William Shakespeare
William Shakespeare (1564-1616) è il più grande rappresentante del teatro elisabettiano. Secondo gli studiosi lo sviluppo dell’artista si può dividere in quattro momenti.
Il primo periodo comprende generi molto diversi: drammi storici, commedie, tragedie. Seneca con il suo tono crudele e pieno di orrore lo influenzò nel Titus Andronicus (1593-94) mentre nella Comedyof Errors (1593) sembra rifarsi a Plauto e alla commedia latina; The taming of the Shrew (La bisbetica domata, 1593-94) è, al contrario, una commedia di caratteri. The Two Gentlemen of Verona (1594-95) e Love’s Labour’s Lost (Pene d’amor perdute, 1594-95) seguono i modi della commedia cortese; l’ambiente e l’atmosfera cortese fanno da sfondo anche ai primi due capolavori: Romeo and Juliet (1594-95) e Midsummer-Night’s Dream (1595-96). Romeo e Giulietta è ricco di metafore che rimandano all’eufuismo ma l’artificio letterario non rimane puro ornamento per divenire al contrario elemento di verità sentimentale.
Il secondo periodo è segnato dalle celebrazioni della storia inglese e commedie. Nel dramma storico delinea il carattere dell’eroe: nel Richard III (1592-93) per la prima volta ritrae una grande figura tragica, un eroe sinistro tutto concentrato su se stesso che desta più orrore che simpatia. Seguono altri drammi il Richard II (1595-96),King John (1596-97), Henry IV(IV, 1597-98), Henry V(1598-99) collocati però ancora su uno sfondo collettivo e storico.
Si mescolano qui il coraggio cavalleresco, la vergogna e la malvagità. Shakespeare delinea, in Enrico IV, la figura più potente: Falstaff, diretta derivazione sia del Miles gloriosus di Plauto che del Panurgo di Rabelais. In questo secondo periodo si distinguono le commedie The Merchant of Venice (1596-97), Much Ado about Nothing (1598-99), As you Like It (1599-1600), Twelfth Night (1599-1600), dove si me scolano, raggiungendo perfezione letteraria e umana, la schermaglia amorosa, i travestimenti, il sorriso e lo stile della corte.
Il terzo periodo si colloca nell’età giacomiana densa di contraddizioni. Shakespeare mette ora in scena eroi sempre più soli e disperati: Julius Caesar (1599-1600), Antony and Cleopatra (1606-7), Coriolanus (Coriolano, 1607-8). La dimensione corale, che pure si era mantenuta in queste tragedie, lascia il posto ad assolute individualità nelle cosiddette tragedie personali: Hamlet (1600-1), incapace di scegliere il proprio destino, lacerato tra impulsi psicologici spesso in antitesi. In Othello (1604-5) si consumano passioni antitetiche ed estreme; King Lear (1605-6) ritrova la propria dignità solo nella consapevolezza che la vita è assurda. Consapevolezza di nuovo presente nel Macbeth (1605-6): «la vita è una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e furore, che non significa nulla».
L’ultima fase vede predominare le commedie della ricomposizione dei contrasti a parte Henry VIII (1612-13): il perdono ripara al dolore con una dolcezza stanca. Questo atteggiamento è soprattutto presente in The Tempest (1611-12), dove si mescolano fantasia e realtà, e il dolore e la violenza vengono resi innocui dalla saggezza.
Ben Jonson
Ben Jonson (1573-1637) si rifà ai modelli classici che ebbero all’epoca più successo di quelli shakesperiani, perché rispondevano maggior mente agli schemi della critica. Nelle sue opere egli dà un quadro satirico del tempo e rappresenta in modi ironici le debolezze dei suoi contemporanei. In lui la commedia ha una funzione di denuncia dei vizi umani e i personaggi sono spesso costruiti secondo la teoria del carattere predominante che veniva illustrato in tutte le sue sfumature.
Nel Volpone (1605) c’è una mescolanza di asprezza e umorismo, senso morale e gusto per ciò che di mostruoso c’è nella natura umana. La vicenda è ambientata in un’italia rinascimentale di maniera (per gli inglesi l’Italia era il luogo possibile di tutti i vizi). Lo spunto lo derivò dai Cacciatori di eredità di Petronio, nel Satyricon. La satira riguarda tutta l’umanità ed è impregnata di una profonda misantropia.