Nel 1645, il poeta spagnolo Calderòn de la Barca mette in scena la sua rappresentazione teatrale allegorica “El Gran Theatro del Mundo”. Un grande affresco della sua epoca, alla quale calza a pennello l’antico topos della “vita come messa in scena”. Di fronte a Dio padre e alla sua corte celeste gli uomini agiscono come attori. Lo spettacolo che rappresentano è l’esistenza, e il palcoscenico è il mondo.
Il “Teatro del Mondo” è la metafora dell’arte barocca. Il periodo compreso tra il XVII e il tardo XVIII secolo è attraversato da forti contrasti: essere e apparire, fasto e ascesi, potere e impotenza.
Mentre la realtà è sconvolta da conflitti sociali, guerre, lotte di religione, la messa in scena fornisce un appiglio sicuro. I signori barocchi, papi e re, rappresentano se stessi nella luce migliore, secondo un preciso programma politico: il cerimoniale diventa lo specchio di un presunto ordine superiore di natura divina.
Naturalmente, non è sempre possibile allontanare le avversità della vita quotidiana. Così, allo sfarzo inaudito e allo sfoggio materiale si contrappone la pia devozione e la riflessione sull’inevitabilità della morte. In età barocca il motto memento mori, “ricorda che devi morire”, diventa il leit motiv di una società turbata dalle difficoltà dell’esistenza. E le splendide nature morte dipinte celano innumerevoli richiami alla caducità sotto forma di una mela bacata, di un acino guasto o di un pezzo di pane morsicato.
La definizione più immediata e illuminante è quella derivata dall’opera di Calderon de la Barca. L’unica che, pur constando di solo quattro parole, non toglie al Barocco nulla di ciò che abbia assaggiato, sperimentato, accolto in toto o in parte. Cosa c’è di più vasto e contraddittorio del mondo? E quale luogo è più adatto a rappresentarlo del teatro, con la sua capacità di spaziare tra commedia e tragedia, farsa e dramma liturgico, sfarzo e miseria?
Il Barocco
Termini come “Gotico”, “Manierismo” sono nati in bocca a critici che pensavano di quegli stili tutto il male possibile. La stessa sorte tocca al Barocco. Prima che, alla fine del XIX secolo, abbia potuto affermarsi come concetto di stile, esso era già usato ampiamente come aggettivo per indicare qualcosa di “stravagante, bizzarro, confuso, artificiale e falso”. Ancora nel 1904, la seconda edizione del Meyers Konversationslexicon recita: “Barocco…ovvero falso tondo (usato per le perle), e anche irregolare, strano, sorprendente…” E ancora negli anni Venti del XX secolo, ad esempio nelle lezioni di Benedetto Croce, perdura un’immagine negativa del “barocco”.
L’estetica classica o classicista del Settecento inoltrato lo rinnegava, e le Accademie propagandavano l’immagine negativa di un’arte ampollosa e ridicola. Per Winkelmann il barocco non era nient’altro che “una febbrile agitazione”. Sembrerebbe un giudizio tutto sommato poco svilente, se non ricordassimo che per il Winkelmann la “quieta grandezza” e la “nobile semplicità” erano le qualità fondamentali dell’opera d’arte. Nelle sue intenzioni, la definizione del barocco come “arte febbricitante” era un vero e proprio insulto.
Le cose migliorarono con Jacob Burckhardt. Benché fosse legato, come Winkelmann, all’ammirazione per l’antichità classica, studiò l’architettura del Seicento e Settecento mettendone in risalto la continuità con la ricchezza di forme del Rinascimento. Certo, descrisse il passaggio dal Rinascimento al Barocco come “l’inselvatichimento di un dialetto”, ma aveva evitato d’interpretare quest’ultimo come fenomeno anomalo. Nel 1875, Burckhardt riconosceva: “la mia ammirazione per il barocco aumenta di ora in ora, sono propenso a considerarlo l’autentica conclusione e il massimo risultato dell’architettura esistente”. Insomma, non è stato un colpo di fulmine ma un innamoramento progressivo.
I tempi per la riabilitazione erano ormai maturi. Negli anni Ottanta del XIX secolo, il “barocco” divenne definitivamente oggetto di ricerca. Non a caso: dalla metà del XIX secolo in poi, la pittura aveva cominciato a dare parecchi scossoni ai dogmi dell’Accademia grazie agli impressionisti e ai loro predecessori. Col venir meno dei vincoli normativi accademici si introdusse la formulazione del termine tecnico “barocco” usato come sostantivo. Pensò poi Heinrich Wolfflin a determinare per decenni l’indirizzo della ricerca sul Barocco, con le sue opere fondamentali Rinascimento e Barocco (1888) e Principi fondamentali della storia dell’arte (1915).