La teoria del diritto divino del re
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in politica barocca
La teoria del diritto divino del re si fondava sulla esperienza delle lotte per il potere tra le sette religiose in Europa; il diritto irrevocabile del re era sostenuto da coloro che difendevano uno stato nazionale contro la minaccia di un’opposizione, era una difesa dell’ordine e della stabilità politica di fronte al pericolo della guerra civile religiosa.
Questa dottrina si cristallizzò nei disordini delle stesse guerre civili e corrispose all’effettivo aumento di potere della corona francese. Le guerre di religione fecero comprendere che non ci sarebbe mai stata una netta vittoria di protestanti o cattolici mentre non solo l'economia e la società, ma anche la civiltà poteva andare in rovina. Come risposta la soluzione fu diporre il re a capo della nazione come oggetto di devozione per uomini di tutti i partiti, pur continuando ad esistere protestanti e cattolici.
Il fondamento ideologico
La teoria del diritto divino fu una modificazione dell’idea molto antica che l’autorità abbia origine e sanzione religiosa, nessun cristiano ne aveva mai dubitato da quando S. Paolo aveva scritto il tredicesimo capitolo dell’Epistola ai Romani. Tuttavia tutto il potere è di Dio e il jus divinum non era necessariamente applicabile a un re più che a qualsiasi altro tipo di governo. Inoltre potrebbe ancora essere giusto, in circostanze determinate, opporsi a un suo uso illegittimo. Antiche frasi quasi senza significato in sé, come ad esempio quella che i re sono vicari di Dio, assunsero così un significato nuovo: la ribellione è sacrilegio, anche quando derivi da motivi religiosi. Il dovere di obbedienza passiva, predicato sia da Lutero che da Calvino, fu corroborato dalla particolare santità di cui i re venivano investiti, il re di Francia per esempio guariva la scrofolosi e dava periodicamente udienza a tutti i malati di quel morbo.
Il diritto divino del re, fu una teoria per il popolo senza aver alcuna base filosofica, ne poteva averne. La dottrina serviva soprattutto come un jocus di sentimento patriottico e come una razionalizzazione religiosa del dovere civico. Intellettualmente invece era una dottrina banale ed estremamente debole.
La difficoltà logica della teoria del diritto divino non consisteva tanto nel fatto che fosse teologica quanto nel fatto che la peculiare legittimità attribuita al potere regio rifiutava l’analisi o la difesa razionale.
La funzione del re è un « mistero » nel quale né i giuristi né i filosofi possono penetrare. Tale argomentazione durerà finche i testi della sacra scrittura furono usati come buon metodo di argomentazione politica.
Discutibile pretesa politica
Che il legittimismo regio fosse presentato in termini di processi naturali voleva dire che il potere regio era ereditario, presumibilmente per la ragione che la scelta di Dio era evidente nel fatto della nascita. Nonostante la sua antichità, non poteva convincere nessuno che non fosse disposto a lasciarsi convincere per altre ragioni. L’argomento in favore del legittimismo regio portava a legge generale di natura la norma di primogenitura feudale. Ma questo argomento dava adito all’obiezione che, per quanto naturali possano essere fatti come la nascita e l’eredità, l’eredità di un paese o di un potere è una norma legale che differisce da paese a paese. In Francia la legge salica escludeva la successione per linea femminile, che era invece legale in Inghilterra. Curioso che Dio desse il diritto di governare in maniera diversa, secondo la prassi costituzionale dei singoli paesi.
La nuova versione della teoria del diritto divino stabiliva anche che la ribellione non è mai giustificata, neanche quando il reggitore è un eretico. Ma l’obbedienza passiva poteva essere difesa per ragioni utilitarie, che non avevano niente a che vedere col diritto divino. Un vivissimo senso dei pericoli del disordine poteva essere quanto occorreva perchè il dovere di sottomissione apparisse della massima importanza. Inoltre, certi scrittori che difendevano il diritto dei re potevano ammettere, come Guglielmo Barclay, che un delitto speciale da parte di un re, come ad esempio una cospirazione per rovesciare lo stato, può essere considerato come un’implicita abdicazione. Ma questa possibilità era considerata affatto eccezionale. In generale, diritto divino venne a significare l’assoluto dovere di sottomissione dei sudditi.
Il dovere d’obbedienza passiva non voleva dire che il re non dovesse rispondere mai di quel che faceva. Generalmente s’intendeva anzi che il re, in quanto occupava una posizione superiore agli altri uomini, fosse maggiormente responsabile. Come sempre era avvenuto, si supponeva che egli fosse vincolato dalla legge divina e dalla legge naturale ed il suo dovere generale di rispettare la legge era comunemente affermato. Ma questo obbligo è dovuto a Dio ed il re non può essere sottoposto al giudizio umano né secondo i procedimenti normali della legge né al di fuori di essi. Un cattivo re sarà giudicato da Dio, non dai suoi sudditi né da rappresentanti della legge come gli stati o le corti. La legge risiede in definitiva « nel petto del re ».
La teoria del diritto divino dei re ebbe origine in Francia ma trovò attuazione anche in Scozia ed Inghilterra, Giacomo I d'Inghilterra la enunciò nel 1598. Anche la teoria di Giacomo I rifletteva le esperienze di lotta politica contro i calvinisti ed i fanatismi religiosi.
L’essenza della monarchia consiste nel suo potere supremo sopra tutti i suoi sudditi. Perciò i re, scriveva Giacomo, sono immagini viventi di Dio in terra. La monarchia è la cosa più grande che esista in terra; giacché i re non solo sono i luogotenenti di Dio in terra e siedono sul trono di Dio, ma da Dio stesso sono chiamati Dei. Il re è come un padre rispetto ai suoi figli, o come il capo rispetto al corpo. Senza di lui non può esistere società civile, perchè il popolo è solo una « moltitudine senza capo », incapace di fare la legge che procede dal re, come da legislatore istituito da Dio per il suo popolo. Applicando la sua teoria alla Scozia, Giacomo afferma che i re esistevano prima che esistessero gli stati o le classi, prima che fossero tenuti i parlamenti, o fossero fatte le leggi, e che i re sono gli autori delle leggi e non le leggi dei re, perfino la proprietà può esistere in un paese solo per concessione del re.
L’asserzione era sostenuta da una storia molto oscura che sembra voglia dire che il potere originario dei re si fondava sul diritto di conquista.
La qualità legale per eccellenza nella monarchia è perciò la legittimità, dimostrata dalla discendenza legale dal monarca legittimo precedente. Questa divenne la posizione distintiva degli Stuart nelle guerre civili d’Inghilterra. Nessuna considerazione utilitaria può trascurare la validità di una pretesa ereditaria - neppure una rivoluzione totale pur invalidarla - e nessuna legge di prescrizione ha corso contro l’erede legittimo.
Nel 1616 Giacomo dichiarava ai suoi giudici alla Camera Stellata: che ciò che concerne il mistero del potere regio non può legittimamente essere discusso perchè questo significherebbe indebolire la posizione dei principi e togliere la mistica riverenza propria di coloro che siedono sul trono di Dio.
Giacomo ammise sempre di dover rispondere delle sue azioni, ma davanti a Dio, non ai sudditi. Egli riconosceva che in tutte le questioni ordinarie un re dovrebbe avere verso la legge del paese lo stesso rispetto ch’egli pretende dai suoi sudditi, ma si tratta di una sottomissione volontaria, cui il re non può essere costretto.