Il carnevale veneziano
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in mirabilia
Il carnevale di Venezia durava un’intera stagione, iniziava alla vigilia dell’Epifania e finiva alla quaresima. In questa città, che agli stranieri appariva immersa in un’eterna festa, e così effettivamente era almeno per la nobiltà, il carnevale con le sue mascherate, gli spettacoli, i baracconi, i saltimbanchi, i cantastorie, era un evento che non aveva uguali in Italia.
La maschera diveniva un’uniforme: la moreta, che copriva solo la metà del volto, o la maschera bianca e lucida. La maschera deformante si adattava soltanto ai travestimenti bizzarri e grotteschi, e la portavano esclusivamente i popolani. La maschera nera e bianca consentiva di entrare ovunque, anche al Ridotto, la celebre casa da gioco di calle San Moisè, chiusa nel 1774 per decisione del Maggior Consiglio.
La maschera facilitava ogni intrigo e audacia e consentiva a chiunque una sorta di sdoppiamento della personalità, di sembrare un altro restando se stesso, a Venezia si univa un turbine di divertimenti per la gioia della folla più che dei raffinati.
Le feste
I nobili utilizzavano anche le feste per tenere il potere, organizzavano combattimenti di tori, lotte corpo a corpo, Ercoli e piramidi umane, quali ancora oggi si vedono nei circhi.
Follie: si taglia la testa a un toro dopo aver aizzato dei mastini contro delle mucche; il martedì grasso si lanciano fuochi d’artificio in pieno giorno, sfilano compagnie di macellai in bizzarri travestimenti, e dall’alto del campanile un’abile funambola raggiunge la loggia del Palazzo Ducale.
Sul molo si riuniscono ogni giorno attrazioni da fiera: domatori di belve, pagliacci, acrobati, indovini che pronunciano i loro oracoli in un lungo tubo che arriva all’orecchio di colui che pone le domande, uomini e donne di contrade lontane che suscitano mille curiosità, mentre in costume da Brighella, da Zerbinetta o da Colombina i personaggi tradizionali della commedia italiana si agitano e si provocano in una indiavolata sarabanda.
Come nel caso dei sontuosi cortei ufficiali o del galante viavai del Ridotto e dei parlatori dei conventi, il pennello dei maestri veneziani del Settecento evoca con perfetta naturalezza i diversi aspetti del carnevale.
Le sfilate
Nel 1664 in occasione delle nozze in casa Cornaro a San Polo, si organizzò una grandiosa e divertente mascherata a cui parteciparono molti giovani patrizi. Una sfarzosa sfilata attraversò Venezia e fece tappa in due dei più famosi monasteri della città: quello di San Lorenzo e quello di San Zaccaria, dove risiedevano le monache di nobile stirpe.
Il 27 febbraio 1679 il Duca di Mantova sfilò con un seguito di indiani, neri, turchi e tartari che, lungo il percorso sfidarono e combatterono sei mostri, dopo averli uccisi si cominciò a danzare.
Per il Carnevale del 1706: giovani patrizi si mascherarono da Persiani e attraversarono la città per poi esibirsi nelle corti e nei parlatoi dei principali monasteri di monache.
L'atmosfera
Per molti giorni all’anno, il mondo sembrava non opporre più resistenza i desideri diventavano realizzabili e non c’era pensiero o atto che non fosse possibile.
Questa era Venezia nel Settecento, il secolo che, più di ogni altro, la rese luogo dalle infinite suggestioni e patrimonio della fantasia del mondo.
Venezia era allora il mondo di Giacomo Casanova, un mondo superficiale, festante, decorativo e galante, il mondo di pittori come Boucher e Fragonard, Longhi, Rosalba Carriera e Giambattista Tiepolo, la patria del padre della Commedia dei Caratteri.
Uno dei più grandi autori del teatro europeo e uno degli scrittori italiani più conosciuti all’estero: Carlo Goldoni che, in una poesia dedicata al Carnevale, così rappresenta lo spirito della festa:
“Qui la moglie e là il marito
Ognuno va dove gli par
Ognun corre a qualche invito,
chi a giocar chi a ballar”.
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