Profilo biografico
Gabriello Chiabrera fu considerato, soprattutto nel Settecento e nell’Ottocento, un’alternativa al Marino, mirando ad una misura e razionalità classicistica, anche se, in effetti, mantenne il legame con i classici e risentì delle forme del barocco.
Di nobile famiglia, nacque a Savona nel 1562. Fu educato a Roma, dapprima privatamente in casa di uno zio (suo padre morì prima della sua nascita, e la madre ben presto si risposò), poi nel collegio dei Gesuiti.
Dopo una giovinezza disordinata e burrascosa, segnata da episodi di dissolutezza e di violenza, sfogando il suo temperamento prepotente ed accattabrighe, tanto che, in seguito a risse e duelli, nel 1576 fu bandito da Roma e nel 1581 da Savona, passò a vita più tranquilla, sostando in varie corti d’Italia, come Roma, Mantova, Torino (presso Carlo Emanuele I, al quale dedicò il poema celebrativo di casa Savoia, l’Amadeide), Firenze, città prediletta, godendo dell'ammirazione e della protezione di principi, di prelati e del pontefice Urbano VIII.
Dopo aver soggiornato presso varie corti, tornò, infine, nella città natale, e qui si spense nel 1638.
Copiosissima la sua produzione in versi, che abbracciò i più diversi generi letterari: poema eroico (Gotiade, 1582), poemetto didascalico, dramma per musica (Il rapimento di Cefalo, 1600), tragedia (Erminia, Angelica in Ebuda, etc.), componimento satirico (Sermoni, 1623-1632), ma il Chiabrera è ricordato soprattutto per la lirica, per le sperimentazioni formali e metriche,in bisogno di rinnovamento della versificazione volgare avvertita povera e monotona.
Come Ronsard ed i poeti della Pléiade in Francia, il Chiabrera, spinto da inesausta curiosità metrica e linguistica, pur essendo pienamente ancorato all’esperienza cinquecentesca, cercò di trovare nuove vie poetiche recuperando forme e metrica della lirica greca, soprattutto quella di Pindaro, Saffo e Anacreonte, ma non riuscì a sottrarsidalle atmosfere del secolo; compaiono, perciò, nei suoi versi antitesi e metafore, concetti e ardimenti strampalate, leziosità, sensualità e galanterie, documenti, tuttavia, importanti del gusto secentesco.
Interessante fu il suo tentativo, ripreso poi, con maggior vigore dal Carducci, con il “metro barbaro”, di adattare la misura accentuativa allo schema del verso classico.
Dalla sua sperimentazione metrica e dalla ricerca di musicalità deriverà una tendenza al “grazioso” che si dispiegò compiutamente nel Settecento.
E merita di essere ricordata la breve Autobiografia, per la sincerità con cui parlò delle vicende della sua vita, ed anche perché lo stile rapido ed incisivo della sua prosa influenzò il Foscolo e il Leopardi nella stesura delle loro pagine autobiografiche.
Liriche
Riso di bella donna
Belle rose porporine,
che tra spine
sull'aurora non aprite,
ma, ministre degli Amori,
bei tesori
§ di bei denti custodite;
dite, rose preziose,
amorose,
dite, ond’è che s’io m’affiso
nel bel guardo vivo ardente,
voi repente
disciogliete un bel sorriso?
E’ ciò forse per aìta
di mia vita,
che non regge alle vostr’ire?
O pur è perché voi siete
tutte liete,
me mirando in sul morire?
Belle rose, o feritate,
o pietate
del sì far la cagion sia,
io vo’ dire in nuovi modi
vostre lodi;
ma ridete tuttavia.
Se bel rio, se bell’auretta
tra l’erbetta
sul mattin mormorando erra;
se di fiori un fraticello
si fa bello,
noi diciam:- Ride la terra.-
Quando avvien che un zefiretto
per diletto
bagni il piè nell’onde chiare,
sicché l’acqua in sull’arena
scherzi appena,
noi diciam che ride il mare.
Se giammai tra fior vermigli,
se tra gigli
veste l’alba un aureo velo,
e su rote di zaffiro
move in giro,
noi diciam che ride il cielo.
Ben è vero: quando è giocondo
ride il mondo,
ride il ciel quando è gioioso:
ben è ver; ma non san poi
come voi
fare un riso grazioso.
Celebre è questa canzonetta del Chiabrera, di gusto barocco misurato e disciplinato, ricca d’immagini e metafore preziose, in cui il poeta, in celebrazione del riso,esordisce proprio con una metafora, rose=labbra, rivolgendosi in omaggio alle rosee labbra, chiamate belle rose porporine,ministre degli amori, dispensatrici di gioie amorose, della donna amata, in insistenza d’immagini caratteristiche delsecentismo attenuato in galanteria tipico dell’autore.
Il riso seducente, malizioso e misterioso della bella donna suscita nel poeta divagazioni ingegnose (non poetiche), galanti, aggraziate, anche leziose, in versi eleganti efelicemente musicali (ma la musicalità non è ispirata dal sentimento, è data dall’abilità nello svolgimento dei moduli rigidamente applicati), del tutto conformi allo spirito del secolo (anche se non in esagerazione di artificio poetico come in Marino e nei marinisti), sul tema del “ridere”: ride la terra, ride il mare, ride il cielo,ma il loro sorriso non potràmai eguagliare in graziaquello femminile.
Dall’ Autobiografia di Chiabrera
Ritratto del Poeta
Fu di comunale statura, di pelo castagno, le membra ebbe ben formate; solamente ebbe difetto d’occhi, e vedea poco da lunge, ma altri non se n’avvedea: nella sembianza pareva pensoso, ma poi usando con gli amici era giocondo; era pronto alla collera, ma appena ella sorgeva in lui che ella si smorzava:pigliava poco cibo, né dilettavasi molto de' condimenti artificiosi; ben bevea molto volentieri, ma non già molto, e amava di spesso cangiar vino, e anco bicchieri: il sonno perder non potea senza molestia. Scherzava parlando, ma d'altri non dicea male con rio proponimento: a significare che alcuna cosa era eccellente diceva che ella era poesia greca; e volendo accennare che egli di alcuna cosa non si prenderebbe noia, diceva: Non pertanto non beverò fresco. Scherzava sul poetar suo in questa forma: diceva che egli seguia Cristoforo Colombo suo cittadino:ch'egli volea trovar nuovo mondo, o affogare. Diceva ancor cianciando, la poesia esser la dolcezza degli uomini, ma che i preti eran la noia; e ciò diceva riguardando all'eccellenza dell’arte e all'imperfezione degli artéfici, i quali infestano altrui col sempre recitare suoi componimenti; e di qui egli non mai parlava né di versi né di rime, se non era con molto domestici amici e molto intendenti di quello studio. Intorno agli scrittori, egli stimava ne' poemi narrativi Omero sopra ciascuno, e ammirato in ogni parte, e chi giudicava altramente egli in suo se segreto stimava s'odorasse di sciocchezza; di Virgilio prendeva infinita maraviglia nel verseggiare e nel parlar figurato; a Dante Alighieri dava gran vanto per la forza del rappresentare e particolareggiar le cose le quali egli scrisse; e a Lodovico Ariosto similmente. Per dimostrar che il poetare era suo studio, e che d'altro egli non si prezzava, teneva dipinta, come sua impresa, una cetra, e queste parole del Petrarca: Non ho se non quest'una. Prese gran diletto nel viaggiare, e tutte le città d'Italia egli vagheggiò, ma dimora non fece solo che in due, Firenze e Genova. In Firenze ebbe perpetuamente alloggiamento da’ signori Corsi marchesi di Caiasso; in Genova talor dal marchese Brignole e talora dal signor Pier Giuseppe Giustiniani, dai quali con ogni cortesia era famigliarmente raccolto, e i quali egli amava e riveriva sommamente; e sopra la porta della camera dove alloggiava nel palazzo di Giustiniani, in Fossolo, fu da questo signore fatto scolpire l'infrascritto distico:
Intus agit Gabriel: sacram ne rumpe quietem;
Duro strepis, ah! periit nihl minus Iliade.1
Del rimanente egli fu peccatore, ma non senza cristiana divozione: ebbe santa Lucia per avvocata: per lo spazio di sessantanni due volte il giorno si raccomandava alla Pietà; ne cessò di pensare al punto della sua vita.
1) Dimora, qui entro Gabriele; non disturbare il sacro silenzio. Se fai chiasso, ahimé, si perde qualche cosa di non inferiore all’Iliade.
Bibliografia
G. Ferroni, Storia della letteratura italiana, vol. II, 1991, by Einaudi scuola, Elemondeditori associati
C. Segre-G. Ossola, Poesia italiana (Seicento, Settecento) 1999, Einaudi, Torino
G. Chiabrera, Maniere, scherzi e canzonette morali, 1998, Guanda editore, Parma
Scrittori italiani,vol. II, 1960, Le Monnier, Bologna