Allievo di Legrenzi, fu un personaggio di spicco dell'ambiente musicale delle “accademie”, rivestendo il ruolo di “capomusico” nell' Accademia degli Erranti, un importante circolo culturale e letterario secondo solo a quello degli “Animosi”. Per questa istituzione compose e mise in scena numerose opere, prima delle quali fu la Venere travestita, e molti oratori, tra cui la Fenice.
Nel 1868 legò il suo operato al teatro Sant'Angelo, dove andarono in scena come “prime” moltissime dei suoi più di 50 melodrammi.
All'apice della sua fama fu chiamato come secondo organista in San Marco e come direttore artistico dell' Ospedale degli incurabili, anche se la sua carriera fu sempre incentrata soprattutto sul teatro. Collaborò anche con gli Animosi, scrivendo alcuni intermezzi su testi del fondatore Apostolo Zeno.
I suoi primi lavori , rappresentati con successo non solo a Venezia ma in tutta Europa, risentono dello stile del maestro, mentre dal Faramondo Pollarolo introduce degli elementi del tutto rivoluzionari per l'epoca.
Dall'opera "Leucippe e Teonoe" (1719), Se nel ciel avvien che veda
Pollarolo, in conseguenza alla sempre crescente richiesta di opere che fossero fruibili da un pubblico estrememente composito e gradite da cantanti sempre più esigenti e capricciosi, riduce gli “ariosi” e introduce, oltre a recitativi accompagnati e limitati al minimo indispensabile, le arie ad effetto “col da capo”, elemento centrale del melodramma vivaldiano e haendeliano. Si trattava di “cammei musicali” orecchiabili ed estremamente melodici, in cui il motivo centrale veniva ripetuto più volte dando modo al cantante di fare sfoggio di bravura aggiungendo di volta in volta fioriture e virtuosismi. Proprio per questo motivo Pollarolo sarà preso a modello da Handel, che probabilmente ebbe occasione di ascoltare le sue opere durante il suo soggiorno in Italia e riprenderà molte sue arie o addirittura interi lavori.