L'etichetta (dal francese étiquette, prescrizione) è un complesso di norme e di convenzioni che regola la vita delle corti.
Particolarmente rigorosa e complicata alla corte di Bisanzio, e, per imitazione, presso i Latini d'Oriente, cominciò a fissarsi in Francia verso il XV secolo e raggiunse il suo pieno sviluppo in epoca barocca con Anna d'Austria.
Luigi XIV ne espresse chiaramente le ragioni: elevare la persona del re, rappresentante lo Stato, molto al di sopra di tutti gli altri; di qui l'importanza assunta del gran maestro delle cerimonie.
I tre Stati nell'ancien regime
Quella del XVII secolo era una società di tipo piramidale, con una scala gerarchica rigidamente costituita, dal cui vertice, rappresentato dal re, si scendeva via via fino alla base (il popolo).
Ognuno, secondo il suo rango, aveva obblighi e privilegi; le persone non erano classificate in base alla loro posizione o al loro potere, “ma alla stima e all'onore di cui è oggetto", senza tenere conto delle loro ricchezze.
Tre erano gli ordini in cui la società era suddivisa: il primo era il clero; il secondo la nobiltà: dopo il re, il Delfino suo figlio, che pur essendone l'erede legittimo si trovava da lui a una distanza considerevole. Seguivano i “figli” e le “figlie” di Francia, rampolli di sangue reale, i soli aventi diritto a quell'appellativo e di cui “Monsieur”, fratello del re, era il primo in ordine di importanza. Dopo di essi, i principi di sangue reale, possibili pretendenti al trono. In ordine decrescente, la nobiltà comprendeva poi i pari di Francia e i duchi, i soli ad avere a corte una posizione ufficiale in rapporto al re, quindi i marchesi, i conti, i baroni, i castellani e i gentiluomini d'arme.
Il terzo ordine era costituito dal terzo stato: i letterati, anzitutto, quindi gli avvocati, i finanzieri, la gente d'affari, i commercianti e, infine, i contadini. I loro compiti non potevano condurre ad un titolo nobiliare, a meno che il re in persona non volesse compensare in tal modo i loro servigi.
Regole troppo rigide
L'etichetta organizzava la vita del re e della regina e aveva lo scopo di salvaguardare il loro prestigio in qualsiasi occasione.
Quando la regina o la delfina erano a letto, per esempio, potevano autorizzare le dame non titolate, purchè intente ad un lavoro a mano, a sedersi.
Ogniqualvolta un personaggio di riguardo attraversava la sala di rappresentanza le dame si piegavano in un inchino più o meno profondo; nei saloni tutti erano in piedi in presenza del Re salvo le principesse e certe duchesse cui erano concessi sedie e sgabelli.
Quando una dama era invitata a Marly o a Fontainebleau i paggi scrivevano sulla porta della camera: Per la duchessa…, questo “per” confermava la considerazione dell'ospite nei riguardi dell'invitata: era come se il Re in persona la salutasse sulla soglia. Una donna scriveva: Tutta la Francia è venuta a complimentarmi di questi "per". Ha fatto notizia a Parigi!
A poco a poco queste regole così rigide parvero fuori moda e diventarono insopportabili a tutti. La Principessa Palatina deplorava le confidenze che via via prendevano piede soprattutto a Marly: Non c'è più distinzione di sorta. La duchessa di Borgogna va a passeggio? Ebbene una dama le è a braccetto e le altre le camminano a lato. Nella galleria del Trianon se ne stanno seduti davanti al delfino e alla duchessa di Borgogna; alcuni sono addirittura sdraiati sui divani”. Si riteneva che il rispetto del rango andasse sparendo perché “ Monsieur non si preoccupa di niente .
Gran parte della responsabilità di ciò era attribuita al gioco del Lanzichenecco: poiché si voleva “poter giocare forte” e siccome le persone di alto lignaggio non sempre erano ricche, vi era ammessa la plebaglia della peggior specie.
Le funzione delle dame
Solo Luigi XIV conservava integre le sue leggiadre maniere: era sempre galante, premuroso, di una cortesia piena di sfumature, si dilettava della compagnia delle dame, anche se poi fallì nel tentativo di ricreare, intorno a sua moglie prima, e alla Delfina poi, un gruppo di dame raffinate.
La funzione delle dame di corte era soprattutto ornamentale e l'etichetta, regolava ogni loro movimento.
La dimora della regina contava un numero considerevole di servitori, cerimonieri, dame, talvolta investite di una carica che esigeva la loro costante presenza a fianco della sovrana. Le dirigeva la sovrintendente, carica creata espressamente per la contessa di Soisson, nipote del cardinale Mazzarino, la quale la cedette in seguito a Madame de Montespan; venivano poi le dame di camera, le dame d'onore, le 14 dame di palazzo; tutte scelte nella nobiltà dal re in persona.
Madame de Lanzac era la governante di Luigi XIV; sua figlia lo divenne dei figli e dei nipoti del re.
La dama di camera era incaricata di ordinare le stoffe, le vesti, gli abiti di corte e di regolarne le spese; aveva ai suoi ordini una guardarobiera, due stiratrici, due valletti per il trasporto degli abiti: una vera folla formicolava affaccendata nell'appartamento della regina.
L'anticamera era la sala d'attesa: qui i sovrani prendevano solo i pasti; vi erano ammessi spettatori purchè vestiti in maniera impeccabile.
Il gran gabinetto, in cui avevano luogo l'ammissione degli ambasciatori e le congratulazioni ufficiali per una nuova nascita, serviva anche come sala del trono; in esso avveniva pure la presentazione della dama alla regina. La dama vestiva di un abito a lungo strascico creato apposta ed era accompagnata da una madrina; dopo la riverenza d'uso doveva baciare l'orlo della veste della regina e ritirarsi a ritroso ripetendo più volte gli inchini. Questo era il prezzo che ogni nobildonna doveva pagare per poter partecipare alle cacce reali e trovar posto nella carrozza dei sovrani.
La camera della regina
La camera di parata era la stanza più importante con l'immenso letto a baldacchino, la balaustrata e i pesanti tendaggi. Qui, tutti i giorni, il servizio della regina si riuniva per assisterla quando si svegliava e quando si coricava.
I valletti portavano grandi ceste ricoperte di taffettà dove era ripiegata la biancheria; grandi drappi avvolgevano le vesti. Il tavolo da toletta, con il suo imponente specchio d'argento dorato, metteva a disposizione tutto il necessario per il trucco e l'acconciatura.
La regina si lavava mani e viso con salviette bagnate e profumate; le veniva poi avvicinato un vassoio sul quale si trovavano scatole e astucci, orologio, guanti e ventaglio. La regina Maria Teresa era così pronta per assistere alla messa.
Il pomeriggio della sovrana era consacrato alla caccia, alle lezioni di danza, al teatro. Le dame, a loro volta, avevano un gran numero di servitori: ecco perché il castello divenne ben presto troppo piccolo.
Il declino dell'etichetta
L'etichetta tuttavia complicava in modo singolare la vita a corte e al tempo di Luigi XVI divenne sempre meno rigida.
Allo scopo di scusare la Regina Maria Antonietta di aver voluto scuotere questa perpetua schiavitù, è bene rammentare la tirannia di quelle usanze decadute, alcune delle quali risalivano a Francesco I.
Al risveglio Maria Antonietta non poteva fare in pace la prima colazione: vi assistevano di diritto le cosiddette “piccole entrate”. Pazienza il primo medico, il primo chirurgo, un medico ordinario e il lettore; ma perché i 4 primi camerieri del re, i loro “suivanciers” e i primi medici e i chirurghi di Luigi XVI venivano anche essi a contemplare la giovane regina che beveva la cioccolata mattutina?
Senza dubbio, la sovrana aveva un po' di respiro per fare il bagno: una vasca a forma di scarpa che veniva spinta su rotelle nella camera: a quello assistevano solo le dame.
Verso mezzogiorno la regina, che era tornata a coricarsi, si doveva alzare di nuovo.
A quel punto si sedeva davanti alla toletta, posta in mezzo a un cerchio di seggiolini pieghevoli riservati alle grandi cariche femminili, mentre le “grandi entrate” maschili, in piedi, guardavano Maria Antonietta che si faceva pettinare e mettere il rossetto.
Di continuo entravano nella camera gentiluomini che andavano a inchinarsi dinanzi alla sovrana. Maria Antonietta interrompeva la toletta per salutare con la testa e con un sorriso.
Per le principesse, e le principesse del sangue (l'etichetta lo esigeva), la regina appoggiava le mani sui braccioli della poltrona, come se stesse per alzarsi ma rimaneva seduta. Gli uomini si ritiravano, quasi spintonandosi, perché il più altruista era il primo ad andarsene per lasciare agli altri lo stesso diritto di contemplare la sovrana e cominciava la vestizione.
Sarà bene ricordare la celebre testimonianza di Madame Campan:
“La vestizione della regina era un capolavoro di etichetta; ogni particolare vi era regolato. Tanto la dama d'onore quanto la dama sopraintendente alla vestizione stessa se si trovavano insieme, aiutate dalla prima cameriera e da due cameriere ordinarie, svolgevano il servizio principale: ma c'erano tra loro delle distinzioni.
La dama addetta alla vestizione infilava la gonna, presentava la veste. La dama d'onore versava l'acqua per lavarsi le mani e infilava la camicia.
Quando una principessa della famiglia reale si trovava presente alla vestizione, la dama d'onore le cedeva quest'ultima funzione, ma non la cedeva direttamente alla principessa del sangue; in questo caso, la dama d'onore consegnava la camicia alla prima cameriera, che la porgeva alla principessa del sangue. Ciascuna di quelle dame osservava scrupolosamente quelle usanze derivanti da altrettanti diritti.
Un giorno d'inverno capitò che la regina, già totalmente spogliata, stava per infilare la camicia; io la tenevo tutta spiegata; la dama d'onore entrò, si affrettò a togliersi i guanti e prese la camicia.
Bussarono all'uscio; si aprì: era Madame la duchessa di Chartres; si tolse i guanti, si fece avanti per prendere la camicia, ma non era la dama d'onore che doveva porgergliela; la restituì a me, io la porsi alla principessa; bussarono di nuovo: era Madame la contessa di Provenza; la duchessa di Chartres le presentò la camicia.
La regina teneva le braccia conserte al petto e pareva aver freddo. Madame vide che soffriva, si accontentò di buttar via il fazzoletto, tenne i guanti e, infilando la camicia, spettinò la regina che si mise a ridere per mascherare la propria impazienza ma non senza aver prima mormorato tra i denti: “E' odioso! Che noia!”
Quando il re trascorreva la notte dalla regina, incominciava il balletto di un doppio servizio.
Verso le otto, i famigli, ai quali le cameriere della regina avevano aperto la porta, spegnevano in un bacile d'argento la fiaccola che ardeva dal giorno prima, poi tiravano le cortine dalla parte dove si trovava il re e li porgevano le pantofole e la veste da camera.
Il re lasciava che la moglie continuasse a dormire e si ritirava verso il proprio appartamento, seguito da un famiglio che portava la spada corta, che, dalla sera prima era stata posta su una poltrona, “a portata di mano di sua maestà”.
Così, quando, alle 11:30, si svolgeva la cerimonia del “lever” reale, Luigi XVI era già in piedi vestito da tre ore.
A poco a poco Maria Antonietta cominciò a disertare La reggia di Versailles per ritirarsi nel suo grazioso e costoso capriccio, il Petit Trianon, che politicamente le costò ben di più.
Il Trianon le fece perdere completamente il contatto con la corte e l'aristocrazia, lasciando dietro di se nel grande palazzo tutta una camarilla assolutamente disoccupata e togliendo alla corte la sua ragione d'essere.
Come macchine non più usate, piene di ruggine, questi cortigiani abbandonati a se stessi si riempirono sempre più di rancore e veleno.
L'abbandono dell'etichetta preannunciò, in un certo senso, il sorgere delle idee liberali, spianando la strada alla Rivoluzione.
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