Tra la seconda metà del '600 e la prima del '700 c'è un notevole interscambio culturale tra i centri musicali più attivi d'Italia e d'Europa: non si può essere consacrati al successo se non si espugnano tutte “le piazze” strategiche e i palcoscenici di prestigio delle grandi capitali culturali. Mai questi flussi di artisti e musica furono così intensi come tra Roma, Napoli e la Spagna.
Questi tre luoghi erano accomunati non solo dall'appartenenza alla comune matrice cattolica ma rappresentavano da secoli un baluardo stesso della critianità: Napoli era sotto la diretta influenza del soglio pontificio di Roma e la Spagna, soprattutto sotto Filippo II, era a ragione appellata la “cristianissima”. Questo crea un background culturale ideale per far cricolare in questo triangolo modelli, generi e forme musicali simili e ugualmente bene accette al pubblico delle tre località.
Napoli e la Spagna avevano stabilito un legame politico all'inizio del '600 e si vedrà come la dominazione iberica abbia lasciato profondi segni linguistici, culturali e stilistici nella città partenopea e come questo rendesse quasi più naturale per musicisti e cantanti una migrazione verso la Spagna piuttosto che verso altri lidi.
Ancora quasi 100 anni dopo non è raro trovare a Napoli molti che parlino correntemente lo spagnolo e che considerino la cultura iberica come parte integrante della loro matrice culturale.
La grande tradizione teatrale italiana e spagnola, unitamente al dilagare del fanatismo per l'opera lirica, accomuna ancor di più queste tre capitali.
Roma ebbe motivi di richiamo culurali e politici verso gli artisti di Napoli: la presenza dell' Accademia dell'Arcadia aveva richiamato molti autori interessati al ritorno ad un pursimo delle forme e ad una sobrietà strutturale. Tra questi, Alessandro Scarlattiche, pur essendo annoverato tra i grandi della scuola napoletana, dal 1679 frequentò assiduamente l'ambiente romano e i circoli del “Bosco Parrasio”.
Essendosi già da giovanissimo fatto notare per la sua abilità clavicembalistica e per le cantate sacre, Scarlatti “salva” i teatri e i cantanti di Roma dal rischio di una prolungata inattività: nel 1703 il papa aveva promulgato un divieto di rappresentare opere per cinque anni come ringraziamento per la salvezza dell'Urbe da una serie di terribili terremoti che avevno colpito la regione. Alessandro Scarlatti, come forma alternativa al melodramma e lecita in quanto di carattere sacro, propone la forma dell'oratorio, portandola a vette insuperate di perfezione.
Il clamoroso successo dei suoi oratori in italiano, rappresentati nelle Basiliche come nei palazzi signorili dei Cardinali Ottoboni e Ruspoli e nella residenza della sua protettrice Cristina di Svezia, crea il miglior presupposto per l'ingresso di Scarlatti nel mondo del teatro: e quale sede migliore per farlo se non Napoli, la città del “belcanto” che può vantare il più grande vivaio di cantanti d'Europa?
Nella città partenopea compone più di 35 drammi e diventa il principe incontrastato dei teatri: ormai anziano è venerato dai grandi esponenti della scuola napoletana forma i drammaturghi della generazione successiva, primi tra tutti Durante e Pergolesi.
Anche quest'ultimo sarà un'illustre emigrante napoletano a Roma ma stavolta per motivi politici: Il 10 maggio 1734 Carlo di Borbone aveva conquistato la città di Napoli e gran parte dell'aristocrazia asburgica che aveva fornito appoggio e sostegno alla carriera di Pergolesi che aveva trovato rifugio a Roma. Anche lui decide quindi di lasciare il luogo in cui si era formato presso il “Conservatorio dei poveri di Gesù Cristo” e di seguire la nobiltà. Rappresenterà nel 1735, senza grande successo, le opere Olimpiade e Flaminio, rispettivamente al teatro di Tordinona e al Teatro Nuovo.
In quegli stessi anni il suo concittadino Niccolò Jommelli si divideva tra Napoli e Roma, facendovi rappresentare le sue opere e mietendo successi in entrambe le capitali.
Scoraggiato dalla disorganizzazione dei teatri di una Roma che ormai si avvia al tramonto della sua supremazia musicale, Pergolesi torna a Napoli, dove viene accolto da grandi successi e il suo Stabat Mater viene addirittura sostituito a quello “mitico” di Alessandro Scarlatti, che dal 1724 veniva eseguito ogni anno a Pasqua nelle chiese napoletane.
Anche il figlio di quest'ultimo, Domenico, non mancherà di viaggiare portando in giro per l'Europa la grande eredità paterna e della scuola napoletana a cui si era formato: sarà a Roma, dove sulle orme del genitore sarà un protetto del Cardinale Ottoboni e si farà conoscere come virtuoso del clvicembalo, soprattutto in occasione dell'incotro-sfida con Handel. Entrato a servizio della Principessa Maria Barbara, si trasferì a Madrid nel 1733 e quando la sua allieva salì al trono vi si stabilì definitivamente fino alla morte, ricoprendo l'incarico di primo musicista di corte.
Tuttavia Domenico alla corte di Spagna non era solo: tra i numerosi artisti italiani e napoletani che avevano prestato e prestavano il loro servizio per i regnanti iberici spicca il suo concittadino Carlo Broschi, detto Farinelli .
Il sopranista allievo di Nicola Antonio Porpora, che aveva stregato con la sua voce il malinconico Filippo V prima e Ferdinando VI poi, fu nominato Cavaliere di Calatrava ed ebbe grande influenza sulla corte: in partcolare riuscì a dare grande impulso all'opera italiana, riservando un teatro a questo tipo di spettacoli, e dirigendo i lavori di realizzazione e gli allestimenti dell'opera di Madrid.
Favorì in questo modo l'attività dell'amico-concittadino Domenico, con il quale collaborò in modo costante e duraturo e che ebbe occasione di farsi apprezzare come drammaturgo e come virtuoso della tastiera.
Altro personaggio di spicco della scena musicale italiana di primo'700 è Leonardo Vinci che, dopo essersi formato a Napoli presso il conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo ed aver contribuito con Leonardo Leo alla diffusione del melodramma componendo numerose opere in dialetto partenopeo, fu chiamato a Roma nel 1724 per rappresentare al teatro Alibert il suo Farnace, composto su libretto di Antonio Maria Lucchini. Alla rappresentazione, che ebbe un successo strepitoso, parteciparono il virtuoso della Real Cappella di Napoli Domenico Gizzi e Carlo Broschi, detto Farinelli. Nel suo fortunato soggiorno romano, Vinci conobbe il librettista Metastasio, iniziando con lui una collaborazione che lo porterà a dividersi per anni tra Napoli e Roma. Tutti i suoi grandi successi saranno rappresentati in entrambe le capitali musicali, decrtetandone definitivamente il trionfo nel 1730 con l'allestimento romano dell'Artaserse, ultima opera di Vinci e vero suggello per l'ingresso nell'empireo del grande melodramma italiano. Morirà infatti all'apice del suo successo, forse vittima di un avvelenamento.