Nacque a Pirano l’8 aprile 1692 da Giovanni Antonio Tartini, di origine fiorentina e «scrivano dei Sali» della Serenissima, e Caterina Zangrandi, di Pirano.
I genitori lo destinarono a intraprendere la carriera ecclesiastica, e la sua formazione giovanile si svolse presso il Collegio dei Padri delle Scuole Pie di Capodistria, dove sembra abbia appreso i primi rudimenti di violino. Nel 1708 si trasferì a Padova dove, sempre per volere del padre e indossando già l’abito talare, frequentò i corsi di legge all’Università.
La sua attività preferita a quel tempo, però, doveva essere la scherma, e la sua abilità in questo campo è testimoniata in diverse fonti come ineguagliabile.
Nel 1710, poco dopo la morte del padre, Tartini si ribellò al destino ecclesiastico impostogli dalla famiglia e si unì in matrimonio con una cittadina padovana, Elisabetta Premazore: le nozze furono celebrate il 29 luglio 1710 nella chiesa del Carmine. Questa iniziativa un po’ ardita scatenò la contrarietà della madre e del vescovo di Padova, il Cardinale Giorgio Cornaro: per fuggire dalle continue pressioni e minacce, Tartini fu costretto a lasciare la città.
Trovò rifugio ad Assisi, nel convento di San Francesco dove un suo parente, padre G. B. Torre, lo accolse e assecondò il suo interesse per lo studio del violino.
A questo periodo si può ricondurre l’incontro del giovane con il padre Černohorský, il quale lo introdusse allo studio della composizione. Dovendo provvedere al proprio sostentamento in seguito alla morte di padre Torre, iniziò a suonare nelle orchestre di alcuni teatri; nel 1714, ad esempio, prestava servizio nell’orchestra dell’Opera di Ancona.
Calmatesi le pressioni delle autorità padovane, Tartini tornò nel Veneto e, riunitosi con la moglie, visse per qualche tempo tra Padova e Venezia. Al 1716 si può far risalire il suo incontro con Veracini a Venezia in durante la festa in onore del Principe Elettore di Sassonia. Fu forse in questa occasione che il violinista decise di riprendere l’attività concertistica e di perfezionare il proprio virtuosismo.
Tra il 1717 e il 1718 si trovava di nuovo nelle Marche: figura infatti come primo violino nell’orchestra del Teatro di Fano.
Nel 1721 la Presidenza della Veneranda Arca del Santo si rivolse a Girolamo Ascanio Giustiniani, figlio del Procuratore e protettore della basilica di S. Antonio Gerolamo, nonché allievo di musica di Tartini, affinché intercedesse presso il violinista e lo convincesse a prestare il suo servizio a Padova. Fu così che Tartini, accettato l’invito, si recò nella città patavina ed entrò nella Cappella musicale del Santo rivestendo il ruolo di «primo violino e capo di concerto».
Fu assunto il 16 aprile di quell’anno, senza essere sottoposto ad alcuna prova (come era invece uso) e con la concessione straordinaria di potersi recare in altre città e nei teatri senza dover presentare richiesta scritta (la cosiddetta «supplica»), ma semplicemente chiedendo il permesso di assenza al maestro di cappella. Inoltre, le sue assenze non comportavano alcuna riduzione di onorario. Tuttavia, anch’egli veniva valutato nelle annuali riballotazioni, ossia quelle verifiche a cui la Presidenza della Veneranda Arca sottoponeva ciascun membro della cappella musicale.
Grazie all’elasticità del suo vincolo con la cappella antoniana, negli anni immediatamente successivi alla sua assunzione Tartini viaggiò in Italia e all’estero: nel 1723 fu invitato a Praga in occasione dei festeggiamenti per l’incoronazione di Carlo VI a Imperatore di Boemia, e in questa città rimase per ben tre anni. La sua presenza come musicista è inoltre testimoniata a Parma (1728), Bologna (1730), Camerino (1735), Ferrara (1739) e, soprattutto, Venezia.
Nel 1726, il malessere causato dal clima praghese lo costrinse a tornare in Italia; si stabilì quindi nuovamente a Padova, dove riprese la sua attività presso la basilica antoniana e dove diede vita (in un periodo compreso tra il 1727 e il 1728) alla famosa scuola di violino (detta «Scuola delle Nazioni») alla quale affluivano studenti provenienti da tutta Europa. È in questi anni che escono le prime edizioni a stampa delle sue composizioni, come ad esempio i 12 concerti op.1 pubblicati da Le Cène in due volumi.
L’interesse di Tartini per le speculazioni teoriche, iniziato nel periodo in cui Callegari era maestro di Cappella al Santo e sostenuto tra gli altri da Vallotti, Caratelli, dall’astronomo Gianrinaldo Carli e da Padre Martini (con il quale intrattenne un rapporto epistolare lungo quarant’anni), fu costante per tutta la sua vita, al punto che egli si allontanò progressivamente dalla pratica compositiva e da quella esecutiva per dedicarsi assiduamente all’elaborazione dei suoi trattati.
Per tutta la vita fu oberato dalle continue ed insistenti richieste di aiuto economico da parte della famiglia a Pirano, testimoniate nelle numerose lettere conservate presso la sezione piranese dell’Archivio Regionale di Capodistria.
Tartini fu ufficialmente in servizio presso la Cappella Antoniana fino al 1765, anno in cui gli successe l’allievo Giulio Meneghini. Svolse l’attività di insegnante almeno fino al 1767 e continuò fino alla fine dei suoi giorni a perseguire lo scopo di perfezionare la sua teoria sul sistema armonico.
A causa di una cancrena alla gamba che l’aveva reso ormai infermo, si spense a Padova il 26 febbraio 1770, due anni dopo la morte della moglie, e fu sepolto accanto alla consorte nella chiesa di Santa Caterina a Padova.
Sonta op.I n.4, Allegro Il trillo del Diavolo
La carriera di Tartini
L’attività concertistica di Tartini ebbe inizio, con ogni probabilità, ad Assisi, durante il suo soggiorno presso il convento francescano. Dopo anni d’intenso studio il musicista piranese cominciò a prestare servizio, in occasione di celebrazioni solenni, presso la basilica di S.Francesco come violinista dell’orchestra della Cappella musicale.
Nel 1714 e nel 1715 collaborò con l’orchestra attiva presso il teatro La Fenice di Ancona per la stagione di Carnevale. Dal 1714 al 1721 svolse un’intensa attività concertistica in varie città italiane riscuotendo notevole successo. A Venezia, dove si trasferì con la moglie dopo il suo rientro da Assisi, cercò di mettersi in luce, partecipando ad accademie e a funzioni sacre, con la speranza di ottenere un posto stabile presso qualche famosa istituzione o la protezione di qualche ricco e nobile mecenate.
Nelle Marche ritornò qualche anno dopo, a seguito dell’incontro a Venezia con Francesco Maria Veracini: la tecnica violinistica del maestro toscano colpì a tal punto Tartini che lo spinse a ritirarsi a Ancona per perfezionare, attraverso uno studio assiduo, l’uso dell’arco e mettere a punto una sua propria tecnica. In questo secondo soggiorno (dal 1716 al 1718) collaborò con il Teatro della Fortuna di Fano come primo violino nella stagione di Carnevale 1717-1718.
La sua fama di ottimo esecutore gli permise di ottenere, una volta rientrato a Venezia, il posto di primo violino e capo concerto nella basilica del Santo a Padova. Il soggiorno a Praga, dal 1723 al 1726, fu per Tartini il completamento della sua formazione come strumentista e come compositore. Nella capitale boema, ambiente estremamente stimolante e punto d’incontro della cultura viennese e della scuola musicale tedesca, il musicista di Pirano entrò in contatto con diverse personalità di levatura internazionale. Ebbe modo di esibirsi e di farsi apprezzare come violinista, riscuotendo quasi ovunque notevole successo.
Durante una delle sue esecuzioni venne ascoltato da Johann Joachim Quantz, affermato flautista e teorico musicale, il quale, a differenza di molti, espresse giudizi non entusiastici sul musicista di Pirano: trovò innegabile la sua abilità virtuosistica ma non colse quella potenza espressiva che molti estimatori di Tartini gli attribuivano.
A tal proposito può essere significativa la descrizione di una esecuzione di Tartini a cui assistette il conte Giordano Riccati nel 1758 a Padova: Gran silenzio, grand’attenzione si fece e Tartini appoggiò il lung’arco sulle corde. Vedendol poggiar alla punta (contrariamente all’uso solito) e vedendol guardar assai fissamente la corda, io pensai: che o provasse il suono di essa o accordasse ancora un istante; ma mi avvidi con maraviglia di no, ch’ei davver cominciava. Ei dunque cominciò con un’arcata all’insù, pianissimo, rendendo una voce inverosimilmente somessa […]. Talmente ricordo che ne’ primi istanti i’ provava un’impression fisica d’ansietà, di sgomento, poich’io non potea credere a’ miei orecchi: io non riuscia ad ammetter si potesse suonar così piano. – come si fa in questo modo? – pensavo. Io non potea ammetter che un esser come gli altri (almen nell’apparenza) potesse produr de’ simili suoni. Oh come descriver il pianissimo di Tartini? Le angeliche note lente dell’Adagio eran mormorate l’una appresso all’altra siccome confidenze d’anime celesti, e io mi sentia mancar il respiro per l’intensa attenzione; mia moglie compartecipava ogni mia impressione. E non peranco trascorse che poche battute. Quel gran professore seguitava frattanto con più veemente espressione. O come ridir la varietà degli accenti, e il modular de’ toni, e lo sfumar dell’arcate e l’sospirar de’ piano e il risuonar dei forti? Ei finì come in sogno, siccome aveva principiato; parea che l’arco non più gli terminasse. Finito ch’egli ebbe sembrommi d’esser un altro.
Concerto a sua Eccellenza Lunardo Venier in la minore (1770)
Al suo ritorno da Praga Tartini aveva ormai raggiunto una fama internazionale: la sua eccellente tecnica virtuosistica lo fece diventare un punto di riferimento per molti violinisti e la sua Scuola delle Nazioni, istituita a Padova. Dopo il 1727, fu meta di musicisti provenienti da tutta Europa, ansiosi di apprendere i segreti della tecnica violinistica e della composizione del maestro di Pirano. Negli anni successivi Tartini si esibì a Parma, Bologna, Camerino e Ferrara ma l’attività concertistica venne progressivamente subordinata agli impegni relativi alla sua attività didattica e compositiva e al contratto di primo violino che lo tenne legato alla basilica del Santo fino alla sua morte.
All’interno della produzione musicale tartiniana si distinguono due generi nettamente predominanti: il concerto per violino solo e archi, e la sonata per violino con accompagnamento opzionale del basso continuo. A questi due generi si aggiungono le sonate a tre e a quattro, per archi, e pochissime composizioni vocali.
La sua scelta di non cimentarsi con il melodramma e con gli altri generi vocali ha un carattere volontario e rispecchia una certa consapevolezza dei propri mezzi: come lui stesso dichiarò nel 1739 «Sono stato sollecitato a comporre per i teatri di Venezia, ma non l’ho voluto mai fare, sapendo bene che una gola non è un manico di violino».
Non esistono, purtroppo, elementi che permettano un’esatta datazione delle composizioni tartiniane, poiché gli autografi non riportano alcuna indicazione a riguardo.
Sia nel concerto che nella sonata emerge, dal punto di vista stilistico-strutturale-strumentale, l’influenza di Arcangelo Corelli, il cui stile è riconoscibile soprattutto nei primi lavori tartiniani in cui la tecnica strumentale e quella compositiva rimangono essenzialmente separate. Si possono schematicamente descrivere i tratti salienti della prima fase compositiva di Tartini:
- netta distinzione tra gli episodi del solo e quelli del tutti (contrapposizione concertino / concerto grosso)
- funzione marginale del movimento lento centrale
- presenza di interi movimenti in stile imitativo polifonico
- tecnica violinistica di carattere «spettacolare»
In un periodo successivo, saranno i movimenti lenti a stabilire la connessione tra gli episodi tematici e quelli più strettamente virtuosistici.
Per fornire un quadro esaustivo sullo stile compositivo tartiniano, si è ritenuto utile citare la descrizione fornita da Petrobelli nel DEUMM (ad vocem): «Già intorno al 1730 tanto la struttura del concerto come quella della sonata sono chiaramente stabilite. In 3 mov. il concerto: 2 allegri che racchiudono un mov. lento; nel mov. Allegro d’inizio l’alternanza fra episodi del tutti ed episodi del solo avviene secondo uno schema architettonico e tonale ben definito, in conseguenza del quale 4 episodi del tutti racchiudono 3 episodi del solo; dal punto di vista tematico, questo mov. si articola in una esposizione, una parte di sviluppo e una ricapitolazione della parte iniziale (sez. riconoscibili, oltretutto, attraverso la relazione delle tonalità). La medesima struttura viene fondamentalmente adoperata per il terzo mov. anche se questo si differenzia dal primo nel metro e nella maggiore scorrevolezza del linguaggio sonoro, spesso avente carattere di mov. di danza. In 3 mov. pure la sonata: un tempo lento iniziale seguito da 2 mov. veloci, questi ultimi di ritmo generalmente contrastante, tutti e 3 i mov. appartengono di regola alla medesima tonalità. Nella sonata, il principio che regola la successione dei mov. è quello del graduale aumento di agogica, dal primo all’ultimo tempo, avendosi nel movimento centrale il massimo di concentrazione cinetica, concentrazione che si distende di solito nel mov. finale (questo pure atteggiato spesso a ritmi di danza). Pur nella varietà degli aspetti che si presentano nella successione cronologica delle opere, principio formale costante nel mov. di sonata tartiniano è quello della forma bipartita, che è strettamente connesso sia a aspetti motivo-tematici, sia a aspetti tonali. […]
Accanto a questi principi generali di struttura, si possono con eguale facilità individuare fin da questo periodo nell’opera tartiniana determinate idee melodiche e ritmiche, organizzate in «temi» veri e propri, e alcune «frasi» di passaggio all’interno dei singoli mov., quei temi e quelle frasi nella loro inconfondibile individualità fanno riconoscere senza possibile ombra di dubbio fin dalle prime battute una composizione di T.; ed è significativo che questi temi e queste frasi, che si manifestano così evidentemente fin dall’inizio, divengano, a un certo momento dello sviluppo della produzione tartiniana, intercambiabili fra sonata e concerto: divenuti forma dello stile del musicista, essi sono ormai indipendenti dal genere in cui si manifestano. Fin dall’inizio poi la produz. tartiniana è caratterizzata da preferenze che il compositore dimostra per determinate successioni di intervalli e per l’uso di successioni armoniche a lui caratteristiche: tipica la presenza costante, al termine di ogni mov., dell’accordo «vuoto» (e cioè formato dal fondamentale e dalla quinta del tono, essendo la terza esclusa di proposito).
Se in questa scelta di elementi linguistici la personalità di T. manifesta la propria indipendenza, in altre invece l’evoluzione da un modello di stretta osservanza corelliana avviene in maniera graduale; nell’accomp. degli episodi solistici dei concerti si passa da una semplice realizzazione dei suoni fondamentali degli accordi per mezzo dello strum. del cont., alla trasposizione della funzione dell’accomp. ai due primi vl. di concertino; la distinzione fra sez. «tematiche» e sez. «virtuosistiche» per la parte del solista tanto nella sonata quanto nel concerto tende a scomparire, divenendo l’abilità strumentale parte integrante del linguaggio melodico (significativo in questo senso il fatto che il «capriccio» alla fine dell’ultimo tempo del concerto compare solo nelle opere del primo periodo); ma soprattutto il mov. lento centrale del concerto, e il mov. lento della sonata rivelano l’evolversi dello stile mus. tartiniano, questa trasformazione cioè della virtuosità strumentale in carica espressiva».
La tendenza di Tartini a mescolare liricità, pathos, virtuosismo, frequenti effetti di eco, occasionali impudenze armoniche ed elaborate formulazioni cadenzali rende la sua produzione musicale inconfondibile con quella di altri compositori a lui contemporanei.
Burney disse a proposito della sua musica: "La sua melodia era ricca di fuoco e di fantasia, e la sua armonia, per quanto sapiente, era semplice e pura […]".