La ceroplastica anatomica
Scritto da Irene Marone. Pubblicato in scienza barocca
Gli “spellati”: cadaveri eterni
La tecnica della dissezione dei cadaveri e lo studio dell’anatomia umana conoscono un grande impulso nel XVI secolo e l’esigenza di rendere questi studi più rigorosi e fruibili anche a chi non aveva la possibilità di condurre vere autopsie (ritenute ancora proibite e sacrileghe in gran parte d’Europa ancora all’inizio del ‘600) portò ad affinare le tecniche per la preparazione di modelli che durassero nel tempo e non si deteriorassero.
All’inizio si ricorre ai così detti “spellati”, ovvero interi cadaveri o parti di esso privati della pelle e fatti essiccare dopo averli trattati con additivi e repellenti per gli insetti. Dopo aver iniettato nel sistema linfatico del grasso animale tiepido che, raffreddandosi, avrebbe reso più rigidi e resistenti i vasi, le parti anatomiche venivano immerse in vasche di alcool dove, per osmosi, quest’ultimo si sostituiva all’acqua naturalmente presente nel corpo umano. Si ottenevano cosi tessuti ancora all’apparenza“idratati” ma non più facilmente deperibili. Dopo l’essiccamento, venivano evidenziate le “parti notevoli” per renderle più evidenti: colorate le vene di rosso e le arterie di blu, sollevati i tendini a ventaglio, disossate le articolazione per metterne in risalto il funzionamento. Uno di questi preparati, largamente impiegati nelle scuole di medicina e nelle università, poteva durare anche 10-15 anni così trattato.
La “ceroplastica”, l’arte del macabro
Verso la metà del ‘600 si diffonde l’uso di realizzare questi modelli di studio non più trattando parti anatomiche reali ma utilizzando la cera: nasce così l’arte della ceroplastica che, con l’obiettivo di limitare lo “scempio” di cadaveri, riesce a produrre modelli spesso impressionanti per la loro similitudine con la realtà, oltre che animati da una tensione drammatica e una teatralità tutte barocche.
Probabilmente il primo realizzatore di questi manufatti a cavallo tra rigore scientifico ed arte fu il gesuita Gaetano Zumbo, nato a Siracusa nel 1656. Viene avviato al sacerdozio da sua madre, una serva che non poteva garantirgli sostentamento: il suo interesse per l’anatomia e il suo talento nelle riproduzioni anatomiche in cera lo portò prima a Napoli, poi a Firenze, al servizio del Granduca Cosimo dè Medici tra il 1691 e il 1694, poi a Genova e Bologna ed infine a Parigi, alla corte di Luigi XIV che, grazie alle ricerche condotte dall’Acadèmie Francaise, era una delle realtà scientifiche più all’avanguardia in Europa. Il Re Sole gli concesse ” due privilegi che gli davano il monopolio delle riproduzioni anatomiche delle cere in Francia ”, sebbene i chirurghi francesi malignassero che “Lo Zumbo non conosceva il nome di un solo muscolo” .
“Vanitas Vanitatis et omnia Vanitas”
Tutti modelli anatomici in cera realizzati da Zumbo non si limitano a riprodurre la realtà in modo fedele , ma offrono sempre una drammatizzazione grottesca ed estremamente cruda della morte, una delle vere “anime” del’arte e della sensibilità barocche.
Alla corte del Granduca Cosimo III dè Medici prima e disuo figlio Ferdinando poi, Zumbo realizza quattro articolate composizioni in cui illustra plasticamente vari stadi della decomposizione dei cadaveri umani: Corruzione (o Trionfo del Tempo), La pestilenza, Il sepolcro (o Vanità della Grandezza Umana) e le Conseguenze della Sifilide.
In pieno spirito controriformista, Zumbo offre allegorie didascaliche della caducità e della fragilità della vita umana, che si mostra nella sua natura più carnale, misera, orripilante.
Grovigli di corpi coreograficamente affastellati, ventri gonfiati e carni livide putrefatte dai morbi che inesorabili mietevano le generazioni del tempo, bambini sventrati che mostrano gli intestini tenuti in braccio da madri ormai in avanzato stato di decomposizione.
La pietas barocca, apparentemente accantonata, è tutta incarnata nel monito alla vita retta e all’abbandono delle vanità, unico antidoto all’inevitabile epilogo della putrescenza. La carnalità, corrotta, iperrealista, ripugnante perché realistica, dei lavori di Zumbo è vera sintesi del barocco, un ordine nuovo che ha un paradigma semplice, antico e impressionante al tempo stesso: l’uomo e le sue carni, in tutte le declinazioni possibili, tanto che quasi si può parlare di “estetica dei cadaveri” facendo riferimento a quei grovigli di membra che ricordano le torsioni e le tensioni delle sculture di Gian Lorenzo Bernini scultore o Francesco Mochi.
Un’altra opera denota forti influenze da parte dell’arte figureativa: il “Seppellimento di santa Lucia” dove l’influsso caravaggesco è inequivocabile. Inoltre il periodo napoletano avrà sicuramente pesato nell’ispirare la paesaggistica e la disposizione plastica di questi “macabri presepi” in cui il manierismo solenne della natività lascia il posto ad un dramma tutto umano.
“Paradigma” scientifico
Le cere di Zumbo rispondono, oltre all’esigenza didascalico-allegorica, ad un altro intento tutto barocco: la sete di conoscenze che abbiano un rigore scientifico. Uno dei suoi capolavori, l’anatomia di una testa maschile talmente accurata da sembrare un vero “spellato”, fu presentata a Parigi all’Acadèmie des Sciènces ed immediatamente acquistata, con la richiesta di scolpirne un’altra.
Assistito da un chirurgo, Zumbo studiò sui cadaveri degli ospedali militari parigini e sui corpi dei condannati alle Galere e realizzò quello che è considerato il suo indiscusso capolavoro: una testa che è stata fino alla fine del ‘700 uno dei modelli di riferimento assoluti per lo studio del cervello e dell’anatomia cranica in tutta Europa.
Morì nel 1701 e fu seppellito nella Chiesa di Saint Sulpice con grandi onori.