George Berkeley vescovo della Chiesa anglicana lavora ad una polemica contro deisti e liberi pensatori, a difesa della religione rivelata e della connessione tra religione e morale. La sua polemica coinvolge anche Newton perchè la sua concezione meccanicistica della realtà viene vista come una pericolosa concessione allo spirito antireligioso. Berkeley muove le sue considerazione al Saggio sull'intelletto umano di Locke riformulando l'empirismo lokiano secondo due linee di sviluppo: da un lato, esso viene radicalizzato al punto da mettere in dubbio alcuni capisaldi lockiani e da preparare la strada allo scetticismo di Hume. Dall'altro, esso si trasforma in una sorta di idealismo neoplatonico, nel quale la riduzione della realtà al suo essere percepita si traduce in un atteggiamento di mistica contemplazione delle idee in Dio.
George Berkeley nasce nel 1685 a Kilkenny in Irlanda durante le tensioni locali tra il ceppo celtico e la confessione cattolica tanto da lasciare l'Irlanda; prima per Londra, poi per un lungo viaggio in Francia e in Italia. Nel 1721 Berkeley ritorna in Gran Bretagna, dove si dedica al più grandioso progetto della sua vita: fondare un collegio nelle Bermude per evangelizzare i selvaggi americani. Partito per l' America nel 1728, deve però tornare in Inghilterra dopo aver assistito al fallimento del suo disegno. Si trasferisce quindi in Irlanda, dove diviene vescovo di Cloyne. Muore nel 1753.
Critica alle idee astratte
Secondo Berkley l'oggetto della conoscenza é costituito dalle idee, ossia le nostre rappresentazioni mentali, non crede nelle idee innate e ritiene che l'unica loro fonte sia l'esperienza. Quella che generalmente chiamiamo una "mela" non é che una collezione di idee di sensazione che l'esperienza ci presenta solitamente congiunte. Berkeley tuttavia ritiene che Locke non sia stato abbastanza fedele ai suoi presupposti almeno su un punto: per Locke, infatti, ciò che distingue il pensiero umano dall'attività psichica dei bruti é la facoltà dell' astrazione; per quanto i sensi offrano sempre idee particolari, l'uomo ha la capacità di formulare idee astratte, separandole dalle altre qualità dell'oggetto percepito: vediamo un libro giallo e sappiamo astrarre, tirar via mentalmente il giallo, la forma parallelepipedo, etc.
Berkeley ritiene per contro che questo processo non é possibile e le rappresentazioni mentali degli uomini sono sempre idee particolari: l'idea di giallo é data soltanto in quanto é riferita a un determinato oggetto ed é inseparabilmente congiunta con tutte le altre qualità di esso. Quando pensiamo ad un uomo, non formuliamo mai l'idea astratta "uomo", ma immaginiamo sempre un uomo alto o basso, biondo o bruno, grasso o magro. Dunque Berkeley risulta ancora più saldamente ancorato rispetto a Locke alla tradizione occasionista seicentesca e perviene ad un più rigoroso nominalismo. Berkeley sostiene che l'infondato riconoscimento di idee astratte porti con sé altri due errori grossolani perché conduce all'erronea distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie, la quale si basa sulla pretesa di astrarre dal complesso delle qualità percepite soggettivamente alcune qualità che, inerendo oggettivamente alle cose, siano suscettibili di misurazione matematica. Il secondo errore consiste nella falsa supposizione di una sostanza materiale da cui derivino le idee percepite dal soggetto conoscente: il dire che é il libro che é giallo; per Berkeley le cose non stanno così. Anche in questo caso si applica in modo sbagliato il procedimento astrattivo, pretendendo di separare l'esistenza degli oggetti dalle sensazioni attraverso cui essi vengono percepiti.
Critica alla distinzione tra qualità
Con il rifiuto della distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie Berkeley apporta una seconda importante correzione alla filosofia di Locke e nello stesso tempo prende decisamente le distanze da una tradizione oggettivistica che aveva caratterizzato tanto la "nuova scienza" galileiana quanto la "nuova filosofia" razionalistica di Cartesio. La dottrina delle qualità primarie equivaleva, infatti, al riconoscimento dell'esistenza e della conoscibilità di una realtà indipendente dalle modalità percettive e conoscitive dell'uomo. Ma nella prospettiva apologetica in cui si pone Berkeley tale realismo oggettivistico si espone a un duplice sospetto: esso riconosce alla realtà esterna un'autonomia che impedisce la completa risoluzione della realtà nello spirito e, contemporaneamente, esso contrasta la tesi che l'uomo dipenda esclusivamente da Dio anche per quanto riguarda la conoscibilità del mondo che lo circonda. La critica alle qualità primarie è rigorosamente fondata su presupposti empiristici, tanto da poter essere sostanzialmente ripresa più tardi da un autore assolutamente alieno dall'apologia religiosa come David Hume. Berkeley nega che la distanza e la grandezza degli oggetti che noi percepiamo mediante la vista siano determinabili in base a leggi ottiche aventi carattere geometrico. La nozione di queste qualità è invece data dall'esperienza: noi siamo abituati a connettere determinate idee visive con la partecipazione di particolari grandezze e distanze. A riprova di ciò Berkeley adduce il fatto che un cieco nato, cui sia restituita la vista con un'operazione chirurgica, non è in grado di percepire immediatamente, senza esperienze pregresse, la distanza che lo separa dagli oggetti che vede per la prima volta, come dovrebbe avvenire se tale distanza risultasse oggettivamente e matematicamente dalle leggi ottiche che presiedono alla visione. La stessa corrispondenza tra le idee visive e quelle tattili è soltanto una relazione soggettiva confortata dall'abitudine.
Il quadrato che vedo non è lo stesso quadrato che tocco, ma si limita a rappresentarlo o a "suggerirlo" nello stesso modo in cui, convenzionalmente, la parola "quadrato" rappresenta la cosa designata. La funzione esercitata dalle idee visive di distanza e di grandezza non è dunque conoscitiva, ma esclusivamente pratica: la distanza che vediamo separarci da un precipizio non ci fornisce alcuna conoscenza teorica sulla reale lontananza dell'abisso, ma è un segno convenzionale attraverso cui la natura, e tramite essa Dio, ci permette di non precipitare dentro di esso. La polemica contro la distinzione tra qualità primarie e secondarie diventa più aperta nel Trattato e soprattutto nei Dialoghi tra Hylas e Philonous. In queste opere Berkeley attua una vera e propria riduzione delle qualità primarie alle qualità secondarie.
Dopo aver ricordato che le qualità secondarie mutano a seconda del soggetto che le percepisce e delle condizioni in cui esso si trova, Berkeley intende dimostrare che anche le cosiddette qualità primarie lo stesso carattere relativo. Ciò che all'uomo appare estremamente piccolo, al più minuscolo degli insetti sembra gigante; a soggetti diversi lo stesso movimento può apparire lento o veloce; ciò che è duro per un animale è morbido per un altro, dotato di membra più robuste. Ma se le qualità primarie non possono essere distinte da quelle secondarie, diventa impossibile concepire l'estensione o il movimento come concetti non relativi: la tesi newtoniana di uno spazio e di un tempo assoluti appare il risultato di un erroneo processo astrattivo. Lo spazio risulta da una connessione soggettiva tra la percezione del nostro corpo e quella degli altri oggetti; così come soggettive sono le misure del tempo e del movimento, che sono determinate dalla velocità con cui le idee si succedono nella nostra mente. L'eliminazione delle qualità primarie, la cui prerogativa era di essere misurabili in termini rigorosamente matematici, è connessa in Berkeley con il ritorno ad una fisica di tipo qualitativo in opposizione al carattere quantitativo della tradizione galileiana newtoniana. In una delle sue opere conclusive, la Siris, egli celebra le virtù terapeutiche dell'acqua di catrame, dovute al fatto che in essa è contenuta un'anima vegetale a sua volta espressione dell' " anima del mondo " che permea l'universo.
Negazione della materia
Il processo di relativizzazione delle percezioni, su cui Berkeley fonda il rifiuto della distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie, si fonda su un presupposto filosofico ancora più radicale. Infatti, dire che ogni nostra percezione è soggettiva e priva di ogni riferimento a qualità che esistano "fuori della mente" equivale per Berkeley alla negazione di ogni sostanza materiale extramentale da cui derivino le idee. In altri termini, l'esistenza delle cose si esaurisce nel loro essere percepite: esse est percipi: l'esistere consiste appunto nell'essere percepito. Ancora una volta l'affermazione di una sostanza materiale esistente al di fuori della mente nasce da un falso processo di astrazione: dalle singole qualità percepite sensibilmente si astrae illegittimamente un sostrato metafisico, non percepibile con i sensi, che serve da loro elemento comune. Il movimento di pensiero è di tipo lockiano: ma se Locke si era limitato a negare la conoscibilità della sostanza Berkeley rifiuta la possibilità stessa della sua esistenza: la sostanza, la cosiddetta res extensa, non esiste. Nel linguaggio berkeleyano coloro che sostengono l'esistenza di una realtà materiale extralogica sono detti "materialisti". La sua filosofia si propone quindi come un radicale immaterialismo e, di conseguenza, come un altrettanto radicale spiritualismo, secondo il quale non esisterebbe altro che lo spirito. L'argomentazione di cui si avvale Berkeley per dar contro all'esistenza extramentale di una realtà da cui derivino oggettivamente le idee non si riferisce infatti alla sostanza in generale, ma soltanto a quella materiale. Il fatto che l'uomo abbia idee dimostra l'esistenza di uno spirito che le pensa. E il fatto che l'uomo abbia coscienza di idee che non é in grado di produrre da sé dimostra come esse provengano da uno spirito infinito (Dio). L'uomo ha nozione di una mente divina, che comunica con le menti umane mediante un linguaggio i cui segni sono costituiti appunto dalle idee. Oltre ad essere fonte di tutte le conoscenze umane, Dio é causa non solo delle idee, ma anche della loroconnessione. La corrispondenza del nostro modo di connettere le idee con il modo in cui esse sono connesse nella mente di Dio é infatti ciò che ci permette di distinguere la realtà dal sogno, in cui invece le idee sono connesse arbitrariamente. Nel contesto filosofico di Berkeley, nel quale va perduto il riferimento delle idee alla realtà esterna, l'unico fondamento dell'oggettività della conoscenza é la sua congruità con lo spirito infinito da cui proviene ogni forma di pensiero. Questo consente a Berkeley di riconoscere la validità delle leggi della natura, scoperte dalla scienza umana ma decretate dalla mente divina. Tali leggi però, non potendo aver riscontro nella realtà oggettiva, sono solamente espressioni del linguaggio con cui Dio parla agli uomini e provvede alle loro necessità concrete. Esse non sono dunque conoscenze teoricamente certe, ma rivestono esclusivamente un valore pratico in vista dell' orientamento dell' azione umana.
Etica e politica
Le dottrine metafisiche di Berkeley fino ora esposte appartengono agli scritti giovanili e non sono la base della sua fama. Nell' Alcifrone Berkeley muove un'aperta polemica ai deisti e ai liberi pensatori. Denuncia la totale inadeguatezza della religione naturale-razionale di stampo aristotelico, che é assolutamente insufficiente a esprimere la dimensione della fede e del culto, momenti di fondamentale importanza nella vita religiosa. Una religione che sia davvero tale deve per Berkeley essere una religione rivelata. Questo comunque non vuol dire che Berkeley non si preoccupi della ragionevolezza della religione: per giustificare i miracoli e i misteri cristiani egli ricorre al paragone con la scienza, ricordando che anche in essa i primi principi non sono suscettibili di spiegazione razionale ed é come se venissero colti dal "sentimento ", come aveva detto Pascal. Contro i deisti e i moralisti, Berkeley sostiene inoltre la stretta dipendenza della morale dalla religione: egli critica quindi Shaftesbury, il quale assimila il sentimento morale al gusto estetico, privando così l'etica di ogni riferimento alla natura divina. Una polemica dai toni ancora più aspri la conduce contro il tentativo di Mandeville di valutare i comportamenti umani in base alla dinamica dell'istinto, al quale Berkeley contrappone evidentemente l'incommensurabile superiorità dei valori spirituali. Nella Siris ritratteggia la sua metafisica tramite la costruzione di una cosmologia di innegabile impianto neoplatonico. L'intero universo é permeato e animato da quella sostanza invisibile che é l'etere. Ma dal momento che esclusivamente lo spirito é attivo, l'etere é solamente il mezzo tramite il quale Dio esplica la propria opera e comunica con gli uomini per mezzo delle cose da esso animate.
Ecco allora che Berkeley riprende in forma diversa la tematica della natura come linguaggio di Dio. Tramite una comprensione intellettuale della natura e dell'ordine insito in essa, l'uomo può tra l'altro realizzare un'ascesi che lo riconduce all' intelletto divino. Anche il pensiero politico di Berkeley risulta fortemente legato alla religione. In un Discorso sull'obbedienza passiva o principi della legge di natura del 1712 afferma che gli uomini devono obbedire passivamente all'autorità costituita, dal momento che la legge che da essa viene emanata é riflesso di quella naturale e divina, senza la quale ogni felicità mondana é impossibile. Questo esclude ovviamente ogni concezione contrattualistica dello Stato, che aveva cominciato a fiorire nel 1600 e che trova un campo fertile nel 1700.