La “diagnosi filosofica”
La medicina, all'inizio del XVII secolo, non è poi così lontana dall'approccio che aveva delineato Galeno già nel II secolo d.C., ovvero la formulazione di diagnosi su una costruzione astratta anatomo-filosofica del tutto slegata da fattori e sintomatologie reali.
Questo modello viene gradatamente abbandonato grazie alla formazione di una fisiologia più esatta, frutto degli studi anatomici compiuti in molte università europee e delle sempre più frequenti dissezioni, anche pubbliche, che avevano luogo nei teatri anatomici di Padova, Londra o Leida. Anche alla scienza medica cominciava ad essere gradatamente applicato il metodo scientifico-sperimentale, che superava i concetti filosofici della Scolastica.
Tramontò definitivamente la teoria mistica del medico Giovan Battista von Helmont, che vedeva nel peccato originale la causa unica di tutte le malattie e nella preghiera e negli esorcismi la sola panacea risolutiva, facendo spazio a quella degli umori.
La fisiologia umorale
La teoria umorale era stata messa a punto da Ippocrate e si basa sull'esistenza, nel corpo umano, di 4 umori principali: la bile nera contenuta nella milza, la bile gialla nel fegato, il flegma nella testa e il sangue (umore rosso) nel cuore. A questi corrispondono dei temperamenti o delle tendenze comportamentali: rispettivamente flegmatico, melanconico, collerico e sanguigno.
Il buon funzionamento dell'organismo si basa sull'equilibrio dei 4 elementi, detto eucrasia, mentre il prevalere di uno o più sugli altri provoca comportamenti anomali o addirittura l'insorgere di patologie.
Nonostante anche questa teoria provenga dall'antichità classica, si diffonde rapidamente tra i medici europei del XVII secolo poiché è l'unica che possa formulare diagnosi con un'approccio eziologico, cioè attento alle cause reali e ai sintomi visibili della malattia.
Per quanto la sua introduzione possa rappresentare un'elemento di modernità scientifica, la teoria degli umori è comunque foriera di presunzioni e categorizzazioni rigide che ben poco hanno a che fare col metodo sperimentale: la predisposizione alla prevalenza di uno o dell' altro umore viene infatti individuata nella complessione fisica.
Quindi, ad esempio, un soggetto magro e pallido sarà sempre associato ad un eccesso di bile nera come un tipo robusto e rubicondo ad un eccesso di umore rosso, causando non poche inesattezze nelle diagnosi e nella individuazione delle corrette cause patogene.
Cure drastiche
Per eliminare l'eccesso di uno o più umori e ripristinare l'eucrasia, bisognava indurre la fuoriuscita dei fluidi in eccesso: ecco vomiti, purganti e salassi, “cure” diventate triste simbolo della medicina barocca.
Queste tecniche erano spesso abusate e reiterate in modo accanito e disperato fino a presunti segnali di miglioramento e comunque prescritte senza porre particolari attenzioni alle condizioni contingenti del paziente. Se non era la morte a sopravvenire prima degli sperati miglioramenti, comparivano certo sintomi di disidratazione, debolezza e depressione causati dai ripetuti trattamenti “d'urto”, che raramente venivano presi in considerazione e che spesso venivano liquidati come effetti momentanei del trattamento.
Il medico inglese Thomas Syndenham(1624-89), partendo da una posizione scettica riguardo la teoria degli umori e le loro tecniche di riequilibrio, fu il primo a soffermarsi sull'individualità del paziente e sul suo umore e disposizione d'animo durante le cure.
La chirurgia, sorella minore
La chirurgia era considerata una disciplina subordinata alla medicina ed era esercitata dagli appartenenti alla corporazione dei barbieri. Contrariamente ai medici, considerati figure professionali di primissimo ordine formatesi nelle più prestigiose università d'Europa, i chirurghi non vantavano una preparazione culturale ed una formazione specialistica: spesso erano analfabeti e si formavano semplicemente “andando a bottega” da altri.
Spesso erano anche girovaghi, portando i ferri del mestiere in grosse borse, operando nelle case in cui qualcuno necessitava di farsi asportare un ascesso, cavare un dente, amputare un arto....o semplicemente farsi rasare barba e capelli! Il tutto, ovviamente, eseguito con gli stessi strumenti, rudimentalmente “disinfettati” con aceto o sulla fiamma viva.
Solo in Francia, grazie all' intervento di Luigi XIV, la chirurgia era stata assurta a disciplina universitaria e disponeva di uno speciale corpo accademico, permettendo a questa disciplina di evolversi e progredire più rapidamente che nel resto d'Europa.
Il re Sole aveva in alta considerazione i chirurghi, che più di una volta gli avevano salvato la vita, e si mostrava particolarmente attento alla formazione in ambito medico-scientifico: in seguito alle scoperte di Marcello Maplighi, che nel 1661 individuò la presenza dei globuli rossi, e di Nicola Stenone, il quale dimostrò che è il cuore e non il fegato (come si pensava!) il responsabile della circolazione, fu il primo ad istituire una cattedra di chirurgia cardio-vascolare.
La “grand operation du roy”
La nascita della chirurgia moderna arriva ad un punto di svolta nel 1685: il 15 gennaio di quell'anno il re aveva lamentato una piccola rilevatezza all'interno di una natica che aveva originato, pochi giorni dopo, un ascesso molto doloroso.
Felix de Tassy, barbiere e chirurgo reale, aveva insistito per l'asportazione mentre i medici, ritenendolo non all'altezza di operare sua maestà, avevano deliberato per una cauterizzazione con un ferro rovente.
La soluzione aveva però causato la formazione di una fistola, che all'epoca poteva essere trattata in tre modi: cauterizzandola, legandola o incidendola.
Per decidere cosa fosse meglio per il re, vennero allestite molte stanze dove vari pazienti sofferenti delle stessa patologia furono sottoposti a tutti e tre i trattamenti: nessuno guarì.
Luigi XIV decise per l'incisione: la data di quella che sia annunciava già come la “grand opèration du roy” venne fissata in novembre 1686, per dare modo a de Tassy di esercitarsi su pazienti di umili origini.
De Tassy eseguì perfettamente l'operazione a Versailles, alla presenza dei medici di corte e di Madame de Maintenon con uno strumento che ancora oggi viene chiamato “bisturi reale”: egli ne ricavò una grossa somma di denaro, un titolo nobiliare ed una tenuta in campagna, mentre la chirurgia veniva assurta finalmente al grado di scienza autonoma e specialistica.
Nascita di una scienza moderna
Quello che rimase noto come l'anno della “fistola” e che vide a Versailles molte “fashion victim” aggirarsi con le natiche fasciate come il re, trendsetter anche nella patologia, segna la nascita della categoria dei chirurghi in senso moderno: perchè ai barbieri sia vietato l'esercizio della chirurgia, lasciandolo ad esclusivo appannaggio di specialisti laureati, bisognerà tuttavia attendere il 1731, quando Luigi XV istituirà l'accademia Reale dei Chirurghi.
A Luigi XIV, e più specificatamente al grande numero di parti che ogni anno avevano luogo a corte, si deve anche la valorizzazione e il progresso dell'ostetricia: i parti furono affidati non più ai medici ma a levatrici istruite con corsi specifici, permettendo così anche alle donne l'accesso ad una formazione scientifica di livello superiore. Sotto Luigi XV la scuola di ostetricia sarà guidata da M.me du Coudray che, grazie a corsi per levatrici e puerpere in cui insegna fisiologia servendosi di modernissimi manichini di pezza ma anche e soprattutto igiene e prevenzione, porterà la mortalità infantile in Francia a valori minimi stupefacenti per l'epoca.