Nei primi duecento cinquant’anni dell’orologeria, lo scappamento (per sapere cos'è vai in Meccanica dell'orologio) a verga dominò incontrastato e le alternative possibili furono abbandonate. I progressi ottenuti in precisione derivavano da un miglioramento dei materiali impiegati e da un affinamento del taglio e della rifinitura delle parti mobili. Tali avanzamenti furono davvero sostanziali, tanto che, nel Quattrocento, fu possibile introdurre la lancetta dei minuti sia negli orologi da torre sia in quelli da camera. Gli orologi portatili restavano indietro: essendo di dimensioni più piccole, anche la loro precisione era minore.
Raggiunto un certo grado di perfezione gli orologiai puntarono a migliorare lo scappamento. La verga doveva essere una fonte di errori poiché l’oscillatore non era dotato di un’intrinseca frequenza. Legato com’era alla verga e, attraverso di questa, al meccanismo, le oscillazioni variavano necessariamente con il variare della forza trasmessa dal treno. La precisione aveva un margine di errore di circa venti minuti al giorno, cioè su una media di 24 ore, mentre se si considerava come prova un ora il margine di errore in proporzione aumentava.
Il nuovo obiettivo consisté nel trovare un oscillatore dotato di una sua propria frequenza stabile e collegato al meccanismo di scappamento in modo tale da non dover subire le conseguenze perturbatrici delle irregolarità persistenti del treno. La risposta fu trovata mediante due magnifici congegni: il pendolo per gli orologi a collocazione fissa e il bilanciere a molla per i pezzi mobili e portatili.
Il pendolo
L’orologio a pendolo fu intuito da Galileo nel 1637 e realizzato con successo da Christian Huygens alla fine del 1656. Lavorando in collaborazione con l’orologiaio Salomon Coster ad Amsterdam, Huygens si limitò a eliminare il regolatore a bilanciere e lo sostituì con un pendolo semplicemente appeso a una corda o a un filo metallico, e per questo abbondantemente isolato dagli effetti perturbatori del treno. Si passò da un margine di errore di almeno quindici minuti nell’arco della giornata a una oscillazione di dieci o quindici secondi.
Quando la notizia del nuovo orologio di Huygens raggiunse l’Italia, si levarono alte grida di indignazione e Huygens fu accusato di aver plagiato Galileo.
Tra coloro che protestarono si annoverano Leopoldo de’ Medici, principe di Toscana, mecenate dell’orologeria e orgoglioso proprietario di uno dei primi orologi a pendolo, fabbricato nel 1658, e l’Accademia del Cimento di Firenze. Galileo era il santo scienziato di Firenze, tanto più in quanto la città lo aveva consegnato all’Inquisizione, e la pretesa di Huygens sembrò martirizzare la sua memoria.
Val la pena di ricordare alcuni aspetti teorici in questa storia perché errati. Galileo pensava che l’oscillazione di un pendolo fosse indipendente dall’ampiezza dell’arco di movimento dello stesso e che soltanto la lunghezza (ovvero il raggio dell’arco) avesse importanza. Questa è una delle ragioni che lo indusse a pensare all’utilità del pendolo in quanto misuratore del tempo. Quando scoprì che tutto questo non era vero, attribuì la variazione alla resistenza dell’aria. Ma se l’aria poteva portar problemi era cosa irrisoria. La sorgente delle maggiori difficoltà era l’arco di oscillazione: un peso a pendolo che oscilli a partire da un punto determinato descrive un circolo e le oscillazioni circolari non sono isocrone. Per ottenere l’isocronismo si richiede un arco cicloidale, cioè la traiettoria descritta da un punto preso sulla circonferenza di un cerchio che rotoli lungo una linea retta. (Per capire meglio vai in Meccanica dell'orologio)
L’errore circolare, non conosciuto da Galileo, fu subito notato da Huygens che cercò di correggere l’errore ma con scarso successo utilizzando un arco con un indice di curvatura superiore piazzando lungo la corda di sospensione del pendolo degli scorrimenti (chiamati cheeks) di metallo di forme differenti, in modo tale da ostacolare il dondolio e da ridurre così la lunghezza effettiva del pendolo (facendolo cioè muovere più veloce mente) a mano a mano che l’arco aumentava. Tuttavia il risultato che rese più fiero Huygens fu quello di aver capito, così come scrive nel suoHorologium (1658) che la traettoria giusta fosse quella del cicloide.
La soluzione migliore per ridurre l’errore del moto del pendolo fu lo scappamento ad àncora, così chiamato per via dell’aspetto dei bracci di arresto e avvio della ruota di scappamento. L’àncora esigeva un arco di oscillazione molto meno ampio di quello della verga e, in combinazione con un pendolo da secondi produceva un passo che variava non più di dieci secondi al giorno, un funzionamento tanto straordinario che il congegno fu battezzato con il nome di pendolo reale. Gli astronomi, dotati ormai di uno strumento cronometrico più sofisticato di quanto non avessero mai osato sognare, svilupparono ulteriormente la sua logica intrinseca e chiesero di avere pendoli ancora più lunghi. I grandi orologi dell’osservatorio di Greenwich disponevano di pendoli lunghi oltre tre metri e mezzo e capaci di battere secondi doppi.
Non si ha certezza di chi fu l’inventore dello scappamento ad ancora ma Robert Hooke sembra il più probabile.
L’equazione del tempo
Il tempo solare (il francese temps vrai) non è la stessa cosa del tempo medio, ovvero la dimensione scalare uniforme indicata dall’orologio meccanico. Il tempo solare è anticipato rispetto a quello medio fino a quindici minuti e gli resta indietro fino a quattordici. I due tempi coincidono quattro volte l’anno, per correggere queste differenze si poteva consultare una delle tabelle su cui era riportata l’equazione per ciascun giorno e settimana dell’anno. Ma la domanda era: di quale tempo bisognava servirsi? Anche gli orologi a pendolo devono essere registrati sull’ora solare? Far questo avrebbe voluto dire doverli registrare e mettere a punto molto spesso, ciò che non è mai una buona cosa per un meccanismo di precisione. Due persone, una intenta a leggere il quadrante e a contare i minuti, l’altra a correggere il meccanismo, potevano riuscire a registrare il tempo con una ragionevole precisione, ma questi dati tendevano a essere meno esatti del tempo medio convertito di un buon orologio a pendolo lasciato alla sua marcia. Ma perché convertirlo? La disponibilità di segnatempo affidabili e precisi, funzionanti giorno e notte, con il cielo terso e con quello nuvoloso, indusse la gente a organizzare la propria vita in base al tempo medio piuttosto che a quello solare. Furono approntate delle meridiane dotate di scala di conversione per effettuare l’equazione del tempo: invece di correggere il proprio orologio in base al sole, si correggeva il sole. E così fu fatto un altro passo verso quell’emancipazione dal ritmo naturale diurno che era cominciata con la sostituzione delle ore variabili dei tempi antichi e medievali mediante le ore uniformi.
L’orologio a equazione. Tra le bizzarrie, ricercatissime tra i collezionisti create in epoca barocca ci fu l’orologio ad equazione costruito per mostrare contemporaneamente il tempo solare e il tempo medio. La tecnica di fabbricazione, nelle sue versioni definitive, consisteva o in una camma a forma di rene, la cui sagoma era definita dalla curva delle coordinate polari dell’equazione del tempo nel corso dell’anno, oppure in un sistema estremamente complicato di ingranaggi differenziali. Le tante difficoltà tuttavia furono superate solo alla fine del secolo, e fu allora che precisi orologi a equazione vennero fabbricati da Tompion e Joseph Williamson e, successivamente, da orologiai continentali come Julien Le Roy. Erano macchine meravigliose, tours de force di arte e ingegnosità meccanica. Ma erano prodotte a lunghi intervalli ed è inutile aggiungere che si trattava di oggetti molto costosi. Nelle migliori condizioni possibili, oltretutto, non raggiungevano mai una precisione comparabile con quella delle tabelle di conversione astronomiche, le quali costavano assai meno. Il principio di base era difettoso:questi orologi non fornivano una autonoma misurazione del tempo solare ma si limitavano a derivarla dalla propria marcia basata sul tempo medio.
Il bilancere
Il problema, dunque, era quello di trovare un regolatore che fosse più o meno insensibile al movimento. Nacque così il bilanciere a molla: un corpo elastico attaccato al bilanciere e capace di impartirgli il suo ritmo periodico di compressione e decompressione, che viene commutato in movimento oscillatorio. Con un simile regolatore a molla, che commuta energia potenziale in energia cinetica, il treno non ha più bisogno di trainare il meccanismo di un bilanciere, funzionando da freno inerziale: non fa altro che fornire un impulso adeguato e restituire alla molla del bilanciere l’energia perduta nello spingere il bilanciere e nell’attrito. È sufficiente una piccolissima spinta. Di conseguenza, il bilanciere può essere più pesante e dunque più resistente ai traumi e in genere agli effetti di un mutamento di posizione. Huygens introdusse la nuova tecnica e non sembra sia di sua invenzione perché la questione è stata a lungo dibattuta.
I minuti
In virtù di queste innovazioni presto divenne utile inserire negli orologi la lancetta dei minuti e segnarli sui quadranti. All’inizio ci furono molti mode per segnare i minuti e solo più tardi si raggiunse lo standard di inserire il perno dei minuti in quello delle ore.
Le lancette dei minuti furono seguite da quelle dei secondi, a partire dal decennio 1690-1700. I primi orologi muniti della lancetta dei secondi sono talvolta chiamati orologi del dottore in base all’idea che fossero fabbricati per la rivelazione del battito del polso. In certi casi era vero, ma è certo che quegli esemplari erano comprati anche da non dottori e si ha l’impressione che la lancetta dei secondi servisse principalmente a segnalare che l’orologio funzionava. Queste lancette erano utili principalmente negli intervalli brevi, ovvero nelle frazioni di minuto, e non solo per i medici. Servivano agli astronomi, assieme ai più precisi orologi a pendolo, ma anche i navigatori potevano servirsene per cronometrare gli avvistamenti successivi.
L’importanza crescente delle piccole unità di tempo portò all’invenzione, negli anni 1740-50, degli orologi con i secondi al centro, cioè orologi le cui lancette dei secondi giravano intorno all’albero centrale e tracciavano la circonferenza del quadrante; naturalmente, più grande era l’arco di rotazione, più visibile e divisibile si faceva il conto dei secondi. Questi orologi erano generalmente attrezzati con una levetta di arresto che consentiva a chi li usava di congelare il risultato di una misurazione, la soluzione migliore per elaborare un conto in secondi. L’unico inconveniente consisteva nel fatto che l’intero movimento si fermava. La difficoltà fu risolta nel 1776, quando Jean-Moyse Pouzait, un orologiaio svizzero, inventò un autonomo treno dei secondi.
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