Dopo il Concilio di Trento, soprattutto a Roma, vi fu un proliferare di chiese e conventi che provocò una capillare pratica religiosa.
Ma risulta difficile valutare quanto quel diffuso fervore corrispondesse ad una fede autentica e sincera.
Montaigne, che soggiornò a lungo a Roma, era piuttosto scettico in proposito, e la devozione dei romani gli era apparsa del tutto formale. La folla che si accalcava a S. Pietro durante la settimana santa era incredibile e spettacolare, ma Montaigne non riusciva a credere che in quell’enorme massa di fedeli ci fosse una partecipazione autentica; nel suo “Diario di viaggio” lo scrittore afferma che la devozione popolare non era molto dissimile da quella di una cortigiana, che colta nell’esercizio della sua professione dal suono dell’Ave Maria, si precipitava dal letto e in ginocchio recitava le preghiere.
Le numerose chiese, sorte o ristrutturate dopo la Controriforma, offrivano con le loro eleganti e arzigogolate architetture barocche, più uno spettacolo destinato ad appagare i sensiche una seria testimonianza di fede.
Verso la fine del XVII secolo, secondo alcune testimonianze, la devozione dei romani si era molto affievolita e per molti la parrocchia esisteva solo per la settimana di Pasqua, quando ognuno era costretto a dimostare di avere adempiuto al precetto pasquale.
Molti Ordini Religiosi, sorti sull’onda del fervore della Controriforma, si andavano anch’essi allontanando dai principi base della loro regola. Fra queste vi era la Compagnia di Gesù, fondata da S. Ignazio da Loyola; la Compagnia aveva accresciuto il suo potere in campo politico, divenendo in breve tempo ricca e potente, provocando critiche tutt’altro che ingiustificate.
Per il centesimo anniversario della fondazione dell’ordine dei Gesuiti, nel 1639, vi furono grandiosi festeggiamenti: la chiesa del Gesù addobbata di “preziosissimi paramenti”; cinque cori e musiche “esquisitissime”; scintillii di argenti e miriadi di lumi. Un’occasione unica per dimostare tutto il potere dell’ordine. Ai festeggiamneti parteciparono i Barberini, signori di Roma in quegli anni. Il papa, dimostrò la sua benevolenza mandando per il pranzo otto vitelle da latte, quattro botti di vino e due forme di parmigiano. La festa durò otto giorni, tra fuochi d’artificio, mortaretti e luminarie.
Gli ecclesiastici
Con la nascita di nuovi ordini religiosi e il moltiplicarsi di chiese, cresceva ovviamente anche il numero degli ecclesiastici. Tra così tanti religiosi era naturale ed inevitabile che si annidassero “preti scandalosi” e parroci inadeguati ai loro compiti, come ci risulta dagli archivi segreti del Vaticano. Per contro dall’alto, non arrivavano sempre esempi coerenti con l’insegnamento evangelico.
Le visite effettuate nelle parrocchie per conto del papa sono su questo punto estremamente illuminanti e ci offrono un quadro esauriente e a volte curioso della vita nei monasteri e nelle parrocchie di Roma.
In alcuni conventi venivano rilevati licenze e abusi. Nel convento di S. Lucia in Selci si ingiungeva di chiudere le finestre che davano sulla strada e si raccomandava di tenere accesa la lampada del dormitorio durante la notte. Nel monastero di Tor de’ Specchi si era constatato un sospetto viavai di uomini e l’autorità fu costretta a ricordare che nel convento potevano essere ammessi solo padri e fratelli, e comunque sempre accompagnati. Nei monasteri le celle dovevano essere in numero uguale a quello delle monache e se le celle non bastavano le suore dovevano dormire in tre e non in due per cella. Le religose non potevano tenere in cella le novizie; le educande dovevano essere separate dalle novizie, sia nei dormitori che durante il lavoro. Nei monasteri, inoltre, non potevano abitare donne maritate o vedove.
Vi erano poi altri tipi di abusi, come ad esempio tasse troppo salate per i funerali e frequenti “confabulazioni” durante cerimonie sacre. Alle porte di alcune chiese si era rilevato che i mendicanti agivano in collaborazione con gli sbirri, con i quali divievano i denari e le baldorie.
Fra molti inconvenienti segnalati, venivano ricordati i rumori che provenivano dall’esterno dei conventi: “rimbombi, rumore delli martelli, parolaccie, strepiti e bestemmie dei mulattieri”; “donnaccie cattive” esercitavo vicino i conventi delle suore, alle cui orecchie non giungevano certo lodi al Signore.
Ma vi erano poi ben altri scandali. Montaigne nel suo Diario, riporta che nella chiesa di S. Giovanni a Porta Latina, nel 1578, si era formata una strana comunità di portoghesi: si sposavano tra uomini, abitavano insieme e recitavano le preghiere in comune. Quell’anomala comunità religiosa ebbe vita breve e nove di quei frati finirono sul rogo. Le cronache sono piene di episodi curiosi e inquietanti che confermano che nel Seicento nei conventi non sempre regnava la pace e il silenzio. Nel 1648, una monaca, Anna Maria Porteghese, con amicizie facoltose, alti prelati, aristocratici e cavalieri, fuggì dal suo convento destando grande scalpore. Pochi giorni dopo in un altro convento scoppiò una rissa tra monache per futili motivi e le religiose arrivarono persino alle mani affrontandosi con i coltelli.
Nel 1649, gli allievi del Seminario Romano pretesero la cacciata dei gesuiti che avevavo la direzione dell’istituto. I gesuiti erano i religiosi più chiaccherati del tempo e quando nel 1652 fu eletto il nuovo generale dell’ordine, Alessandro Gottifredi non furono in molti ad essere felici. Uomo rigoroso e severo voleva ripristinare il rigore e la disciplina di un tempo.Vietò l’uso delle carrozze ai gesuiti, e le visite troppo frequenti nei monasteri di Tor de’Specchi e di S. Marta. Il generale morì due mesi dopo la sua elezione e a molti, quell’improvvisa morte, non sembrò assolutamente spontanea e naturale.
Le Confraternite
Le confraternite in epoca barocca, specie a Roma, erano numerosissime, ciascuna con una propria organizzazione e una propria divisa. Perseguivano in genere, scopi di pietà e di preghiera, attività assistenziali e filantropiche. In un mondo in cui la popolazione era spesso vittima di calamità naturali e di epidemie spaventose il loro operato era molto apprezzato. Un operato che andava dall’elemosina al prossimo all’assistenza agli infermi, dall’obbligo della preghiera alla frequenza dei sacramenti, dalle adunanze all’ospitalità ai pellegrini.
Durante le processioni le confraternite rappresentavano le componenti più pittoresche e numerose.
Scrive Montaigne nel suo Diario di Viaggio: la città pareva di fuoco, a causa delle compagnie, che precedevano ordinatamente verso San Pietro; ogni membro reggeva una torcia, quasi tutte di cera bianca. Credo che siano passati davanti a me almeno dodicimila torce; dalle otte di sera a mezzanotte la strada fu piena per questo corteo, che si svolgeva in modo perfetto e ordinato, senza alcun vuoto o interruzione.
In mezzo a tutto questo non mancavano i flagellanti, che si frustavano a sangue, con la schiena piagata e sanguinante da far pietà. Si flagellavano ferocemente, senza mostrare la minima sofferenza, ma alcuni lo facevano più per ostentazione che per devozione. Per essere notati, alcuni vestivano un appariscente abito bianco sopra il quale indossavano un “rocchetto” di finissima stoffa, molto attillato e un cappuccio vistoso. Così conciati sembravano donne e più simili a maschere carnevalesche che a penitenti.
Durante gli anni santi le confraternite avevano modo di distinguersi e di dare gratuito spettacolo alla città di Roma. Nella folla di pellegrini che si adunavano nella città per il giubileo esse occupavano i primi posti. Avevano divise di vario colore e non sempre erano spinte da un desiderio autentico di devozione. Spesso avevano sentimenti di orgoglioso campanilismo. Quella della Misericordia proveniente da Foligno arrivò in città di sera alla luce delle fiaccole, preceduta da una fila di bambini vestiti da angeli. Seguivano figure allegoriche del vecchio testamento e una serie di quadri viventi con scene della passione, musici, pie donne e ragazzi con rami d’ulivo. La confraternita degli aquilani arrivò invece silenziosa e raccolta; i pugliesi si presentarono scalzi e flagellandosi con catene di ferro. La confraternita più chiassosa e scomposta fu quella dei castelli romani, resa ancora più scatenata ed euforica dal vino. Questo quotidiano incontrarsi tra realtà diverse spesso scatenava astiose rivalità e spigolosi campanilismi. Durante un giubileo sul ponte di Castel Sant’Angelo, per una questione di precedenza, nacque una disordinata baruffa tra due confraternite romane e una napoletana. Don Ferrantes d’Avalos che guidava il corteo dei napoletani, mise da parte il crocefisso e pose la mano alla spada dimentico del nobile proposito che era alla base del pellegrinaggio.
Il giubileo dava comunque i suoi frutti: a quelli economici si aggiungevano vantaggi spirituali. Molti protestanti si convertivano e anche alcuni ebrei e maomettani.