Il precetto pasquale
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in mirabilia
In Italia l’osservanza della Pasqua era cosa assai seria tanto da mandar in galera chi non avesse rispettato gli ordini ecclesiastici. L’ultima domenica della quindicina di Pasqua i curati dal pulpito avvertivano i fedeli che alcuni non avevano “ fatto la pasqua”, esortandoli a provvedere.
L’esortazione veniva ripetuta nelle quattro o cinque domeniche successive, con minaccia di scomunica; poi la scomunica veniva pronunciata, senza che i refrattari venissero nominati, in seguito ne veniva citato il nome e infine veniva affisso alla porta della chiesa un elenco completo di nome, professione, età e domicilio.
I nomi degli eventuali respiscenti venivano cancellati, ma in modo che restassero leggibili. Le scomuniche nelle grandi città erano meno frequenti a causa del difficile controllo ma non nei paesi o piccoli borghi; tuttavia a Roma vigeva quest’uso e i curati rimettevano al governo l’elenco degli irriducibili, contro i quali nel giorno di san Bartolomeo (24 agosto) veniva lanciata la scomunica. All’epoca questa sanzione aveva effetti soltanto spirituali, e certi curati, cui ripugnava, cercavano di aggirarla, ma non sempre nel rispetto della coscienza.
Uno di essi confessa di non aver mai inviato l’elenco alle autorità, ma di aver cercato di ottenere direttamente la riparazione dai pochi refrattari avvertendoli in privato; tuttavia, se questa manovra fosse fallita, non avrebbe esitato a far condurre in carcere i più ostinati. Fu così che uno dei suoi parrocchiani vi rimase per ben sei settimane: Finì col comunicarsi.
Mangiar di grasso in quei giorni era proibito tanto che ci voleva il certificato medico per toccar carne e se un ristoratore per soddisfare un cliente cucinava una pietanza proibita entrambi finivano in prigione, o peggio al palo o al cavalletto.