E' mia ferma intenzione non intraprendere mai una guerra ingiusta ma anche non porre mai fine a una guerra giusta senza aver sconfitto il nemico. Carlo XII di Svezia
L'anno 1700 vide la vittoria spettacolare degli svedesi guidati da Carlo XII sullo zar Pietro il Grande nella città di Narva, importante centro strategico sul Baltico.
La Svezia era definita "la padrona del Nord" per la sua grande influenza sull'Europa settentrionale e sembrava destinata ad estendere il suo dominio anche ad oriente; nessun ostacolo pareva esserci tra il suo esercito ben addestrato e la mal difesa città di Mosca. Ma Carlo XII, giovane ed enigmatico genio militare, che era diventato in pochi anni un eroe di fama internazionale, indugiò.
Per nove anni il sovrano svedese condusse faticose campagne contro nemici di poco conto, mentre lo zar organizzava un esercito moderno e la prima flotta russa.
Il risultato fu la leggendaria battaglia di Poltava del 28 giugno 1709, che vide la disfatta della Svezia e Carlo XII, ferito e umiliato, fuggire.
Ma chi era questo genio militare che, a causa delle sue esitazioni, aveva gettato al vento la grande occasione della sua vita?
La giovinezza
Carlo XII era nato a Stoccolma il 17 giugno 1682, figlio primogenito del re Carlo XI e di Ulrica Eleonora di Danimarca.
Quando Carlo XI morì di cancro allo stomaco a soli 42 anni, il quattordicenne Carlo era già stato preparato da tempo a succedergli. Allontanato dalle cure femminili a 6 anni (la madre morì quando aveva 11 anni), il ragazzo aveva imparato ad amare gli sport più duri, i giochi militari, autoimponendosi prove di resistenza, e la caccia all'orso. A parte un unico flirt, Carlo XII disdegnava la compagnia femminile e non si sposò mai. Il suo unico sogno erano i campi di battaglia.
Dotato di un'intelligenza eccezionale, il suo modello era Alessandro il Grande la cui biografia lo accompagnò per tutta la vita. Riflessivo, convinto che la giustizia e la verità fossero i valori più importanti, profondo conoscitore della Bibbia, esigeva che i suoi soldati, di religione luterana, pregassero due volte al giorno.
Il suo carattere turbolento aveva sollevato scandalo a Stoccolma e nonostante esistesse un consiglio di reggenza che doveva sovrintendere alle sue decisioni fino alla maggiore età, fu subito chiaro che il giovane re era ben deciso a governare di fatto. Così, tra lo sconcerto dei sudditi, si autoincoronò a 15 anni.
Alla ricerca da sempre di emozioni nuove, il sovrano era capace di ubriacarsi fino all'intontimento. Ma un giorno, dopo aver provocato la morte di un orsetto, mentre era sotto l'effetto dell'alcol, giurò a se stesso, sbollita l'ubriachezza, di mantenersi sobrio per il futuro. In effetti, da quel giorno bevve solo un pò di birra allungata con acqua.
I buoni propositi del sovrano giunsero nel momento propizio. Da tempo circolavano voci sulla sua inettitudine a governare risvegliando la sete di conquista della Danimarca, della Sassonia-Polonia e della Russia, che si accordarono per sfruttare la situazione, invadendo immediatamente la Svezia per spartirsi le sue terre.
Quando nel 1700 i nemici attaccarono la Svezia, Carlo XII fu colto di sorpresa ma cercò di mantenere la calma. La sua prima decisione strategica fu semplice ed efficace: si concentrò su un nemico alla volta, convinto che Dio fosse dalla sua parte.
Il 13 aprile del 1700 re Carlo partì per la Danimarca: non poteva immaginare che non avrebbe mai più rivisto Stoccolma. Aveva solo 19 anni!
Con una manovra coraggiosa che mise in allarme i suoi consiglieri, riuscì a congiungere la sua flotta alle navi inglesi e olandesi inviate dall'alleato Guglielmo III d'Inghilterra.
In due settimane, Copenaghen si ritrovò circondata e con la flotta messa fuori uso. A Federico di Danimarca non rimase che firmare un trattato che ristabiliva lo status quo precedente la sua invasione.
Re Carlo inviò immediatamente il suo esercito, ben equipaggiato e con i nuovi moschetti a pietra focaia e le baionette, contro le forze russe acquartierate vicino al Baltico. Le bufere invernali e la strategia della terra bruciata adottata dai russi convisero lo zar che gli svedesi non avrebbero potuto raggiungerlo a Narva nell'immediato ma non aveva fatto i conti con la fermezza del suo giovane avversario.
Il 13 novembre Carlo si mise in marcia con i suoi 10.500 uomini verso la città fortificata, dove quasi 40.000 russi erano in attesa. Quando giunse la notizia che l'esercito svedese era vicino, Pietro il Grande agì in un modo che lascia ancora oggi perplessi gli storici. Si ignora se si allontanò per cercare di contattare il solo alleato che gli era rimasto, Augusto di Sassonia-Polonia, o se fuggì in preda al terrore; sta di fatto che lasciò i suoi soldati nelle mani di un comandante che non parlava neppure la loro lingua.
Il 20 novembre 1700, l'esercito svedese giunse a destinazione e quando, verso mezzogiorno, si levò una bufera di neve, Carlo affermò che era un colpo di fortuna; il vento spostava il turbine accecante contro i russi, coprendo alla vista l'avanzata svedese.
Nel primo pomeriggio il giovane re lanciò un attacco fra i più famosi della storia. Nonostante gli svedesi fossero numericamente inferiori ai russi nel rapporto di quattro a uno, essi marciarono a rotta di collo attraverso mille ostacoli sconfiggendo in breve gli avversari. Circa 10.000 soldati dello zar annegarono nel fiume mentre tentavano la fuga; altri morirono nel crollo di due ponti. Coloro che si arresero furono talmente numerosi che Carlo dovette far riparare di nascosto un ponte per farli scappare; in caso contrario, avrebbero potuto ribellarsi ai vincitori.
La notizia della vittoria svedese e della disfatta russa fece il giro d'Europa. Celebrato come eroe e genio militare, Carlo XII ricevette in dono un medaglione raffigurante la fuga dello zar. Nasceva in questo modo il mito del re invincibile.
Carlo, inebetito dalla vittoria finì per credere anche lui alla sua invincibilità, determinando in questo modo la sua rovina.
I dieci anni successivi
Poichè la Russia pareva inerme, Carlo XII meditò di sferrare un attacco decisivo alla città di Mosca ma fu proprio questa apparente inerzia a farlo cadere in un errore di calcolo e a farlo tergiversare. Fame e malattie avevano indubbiamente fatto pagare un duro colpo ai suoi soldati ma la decisione che prese fu fatta in base a considerazioni personali. Il sovrano di Sassonia, Augusto, non ancora sconfitto in questa guerra, era suo primo cugino e l'aver partecipato all'invasione della Svezia rappresentava un imperdonabile tradimento, almeno agli occhi del giovane re. Fu così che Carlo decise di ignorare i russi sconfitti e inerti per volgere la sua attenzione ad ovest.
Nessuno comprese l'errore del re, nessuno tranne Pietro il Grande il quale scrisse nel suo diario che il disastro di Narva aveva indotto lui e il suo popolo ad essere "attivi, laboriosi e a fare esperienza". Mentre Carlo vessava i sassoni con le sue mosse tattiche (bruciava, per esempio, sterco e fieno umido per creare una cortina fumogena mentre attraversava un fiume) lo zar si dedicava alla costruzione di una macchina da guerra, devolvendo a scopi militari forse anche il 90% delle risorse dello stato. In modo altrettanto significativo, fondò una città nuova fra gli acquitrini sulle rive del Baltico, contro il volere dei nobili e del popolo stesso. La costruzione di San Pietroburgo dimostrava la sua ferma determinazione di stabilirsi a combattere sulla costa.
Per sei anni re Carlo continuò a rincorrere il cugino Augusto, l'elettore di Sassonia che si era proclamato anche re di Polonia. Ad un certo punto, esasperato, il sassone mandò la più affascinante delle sue amanti dal cugino per convincerlo a negoziare ma, da scapolo impenitente quale era, Carlo la congedò gentilmente. Fu ripagato della sua tenacia perchè nell'autunno del 1706, Augusto fu costretto a rinunciare alla Polonia, consentendo a Carlo di installarvi un sovrano-fantoccio.
Sicuro di sé fino alla tracotanza, Carlo aveva sconfitto due dei tre sovrani che avevano osato invadere il suo impero e nel 1707 progettò di liquidare il terzo, Pietro il Grande.
Di nuovo contro lo zar
Durante la lunga pausa delle ostilità, lo zar aveva riportato alcune piccole vittorie, come la riconquista di Narva, dove gli svedesi erano stati massacrati senza pietà.
Le truppe russe avevano appreso la disciplina militare e, come Carlo, anche Pietro aveva adottato gli ultimi ritrovati in fatto di fucili e baionette, nonchè un cannone mobile in grado di sparare proiettili da tre libbre. Eppure gli svedesi che nel 1707 intrapresero la marcia alla volta di Mosca (circa 1500 chilometri) sembravano invincibili, soprattutto per la loro bravura nel combattimento corpo a corpo. Inoltre gli svedesi erano ben nutriti e con splendide uniformi gialle e blu. Li attendeva però, un paese come la Russia, con il suo clima traditore.
Mentre lo zar metteva in atto una ritirata strategica, lasciando dietro di se distruzione e razzie, gli svedesi dovevavo spesso fare i conti con attacchi di abili cecchini locali; rimasti senza cibo, cominciarono ad uccidere i bambini per costringere i contadini a rivelare i nascondigli delle provviste.
Dopo un'importante vittoria sui russi, Carlo fece arrestare l'esercito a metà strada per Mosca, mentre lo zar cercava di indovinare le sue mosse.
Vi erano tre strade per raggiungere Mosca: Pietro fece terra bruciata in tutte e tre le direzioni, così gli svedesi non trovarono nulla da mangiare. La contesa vide di fronte 110.000 russi e forse 62.000 svedesi, con quest'ultimi ridotti alla fame.
Per rifornirsi prima di tentare un assalto, re Carlo si diresse, nell'estate del 1708, verso le fertili regioni meridionali e questo fu un ennesimo errore: si spostò infatti di 150 chilometri dai rinforzi in arrivo verso di lui con cibo e materiale; circa la metà dei suoi 12.000 svedesi in marcia per raggiungerlo furono uccisi o fatti prigionieri. I russi avevano previsto la sua mossa e ancora una volta misero a ferro e fuoco la zona in cui Carlo si aspettava di trovare i rifornimenti.
In Europa l'inverno 1708-1709 fu il peggiore a memoria d'uomo. Circa 3000 uomini del re di Svezia perirono, ma con tenacia Carlo riuscì a tenere riunito il suo lacero esercito, condividendo lo scarso cibo con i soldati. In aprile strinse d'assedio i russi rintanati nella cittadina di Poltava. Disponeva solo di 19.000 uomini contro i 42.000 russi; i suoi consiglieri lo esortavano a ritirarsi e a tornare in patria ma la forza morale del re riuscì a convincere i suoi soldati che la vittoria era possibile.
Quando il sovrano fu ferito ad un piede da una pallottola, un brivido percorse il suo esercito. Stoico come sempre, aveva continuato a guidare i suoi per tre ore; di fronte all'esitazione dei medici che avevano tentato di togliere le schegge dalla ferita, il re si era reciso le carni da solo, senza mai mostrare sofferenza. Tuttavia gli salì la febbre e le sue condizioni peggiorarono. Da una lettiga, nonostante tutto, ordinò l'assalto e fu un disastro. I suoi comandanti, invidiosi l'uno dell'altro, non si comunicarono le reciproche mosse e senza la guida del re, fra gli svedesi si creò il caos, mentre il fuoco russo abbatteva la fanteria.
Alla fine della giornata l'esercito svedese si ritrovò decimato. Avvilito e ancora febbricitante, Carlo giaceva in silenzio mentre lo allontanavano dal campo. Inseguito dai russi, riuscì a malapena a fuggire attraverso la steppa fino al fiume Bug, dove attraversò la frontiera con l'impero ottomano.
Con la vittoria sulla Svezia, la Russia sottraeva a Carlo il dominio sull'Europa settentrionale. Carlo fu costretto a vivere per lunghi anni ospite-prigioniero dei turchi. Finalmente, nel 1714, riuscì a fuggire e, a cavallo, raggiunse la Svezia in sole due settimane, viaggiando sotto il nome di "capitan Frisk".
Nell'intento di risollevare lo spirito del suo paese, attaccato da ogni parte, intraprese una campagna contro la Norvegia, primo passo verso una nuova guerra contro la Russia, ma fu colpito a morte il 30 novembre 1718, durante l'assedio alla fortezza di Fredriksten.
Morte in battaglia o assassinio?
Carlo appariva pensoso e triste la sera del 30 novembre 1718 mentre osservava i suoi soldati nelle trincee presso la fortezza di Fredriksten.
Verso le nove e mezza di sera sollevò il capo oltre il bordo della trincea di prima linea per osservare il fuoco nemico, appoggiando il mento sulla mano.
Gli amici, spaventati, lo esortarono a non esporsi così al pericolo, ma, all'improvviso, udirono un tonfo sordo: il re era caduto e giaceva a terra esanime. Era stato ucciso da un proiettile di moschetto che gli aveva forato la tempia sinistra.
Corse voce che qualcuno, in Svezia, avesse interesse ad ucciderlo. A trarre vantaggio dalla sua morte sarebbero stati la sorella minore, Ulrica Eleonora, e il di lei marito, Federico, duca di Assia, che si trovava con Carlo all'assedio di Fredriksten. Prima di lasciare Stoccolma, costui aveva imposto alla moglie di farsi incoronare regina nel caso fosse accaduto qualcosa al fratello.
Quando giunse la notizia della morte di re Carlo, Ulrica s'impossessò immediatamente del trono.
Nel 1722 il principe consorte Federico, in punto di morte e in preda ad atroci sofferenze, spalancò le finestre dell'appartamento reale, gridando che era stato lui ad uccidere il cognato.
Non è possibile sapere, oggi, se fosse in presa al delirio o se stesse effettivamente confessando il suo delitto in punto di morte.