Le virtù dei nobili
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in politica barocca
Il signore investito del suo compito politico e sociale, per poter esercitare degnamente il ruolo che compete alla sua alta posizione deve essere dotato di alcune specifiche qualità personali che lo identifichino comeautenticamente nobile e lo distinguano dalla massa della popolazione.
La nobiltà feudale si contraddistingue dall'esercizio delle armi di conseguenza le virtù considerate specifiche son quelle guerriere, il nobile non si abbassa ai lavori manuali né persegue l’accumulazione di guadagni e ricchezze ma agisce solo in vista dell’onore e della reputazione. Il nobile persegue la gloria del proprio nome e quello del casato a cui appartiene, di conquistare l’immortalità che la fama concede agli uomini valorosi.
Il cavaliere è perciò coraggioso e non teme i pericoli ma cerca la sfida, l’azione temeraria che gli consenta di provare il suo valore e conquistare la gloria. Il nobile è magnanimo e liberale: la ricchezza è per lui solo un mezzo per tradurre in pratica la propria generosità, perché egli è sempre pronto a redistribuirla liberalmente, sdegnando di tesaurizzarla.
Lo stesso disinteresse emerge dallo slancio con il quale il cavaliere serve il suo re, per il quale è pronto a spendere tutte le proprie sostanze e, se necessario, anche il proprio sangue: è «onore e vanto per ogni vassallo consumare il proprio patrimonio al servizio del re, anziché ricercarvi soltanto un qualche tornaconto personale» scrive, per esempio, il nobile spagnolo Bernardino de Mendoza. Non era da meno Cervantes, che si rivolgeva a Filippo Il esclamando: «Chiedi, prendi, signor; che tutto quello / che i tuoi sudditi possono ti è offerto / con mano liberale e valorosa / [...] / non solo l’oro che si adora invano, / ma i loro figli più cari ti daran».
Tanta magnanimità spiega perché il signore sia adatto ad esercitare le alte funzioni di protettore dei poveri e difensore della giustizia. Ma questa stessa grandezza d’animo fa sì che il nobile non perda mai di vista l' obiettivo di perseguire la gloria, e che tenga al proprio prestigio più che alla vita stessa.
In questo ambiente si sviluppa l’ideologia del punto d’onore, che impone di non tollerare il minimo attentato alla reputazione, di lavare ogni minima macchia col sangue. L’ideologia dell’onore è estremamente competitiva, la gloria è una risorsa che ha limiti e conquistarla vuol dire toglierla ad altri. Questa competizione non è frutto di una costruzione ideologica ma insita nella struttura stessa del sistema feudale, la cui impalcatura piramidale fa sì che il vertice di ogni singola piramide sia spinto non tanto a cercare l’alleanza con i suoi pari, quanto a rivaleggiare con loro, al fine di ottenere una quota maggiore di risorse per sé e per i propri «dipendenti». Questa competizione ha come arbiter il re, signore di tutti loro, che interviene schierandosi a favore dell’uno o dell’altro.
In epoca moderna il potere dei sovrani aumenta a discapito dei signori e gli spazi che erano propri dei grandi signori sono ora monopolizzati dal re che consente meno le usurpazioni e l’uso privato della violenza. L’oggetto primario della competizione viene così ad essere il favore del re, quale fonte essenziale di benefici. Ma per quanto potente ed autorevole possa essere un sovrano, anch’egli è tenuto a rispettare un principio di giustizia distributiva e a tener conto, almeno fino ad un certo punto, del prestigio delle persone di cui si circonda. Gli stessi favoriti del re hanno bisogno di un minimo di legittimazione da parte dei loro pari, se non vogliono essere rapidamente spazzati via da una congiura. Il prestigio personale rimane un elemento per il quale vale la pena adoperarsi e combattere, con le nuove armi imposte dalle mutate circostanze.
fonte scientifica e per approfondimenti: La Feudalità in età moderna di Renata Ago, Laterza 1994