Les Chats di François-Augustin de Paradis de Moncrif
Scritto da Irene Marone. Pubblicato in mirabilia
Le vetrine dei negozi, gli spot televisivi, i social network e i video di YouTube pullulano di gatti e di gadget e oggettistica dedicata a loro. Da qualche anno la micio-mania è esplosa prepotentemente e sta dilagando in ogni ambito della comunicazione.
Ma non è sempre stato così: tra XVII e XVIII secolo il gatto era considerato un animale furastico, infido e difficile da addomesticare, nutrito e tenuto nelle case solo per potersi liberare dalla piaga ben più fastidiosa dei topi.
Bisognerà attendere gli studi che gli illuministi condurranno sui comportamenti degli animali e la predilezione di Luigi XV per questi splendidi felini (in particolare per quelli a pelo lungo) perchè la diffidenza possa dissiparsi ed il gatto possa diventare un presenza gradita nei salotti alla moda.
Ma ancor prima che il re ricevesse in dono dall'ambasciatore turco il suo amato persiano Briliant, ci fu qualcuno che cantò le glorie dei felini nella storia, auspicando l'arrivo di un tempo in cui queste creature misteriose e aggraziate sarebbero state nuovamente venerate e giustamente adorate.
Un “gattaro” colto e raffinato alla corte di Luigi XV
François-Augustin de Paradis de Moncrif nato da una famiglia di origine inglese, era il prototipo del gentiluomo settecentesco: di bell'aspetto, colto, brillante ed abile nella scherma e nei giochi di società, era il protagonista dei salotti parigini del primo '700. Perfetto cortigiano e al tempo stesso uomo di mondo, conquistò da prima la protezione del reggente Philippe d'Orleans e la stima di Luigi XV e di Maria Leszczynska poi. Poeta, musicista e storiografo reale, membro della prestigiosa Academie Francaise fu il primo a dedicare un'intera opera al gatto, pubblicata nel 1727 con il titolo “Les Chats”.
“Les Chats”: la storia del mondo attraverso il gatto
Il volume illustrato, scritto secondo l'usanza dell'epoca in forma di lettere indirizzate ad una giovane dama della corte, ripercorre la storia dell'umanità attraverso il suo rapporto con i felini: le antiche popolazioni che li veneravano, la perdita di popolarità presso i moderni e le accuse mosse ai gatti, i loro pregi e capacità nascoste, i vantaggi di condividere la vita e la casa con un gatto. Il volume contiene anche estratti divertenti come una commedia per i gatti, con tanto di cori di miagolii, favole, poesie e leggende sui felini.
Le fonti sono fintamente storiche: in realtà le argomentazioni di Moncrif sono un pastiche erudito in stile satirico che scimmiotta e dileggia la pedanteria di certa trattatistica dell'epoca. Nelle tavole sono illustrati in modo dettagliato le statuette e gli oggetti votivi utilizzati per la venerazione dei felini nell'antichità, ma anche rappresentazioni allegoriche delle virtù dei gatti: la grazia del movimento, ad esempio, è rappresentata da una scena di danza nella quale i gatti indossano costumi teatrali alla moda e si esibiscono sui tetti delle mansarde di Versailles.
In altre illustrazioni si descrivono gli effetti benefici della presenza di un gatto e il legame profondo che possono instaurare con gli esseri umani che sanno capirne e apprezzarne i comportamenti: in una tavola una dama gravemente ammalata detta le sue volontà testamentarie al notaio mentre accarezza il suo gatto, che è ovviamente l'unico beneficiario di tali lasciti.
L'ironia travisata del “gattaro” incompreso
Lo stile e gli intenti satirici non furono però colti e apprezzati da molti intellettuali dell'epoca e Les Chats divenne facile bersaglio di satire e polemiche. Quando a Parigi divenne di moda la commedia di Dominique e Romagnesi “Gulliver nell'Isola della Follia”, gli autori non si lasciarono sfuggire l'occasione di ridicolizzare Les Chats: nella scena in cui Gulliver incontra un musicista strampalato, che si vantava di aver scritto una magnifica Ode al gatto, il testo di tale ode è tratto proprio dall'opera di Moncrif e viene recitato in modo buffo, scimmiottando il verso del gatto. Immaginando il rischio di essere coperto di ridicolo, Moncrif aveva pubblicato in forma anonima la sua opera, ma il giorno in cui fu ammesso alla prestigosa Academie Francaise, qualcuno introdusse un gatto , che disturbò la riunione con continui miagolii. Il riferimento a Moncrif era evidente, tanto che Voltaire lo chiamò ironicamente l'historiogriffe (griffe= unghia). Per salvare le apparenze, Moncrif rinnegò l'opera dichiarando che «in quello scritto, in sé cattivo, lo spirito era solo un torto in più».
Nonostante i tentativi di riscatto operati da Moncrif, il gatto avrebbe ancora dovuto attendere più di 200 anni prima di tornare ad essere indiscusso protagonista e beniamino venerato: tuttavia questo bizzarro intellettuale illuminista era stato incredibilmente lungimirante quando aveva affermato “è incredibile che non si arrivi ad accorgersi che il gatto è un amico di grande compagnia, un mirabile mimo, un astrologo nato, un musicista perfetto, insomma un'unione di talenti e di grazie; ma non possiamo ancora stabilire con precisione quando arriverà questo secolo, che si potrà legittimamente paragonare al secolo d'oro. Non dubitate (verrà un tempo in cui) nei salotti, negli spettacoli, nelle passeggiate, al ballo, nelle stesse accademie, i gatti saranno ricevuti, e anzi invitati “