra mite, covando, nella realtà, intenti da predatore.
Venere punisce Psiche (1692 - 1702) - Windsor, collezione privata reale
Luca Giordano non introdusse elementi che potessero sottolineare la violenza esercitata da Tarquinio su Lucrezia, sicché l’occhio dello spettatore pare più assistere ad un movimentato incontro d’amore fra una bionda bella giovane donna riluttante ed un concupiscente uomo che l’approccia esuberante che ad uno stupro. Probabilmente all’artista premeva non tanto raccontare la drammatica vicenda realmente accaduta, ma utilizzare lo storico episodio come pretesto per una raffigurazione sensuale.