Johannes Kepler nasce nei pressi di Stoccarda a Weil il 1571. Di salute cagionevole dimostrò interesse negli studi e fu spinto verso la carriera ecclesiastica che però abbandonò a venti anni per l’insegnamento della matematica nel ginnasio di Graz. La sua vita subisce gli eventi di un periodo difficile subendo la cacciata dal regno natio in quanto non cattolico. Nel 1600 infatti per compiacere Clemente VIII tutti i non cattolici furono espulsi dalla Stiria. Esendo studioso di scienze Keplero invia i suoi lavori sia a Galileo che a Tycho riscontrando successo tanto da diventare l’assistente di Tycho Brahe e succedendogli alla morte al servizio dell’imperatore Rodoflo II.
Nel 1604 Keplero pubblica il volume Ad Vitellionem paralipomena. Un opera di ottica di rilevante interesse per la scienza, così scrive dell’opera Ronchi: Si tratta di un’opera di ottica geometrica che segna una data di rilievo nella storia della scienza. Per la prima volta dopo duemila anni di studi sulla visione, non si ha ritegno a far pervenire lo stimolo luminoso fino alla retina; si riconosce che la figura così proiettata sulla retina è capovolta, ma non si reputa dannoso questo rovesciamento, perché dal momento che la localizzazione delle immagini fuori dell’occhio, è compiuta dall’occhio stesso, il problema sta nel determinare la regola con la quale quest’occhio deve procedere per collocare l’immagine quando riceve certi stimoli. Pertanto ora la regola è la seguente: quando lo stimolo sul fondo dell’occhio è in basso, la figura vista fuori deve essere in alto e viceversa; e così quando lo stimolo sulla retina è a destra, la figura vista fuori deve essere a sinistra, e viceversa.
Interessante è anche la definizione della luce:
1) Alla luce compete la proprietà di affluire o di essere lanciata dalla sua sorgente verso un luogo lontano
2) Da un punto qualunque l’afflusso della luce avviene secondo un numero infinito di rette
3) La luce in se stessa è atta ad avanzare fino all’infinito
4) Le linee di queste emissioni sono raggi
Nel frattempo Keplero legge il Siderus Nuncius di Galileo Galilei e grazie all’uso del cannocchiale da Galileo stesso migliorato, ed inviato ad Ernesto di Baviera, si converte alla teoria galileiana. Nel 1611 Keplero da alle stampe Dioptrice capace di spiegare il funzionamento delle lenti e delle loro varie combinazioni come quelle usate nel cannocchiale “galileiano”; ecco cosa dice sul cannocchiale: Il sapiente tubo ottico è prezioso come uno scettro; chi osserva con esso diventa un re e può comprendere l’opera di Dio. Per esso valgono le parole: tu assoggetti l’umana intelligenza; i confini celesti ed il cammino degli astri.
Nel 1613 Keplero dà alle stampe la Nova stereometria doliorum vinariorum. All’epoca si calcolava il contenuto in secchia delle botti con un bastone messo di traverso nelle stesse, lo scienziato tedesco usa un calcolo simile a quello infinitesimale per risolvere la gravosa questione che attanagliava le menti degli osti.
Nel 1627 appaiono finalmente le Tavole rudolfine: comprendono le 11 tavole dei logaritmi, le tavole per calcolare la rifrazione e un catalogo delle 777 stelle osservate già da Tycho Brahe più quelle di Kepiero, in tutto 1005.
Keplero fu un neoplatonico matematico o neopitagorico e credeva nell’armonia del mondo. Pensava che la natura fosse ordinata da regole matematiche che lo scienziato ha il compito di scoprire. Sostiene che il numero dei pianeti e la dimensione delle loro orbite potevano venir compresi qualora si fosse compresa la relazione tra le sfere planetarie e i cinque solidi regolari: il cubo, il tetraedro, il dodecaedro, l’icosaedro e l’ottaedro. Questi solidi hanno la caratteristica per cui le facce di ciascun solido sono tutte identiche e sono costituite soltanto da figure equilatere. Keplero riteneva che se la sfera di Saturno fosse circoscritta al cubo nel quale fosse inscritta la sfera di Giove, e se il tetraedro fosse inscritto nella sfera di Giove con la sfera di Marte inscritta in esso, e così via per gli altri tre solidi e le altre tre sfere allora, mentre si sarebbero potute dimostrare le dimensioni relative di tutte le sfere, si arrivava a comprendere anche la ragione per cui c’erano solo sei pianeti.
Per lo scienziato Keplero Dio è matematico e tutta la sua opera mira a comprendere le geometrie con cui Dio ha creato l’universo sostenuto dalla credenza che la semplicità della costruzione sia un segno di verità e che la semplicità matematica si identifichi con l’armonia e la bellezza. Ci troviamo quindi di fronte ad una mente geniale ma ancora avvolta nel fascino speculativo di Platone o Pitagora dove l’immanente presenza di Dio fa sempre da guida e fine per la spiegazione della realtà.
Keplero affrontò anche il problema del moto di marte, da Tolomeo a Copernico e Brahe nessuno erra riuscito a spiegarlo e dopo dieci anni di fallimenti anche Keplero dovette rinunciare all’idea del moto circolare ma si accorse che teoria ed osservazioni combaciavano se si facevano muovere i pianeti in orbite ellittiche, con velocità variabili determinabili secondo una semplice legge. Fu una scoperta sensazionale: viene spezzato definitivamente il dogma antico e ormai venerabile della naturalità e perfezione del moto circolare. E un procedimento matematico semplicissimo era in grado di dominare, in un universo copernicano, una quantità sterminata di osservazioni e permetteva di fare previsioni sicure ed accurate. Ed ecco le due leggi che contengono la soluzione finale del problema, soluzione che è valida anche per noi oggi.
Prima legge: Le orbite dei pianeti (Marte) sono ellissi delle quali il Sole occupa uno dei fuochi.
Seconda legge: La velocità orbitale di ciascun pianeta varia in modo tale che la linea che con giunge il Sole ed il pianeta copre, in eguali intervalli di tempo, uguali porzioni di superficie dell’ellisse.
Queste leggi vengono poi estese alla Luna ed ai satelliti di Giove e nel 1619 Keplero annuncia la sua Terza legge: I quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti sono nello stesso rapporto dei cubi delle rispettive distanze dal Sole. I principi della cosmologia aristotelica risultavano ormai scardinati, il sistema solare era pienamente svelato in tutta una rete di limpidi e semplici rapporti matematici.
Il metodo usato da Keplero viene ai nostri giorni considerato un esempio perfetto di procedimento scientifico: c’è un problema (le irregolarità del moto di Marte); si inventano tutta una serie di congetture quali tentativi di soluzione del problema; e su questo sciame di congetture si fa scattare il meccanismo della prova selettiva: si scartano tutte quelle ipotesi che non reggono all’urto delle osservazioni, fino ad arrivare alla teoria giusta.
Istruttivo è anche il metodo con cui arriva alla seconda legge, Keplero descrive il Sole come il corpo che appare il solo adatto in virtù della sua dignità e potenza, e degno di diventare la dimora di Dio stesso, per non dire il primo motore. Il sole è il corpo più bello; è, in qualche modo, l’occhio del mondo. In quanto fonte della luce o lanterna risplendente, adorna, dipinge e abbellisce gli altri corpi del mondo.
Questa è una metafisica del Sole. I pianeti non si muovono più di moto naturale circolare ma sono mossi da una forza motrice come quella magnetica, forza che emana dal Sole. Siamo di fronte ad un’intuizione metafisica riguardante il mondo fisico stando alla quale i pianeti percorrono le loro orbite spinti dai raggi di un’anima motrix che scaturiscono dal Sole. In questo siamo ben lontani da una scienza matura, ma lo scardinamento del sistema aristotelico ha portato ad una rivoluzione che lasciava gli scienziati liberi di ideare sistemi alternativi.