Illusionismo e propaganda
In pieno Seicento, la Compagnia del Gesù, impegnata nella lotta contro il protestantesimo e nell’attività missionaria, applica nuove strategie di persuasione per i propri programmi dottrinari e propagandistici, ricorrendo agli strumenti comunicativi di un’arte spettacolare e retorica.
Negli sfondati prospettici dipinti, la vastità del cosmo si fa percepibile ai sensi sotto forma di uno spettacolo infinito di fughe prospettiche e di figure, attuato attraverso l’applicazione della figura retorica dell’accumulazione. Allegoria e spazio illusionistico sono infatti protagoniste nella decorazione delle volte della chiesa del Gesù (Giovan Battista Gaulli, Il trionfo del nome di Gesù, 1672-75) e della chiesa di Sant’Ignazio a Roma (Andrea Pozzo, La gloria di Sant’Ignazio, 1688-94), in cui la logica e la dialettica della prospettiva danno credibilità a visioni incredibili, e le rendono verosimili.
Ma l’arte barocca non si riduce alle tesi religiose della Controriforma ed è possibile riscontrare in molte opere come il soggetto religioso diventi a sua volta un mezzo o un processo, a cui l’artista ricorre per esercitare, sic et simpliciter, le facoltà della persuasione ed operare la mozione degli affetti.
Metafora e persuasione
In questo senso, la Rettorica di Aristotele ritorna al centro dell'interesse dei letterati, e le figure retoriche vengono impiegate nella poetica del concettismo in chiave di puro virtuosismo. La metafora diventa la grande protagonista della poetica concettistica, poiché il fine del linguaggio poetico non è designare univocamente gli oggetti ma produrre effetti attraverso il suono delle parole e le immagini evocate.
Emanuele Tesauro, il più importante teorico del concettismo, nella sua opera intitolata Il cannocchiale aristotelico (1655), indica la metafora come elemento comune a tutte le arti, fondandosi sulla convinzione che tutte le cose sono afferrabili come simboli.
Proprio in riferimento all'architettura, osserva che «questo appare in tante bizzarrie, nelle facciate sontuose de’ palazzi: capitelli, rabeschi de’ fregi, triglifi, metope, mascaroni, cariatidi, termini, modiglioni: tutte metafore di pietra e simboli muti, che aggiungono vaghezza all'opera e mistero alla vaghezza».
Nell’opera di architetti come Bernini e Borromini l’architettura si fa interamente linguaggio figurato, teso alla persuasione dell’osservatore tramite la proposta di una fascinazione sensibile ed emotiva.
Non in tutti gli edifici costruiti nel periodo barocco è possibile trovare una “intenzionalità” persuasiva. E’ possibile però mettere in evidenza l’identità strutturale, talvolta stupefacente, tra i meccanismi del persuadere, attraverso una rinnovata pratica retorica, ed il processo progettuale che si impose in tutta l’Europa durante il Seicento.
Gianlorenzo Bernini e la tecnica dell’immaginazione
Tutti sapevano che egli fu il primo ad intraprendere l’unificazione dell’architettura, della pittura e scultura in modo tale che insieme formano un tutto magnifico: così scriveva Filippo Baldinucci del Bernini.
Il legame tra la poetica berniniana della sintesi delle arti visive e la pratica retorica e può essere dimostrato nella straordinaria invenzione del “teatro nel teatro” presente nella cappella Cornaro, realizzata da Gian Lorenzo Bernini tra il 1646 ed il 1652 nella chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma. La volta celeste dipinta all’interno della nicchia, il gruppo scultoreo e l’architettura si fondono in una compatta immagine spaziale dando vita ad uno spettacolo totale, in cui l’osservatore è completamente coinvolto. Il fulcro della composizione è il gruppo scultoreo composto dalla santa e del cherubino sospesi sopra una nuvola. La luce celeste è concepita pittoricamente e proviene da una finestra nascosta, invadendo le due figure per poi materializzarsi nei raggi d’oro. I membri della famiglia Cornaro affacciati ai palchetti laterali della cappella assistono all’evento e gli spettatori, trovandosi nell’asse centrale della cappella, possono essere testimoni di una realistica esperienza religiosa. Il meccanismo psicologico della doppia ripetizione (noi siamo spettatori che guardano altri spettatori che guardano) suggerisce che la serie iniziata continui ovviamente all’indietro; ci fa balenare cioè l’ipotesi di essere, come gli spettatori che guardiamo, a nostra volta spettacolo.
Nella struttura scenica della cappella Cornaro con la sua sovrapposizione di diverse situazioni spazio-temporali, sono dunque ravvisabili le figure retoriche della ripetizione e dell’epifrasi o iperbato.
In questa maniera, l’opera d’arte viene strutturata nello stesso identico modo con cui è strutturato il discorso, e all’interno di essa valgono le stesse regole e gli stessi principi che regolano il discorso e che si trovano esposti nella Poetica e nella Rettorica di Aristotele. Se lo scopo ultimo dell’opera d’arte è il persuadere attraverso le immagini, applicando le leggi della mimesis e della verosimiglianza, non ha più alcun senso distinguere le singole tecniche artistiche, e si comprende dunque il concetto di sintesi delle arti visive.
E’ possibile dunque affermare, a proposito del Bernini, che ad una tecnica collegata all’esecuzione si sostituisce una “tecnica dell’immaginazione”, unica per tutte le arti. L’utilizzo di una tecnica immaginativa in funzione del coinvolgimento emotivo dell’osservatore ha infatti lo scopo di persuadere le masse dei fedeli, di stupirle con l’immaginazione magnifica.
Il linguaggio dell'architettura in Bernini interpreta infatti il carattere trionfale e universalistico della Chiesa romana. Il colonnato di San Pietro (1657), come afferma lo stesso artista, doveva essere simbolo delle braccia materne della Chiesa che accoglie i fedeli. Ma questo rapporto tra figura retorica e finalità espressiva viene attuato attraverso soluzioni architettoniche dinamiche, fughe prospettiche, dilatazioni spaziali grandiose e scenografiche, che determina un coinvolgimento dello spettatore improntato più verso lo spettacolo che verso la fede.
Francesco Borromini e la “prassi” retorica
Se Bernini privilegia l'impatto unitario attraverso lo studio della prospettiva, la ricerca della persuasione basata sulla verosimiglianza, Borromini propone invece un metodo analitico fondato su una prassi segnata a sua volta dalla retorica, una lettura analitica cioè che si svolge nel tempo e che guida lo sguardo fino al sistema dei dettagli.
Borromini non cerca di coinvolgere in qualche modo lo spazio preesistente alle sue opere, ma, al contrario, tende ad isolarlo, a far emergere i singoli elementi architettonici via via come episodi, proprio dal contrasto con ciò che vi circonda. A scala urbanistica, questa funzione viene esplicata, ad esempio, nei cantonali dell’oratorio dei Filippini (1637-67), studiati per arrivare ad un senso di isolamento rispetto allo spazio circostante.
Nella facciata di Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane, Roma (1634-44) è riconoscibile la figura dell'antitesi, nell’alternanza ritmica di concavo-convesso, che induce lo sguardo a seguire la sintassi articolata dei particolari, e nella dilatazione-contrazione delle masse, che esprime la concezione drammatica di uno spazio animato da forze opposte, infinito, non conosciuto, ma in certo senso creato.
Si può dunque affermare che la poetica del Borromini, la sua concezione di architettura come tecnica progettuale improntata sul fare, e non sul rappresentare, è intrinsecamente retorica poiché privilegia un montaggio sintagmatico, di elementi legati da un rapporto di contiguità, cioè “assemblati” l'uno dopo l'altro.
La retorica, strumento della comunicazione barocca Musica e retorica nel periodo barocco