La buona società viennese che si trovava alla prima rappresentazione di Orfeo ed Euridice, l'opera di Gluck andata in scena il 5 ottobre 1762, dovette uscire non poco sconcertata dal Burgtheater. Aveva infatti assistito ad un'opera che non si contentava di introdurre radicali novità nel linguaggio musicale, ma metteva in discussione lo stesso spettacolo dell'opera in musica, le convenzioni teatrali nella quali si riconosceva la società del tempo.
In un'epoca in cui il teatro veniva frequentato per coltivare le relazioni sociali e si prestava un orecchio piuttosto distratto alla musica (le attenzioni più vive erano riservate solo alle prestazioni canore dei virtuosi più celebri), Gluck non fu subito capito. Il compositore pretendeva di organizzare l'opera in base ad un'azione coerente, che il pubblico fosse tenuto a seguire da cima a fondo; pretendeva di subordinare alle esigenze del dramma i singoli momenti, riducendo perciò il tradizionale sfoggio di puro virtuosismo dei cantanti; pretendeva di far intervenire il coro con larghezza, non limitandolo ad una funzione solamente scenografica, inserendolo anzi nell'azione. Ma non solo: forzava anche il linguaggio tradizionale in direzione di un'espressività più accesa e violenta.
Per il pubblico alquanto conservatore di Vienna tutto questo era troppo. Infatti l'Orfeo di Gluck, la prima opera riformata, cioè ispirata ai nuovi principi, frutto della collaborazione con il librettista Ranieri de' Calzabigi, doveva trovare terreno fertile non nella tradizionale Vienna ma nella più aperta e ricettiva Parigi, dove l'opera fu accolta con interesse e favore alcuni mesi dopo le prime rappresentazioni viennesi.
Trama
“Azione teatrale per musica”, come la definì il Calzabigi, “Orfeo ed Euridice” vede nel I Atto Amore (soprano), inviato da Giove, promettere a Orfeo (contralto), disperato per la morte dell'amata Euridice (soprano), che la riavrà purchè la conduca fuori del regno dei morti senza mai voltarsi a guardarla.
Nell'Atto II Orfeo, domate le Furie col suono della sua lira, raggiunge Euridice nei Campi Elisi, dove essa danza assieme agli spiriti beati. La prende per mano e, senza guardarla, la guida sulla via del ritorno. Ma (Atto III, Scena I), Euridice è indotta dal suo atteggiamento a temere che egli non l'ami più, e si dispera fino a costringerlo a voltarsi. Nello stesso istante si spegne ai suoi piedi.
Orfeo sembra impazzire dal dolore, Che farò senza Euridice?
Interviene però Amore (Scena II), che riporta Euridice alla vita, conducendo l'opera a un imprevedibile lieto fine (Scena III), dettato probabilmente dalle circostanze in cui il lavoro venne per la prima volta rappresentato.
Interpretato allora dal castrato Gaetano Guadagni, il ruolo d'Orfeo, passato nella versione francese a un tenore con risultati non felici, continua oggi ad essere affidato ad un contralto, il cui registro sembra insostituibile per dare alla figura del mitico cantore quella mistica purezza capace di affascinare dei, uomini e animali.
Aria Che farò senza Euridice dall'Orfeo ed Euridice di C.W.Gluck