Fine, perspicace, intelligente; madame de Sévigné fu una delle più preziose scrittrice del seicento tanto da partecipare a formare la struttura del francese moderno. Truppe di scrittori ne seguiranno lo stile , leggero, puntuale e freschissimo.
Ad onor del vero Madame non ebbe mai l’idea di far fortuna come scrittrice, non ne aveva bisogno e non ne era interessata alla fama. La sua fortuna letteraria infatti si deve alle belle lettere che scriveva alla figlia ed alla quale raccontava che accadeva a corte, presso il re e la regina, visto che lei era di casa. La sua opera quindi non è solo importante per la qualità ma anche per il punto di vista, sappiamo da lei cosa accadde al povero Vatel e come si viveva a corte sotto Luigi XIV e come si beveva la cioccolata. Non c’è scrittore di storia che non prenda in mano le sue lettere per usarle come testimonianza, come del resto pur io ho fatto in questo sito.
Marie de Rabutin Chantal, marquise de Sévigné nacque a Parigi nel 1626, rimasta orfana in tenera età, il padre fu ucciso in combattimento contro gli inglesi. Ebbe una cultura fuori dal coro, imparò l’italiano, il latino, lo spagnolo, danza, equitazione e declamazione!
Nel 1644 sposò il gentiluomo Henri de Sévignéebbe due figli ma il marito mori presto lasciandola vedova. Dal 1652 visse a Parigi vivendo intensamente nella società.
L'epistolario
Nel 1671 fa sposare la figlia con un luogotente generale del governo che si trasferì lontano da Parigi. Separata dalla figlia inizia l’epistolario. Un epistolario d’amore, ritmato in chiave materna: un poema sull’assenza, sulla solitudine, con colori idilliaci, drammatici o aspetti quotidiani. Ma nulla di quel che dice sembra superfluo nè pettegolo o altezzoso. Vissuta tra letterati e donne di lettere che di lettere hanno vissuto e ricercato lo stile raffinato per esser pubblicate lei invece si ritrova letta senza accorgersene.
Il suo stile è ricco di pathos, rotto e precipitoso fatto di pennellate che non ha eguali in tutto il seicento.
Il racconto del dramma di Vatel
È domenica 26 aprile: questa lettera partirà solo mercoledì; ma non è una lettera, è una relazione che Moreuil mi ha appena fatto, alla vostra intenzione, degli avvenimenti di Chantilly concernenti Vatel. Vi scrissi venerdì che si era pugnalato; ecco la vicenda nei particolari. Il re arrivò giovedì sera; la caccia, le lanterne, il chiaro di luna, la passeggiata, la merenda in un luogo tappezzato di giunchiglie, tutto si svolse nel migliore dei modi. Cenarono, vi furono alcune tavole cui mancò l’arrosto, a causa di vari commensali che non erano stati previsti; Vatel ne fu scosso, disse ripetutamente: «sono disonorato, è uno scorno che non sopporterò». Disse a Gourville: «Mi gira la testa, sono dodici notti che non dormo; aiutatemi a dar ordini». Gourville lo sollevò quanto poté. Quell’arrosto mancato, non alla tavola del re, ma alla venticinquesima, gli tornava sempre in mente. Gourville lo disse al Principe di Condé. Il Principe andò fino in camera sua e gli disse: «Vatel, tutto va bene; niente era così bello come la cena del re». Gli rispose: «Monsignore, la vostra bontà è il colpo di grazia; so che l’arrosto è mancato a due tavole». «Niente affatto,» disse il Principe, «non v’inquietate: tutto va bene». Viene la notte, il fuoco d’artificio non riesce, fu coperto da una nuvola, costava sedicimila franchi. Alle quattro del mattino, Vatel se ne va dappertutto, trova tutti addormentati, incontra un piccolo fornitore che gli portava soltanto due carichi di pesce fresco; gli domandò: «E tutto qui?» Gli disse: «Sì, signore». Non sapeva che Vatel aveva mandato a tutti i porti di mare. Aspetta un po’ di tempo; gli altri fornitori non vengono; la testa gli si scalda, crede che non avrà più altro pesce; trova Gourville e gli dice: « Signore, non sopravvivrò a questa onta. Ho un onore e una reputazione da perdere». Gourville lo prende in giro, Vatel sale in camera, mette la spada contro la porta, e se la passa attraverso il cuore, ma fu solo al terzo colpo, perché se ne diede due che non erano mortali; cade morto. Intanto il pesce arriva da tutte le parti: si cerca Vatel per distribuirlo, vanno alla camera, bussano, sfondano la porta, lo trovano affogato nel suo sangue; corrono dal Principe, che ne fu desolato. Il Duca pianse; su Vatel s’imperniava tutto il suo viaggio in Borgogna. Il Principe lo disse al re con gran tristezza; dissero che era un modo di rispettare il proprio onore; lo lodarono molto, lodarono e biasimarono il suo coraggio. Il re disse che da cinque anni ritardava la venuta a Chantilly, perché capiva gli eccessi di quest’incomodo. Disse al Principe che doveva preparare solo due tavole, e non farsi per niente carico di tutto il resto; giurò che non avrebbe più tollerato che il Principe si regolasse così; ma era troppo tardi per il povero Vatel. Intanto Gourville cerca di rimediare alla perdita di Vatel; fu rimediato; pranzarono benissimo, fecero merenda, cenarono, passeggiarono, giocarono, andarono a caccia; tutto era profumato di giunchiglie, tutto era incantato...
Il povero cuoco Vatel sarebbe morto invano se la buona Madame de Sévigné non ce l’avesse ricordato.