Nei secoli XVI e XVII sorsero le grandi fontane pubbliche di Roma. Primo "architetto per le fontane del popolo romano" fu Giacomo della Porta; primo pontefice grande creatore di fontane nelle piazze di Roma fu Gregorio XIII, cui si deve l'impianto delle fontane di piazza Navona.
Alla genialità degli architetti di Sisto V si devono le grandiose Mostre d'Acqua, come quella eretta nel 1587 in piazza San Bernardo da Domenico Fontana, per accogliere l'Acqua Felice, formata da ampie arcate in travertino sorrette da colonne ioniche e ornate di sculture.
Domenico Fontana progettò anche la fontana di San Giovanni in Laterano, più tardi rielaborata e semplificata, e le quattro fontane in via delle Quattro Fontane. Collocate agli angoli di edifici situati all'incrocio di due strade le fontane hanno una statua ciascuna rappresentante una divinità sdraiata. Il dio del fiume con la lupa rappresenta il Tevere, mentre l'altra figura maschile potrebbe rappresentare il Nilo o l'Aniene. Le figure femminili rappresentano invece la Forza e la Fedeltà o le dee Giunone e Diana.
Il XVII secolo creò, sull'onda del barocco, scenografie sontuose nella Roma di Urbano VIII e di Innocenzo X, ed è in questo periodo che sorsero le fontane più note della città.
La Fontana della Barcaccia
Pietro Bernini, padre di Gian Lorenzo, immaginò, per piazza di Spagna, la cosiddetta Barcaccia, capricciosa galera armata che sta per affondare a causa del bassissimo livello dell'acqua, la meno appariscente delle fontane barocche di Roma e spesso quasi nascosta dalla gente seduta sul bordo. La bassa pressione dell'acquedotto che alimentava la fontana non consentiva di realizzare spruzzi e cascate. Le api e i soli che decorano la fontana della Barcaccia sono i simboli dei Barberini, la famiglia di Urbano VIII, committente dell'opera.
La Fontana del Tritone
Architetto inarrivabile di fantastiche fontane, Gian Lorenzo Bernini architetto, nominato nel 1629 architetto dell'Acqua Vergine e dei suoi acquedotti, creò presso il monumentale palazzo Barberini la fontana del Tritone, in cui una conchiglia aperta sostituisce il bacino; gli acrobatici delfini che si reggono sulla testa sostengono con le code la grande conchiglia; su di essa è inginocchiato il possente dio marino Tritone che soffia verso l'alto, attraverso un nicchio, uno zampillo d'acqua. Intrecciati artisticamente alle code dei delfini ci sono la tiara papale, le chiavi di San Pietro e lo stemma dei Barberini.
La fontana delle Api
Ad un angolo di piazza Barberini, quasi nascosta, Bernini realizzò la fontana delle Api: un omaggio ad Urbano VIII e al suo stemma di famiglia; le api assomigliano un po' a granchi, nell'atto di suggere l'acqua che gocciola nella vasca. Un'iscrizione latina informa che l'acqua è a disposizione della popolazione e dei suoi animali.
Quest'opera testimonia il gusto tutto barocco della natura e dell'acqua e richiama la poetica tipicamente "cortoniana" del verisimile: la scultura quale mezzo di rappresentazione e simulazione della realtà.
La Fontana dei Fiumi
Per Innocenzo X, Bernini adornò la fontana del bacino rotondo di Gregorio XIII, in piazza Navona, di un fantastico scoglio traforato reggente un obelisco egiziano con le quattro statue del Danubio, del Nilo, del Gange e del Rio de la Plata: iniziata nel 1647, la più bella fontana del secolo, la Fontanta dei Fiumi, fu finita in cinque anni. L'opera è sicuramente il capolavoro del genere della "natura pietrificata" realizzato da Bernini: alla base tra scogliere e palme si muovono le personificazioni dei fiumi rappresentanti i quattro continenti noti, opere degli allievi del Bernini: Raggi, Poussin, Fancelli e Ferrata; al centro s'innalza un obelisco egiziano di granito rosso, proveniente dal Circo di Massenzio e risalente all'epoca di Domiziano, sormontato dalla colomba Pamphilj con l'ulivo nel becco.
Su uno dei quattro lati del dado alla base dell'obelisco (ornati tutti da epigrafi latine celebranti il pontefice e il suo operato) l'iscrizione: "Su mostri egiziani si posa l'innocente colomba portando l'ulivo della pace, e incoronata dai gigli delle virtù, prendendo per sè l'obelisco come segno di vittoria, trionfa su Roma" rappresenta la chiave per la comprensione del monumento. L'insieme, una chiara allegoria della supremazia della Chiesa sull'orbe terracqueo, oltreché perenne celebrazione della famiglia pontificia garante di pace e prosperità, diveniva il fulcro espressivo della piazza unendo il motivo sistino dell'obelisco alla nuova moda scenografica del "teatro acquatico". L'uso di pietre miste, travertino, marmo e granito, rientra nella consueta poetica berniniana del "verisimile" in cui a diversi oggetti corrispondono materie diverse a cui l'acqua conferisce unità e vita.
Fontana del Moro
Bernini si occupò in piazza Navona anche del progetto della Fontana del Moro, che comprendeva una bassa vasca poligonale ornata da Tritoni, delfini e maschere (di cui però attualmente sono visibili le copie, essendo stati rimossi gli originali nel 1874). L'intervento secentesco consistette nella realizzazione di una seconda vasca più bassa e larga e nell'esecuzione di un nuovo gruppo scultoreo da porsi al centro. I tre delfini proposti in un primo momento da Bernini furono però eliminati da Olimpia Pamphilj e trasportati nella villa del Gianicolo; al loro posto nel 1655 si innalzò il poderoso Moro che avvinghia un delfino ancora oggi visibile.
La Fontana di Trevi
Nel XVIII secolo papa Clemente XII scelse il progetto di Nicola Salvi per la fontana di Trevi, la più popolare delle fontane di Roma, nella quale si stabilisce un perfetto equilibrio tra le masse modellate e le masse dell'acqua prorompente. Il progetto venne completato nel 1762. Le figure centrali sono Nettuno con a fianco due tritoni che guidano dei cavalli marini, uno infuriato e l'altro docile, che simboleggiano i vari aspetti del mare.
Qui terminava in origine l'acquedotto dell'Acqua Virgo, costruito nel 19 a.C. In uno dei rilievi in alto è raffigurata una vergine (da cui prese appunto il nome l'acquedotto), che indica la sorgente da cui sgorga l'acqua.
La Fontana di Trevi recupera felicemente tutte le tematiche barocche più vitali, dalla perfetta integrazione urbanistica con la piazza antistante, alle divinità e animali marini che emergono dalle scogliere come viva rappresentazione di un teatro acquatico, all'unione fra arte, architettura e natura di berninana memoria.
L'iconografia marina della fontana fu studiata da Salvi, al di là della sua immediatezza di comunicazione, nei significata simbolici che poteva offire: al centro l'Oceano su un carro di conchiglia tirato da quattro cavalli marini, preceduto da tritoni e seguito da nereidi , doveva alludere "alla visibile immensa mole dell'acqua marina radunata e ristretta nei vasti seni della Terra....dai quali come da una miniera perpetua ha la potenza di diffondere varie parti di se medesima, rappresentate per i Tritoni e per le Ninfe, le quali vadano a dar alimento alla materia per la produzione....Li cavalli marini, oltre la parte anteriore simili ai nostri terrestri, la quale siccome la più nobile di un corpo significa la propria sede, et il principale impero dell'Oceano sulla Terra, abitazione destinata agli uomini; e la posteriore la quale terminando in lunga e squamosa coda a guisa di pesce, far vedere che la sua potenza si stende egualmente nei vasti e profondi mari, per far conoscere l'Oceano nientemeno atto a sollevarsi per l'aria...".
Per Salvi l'intero complesso era destinato ad esprimere la continua trasformazione della materia a opera dell'acqua, che come latrice di vita dava origine a "l'abbondanza dei frutti, la fertilità dei campi, le dovizie dell'autunno e l'amenità dei prati", rappresentate nelle statue delle Stagioni poste sull'attico.
Il compito di eseguire le sculture della fontana fu affidato a vari artisti, fra cui Giovanni Battista Maini che offrì il modello dell'Oceano, poi realizzato da Pietro Bracci, Filippo Della Valle che scolpì le statue laterali dell'Abbondanza e della Salubrità, sovrastate da due rilievi raffiguranti rispettivamente Agrippa che approva il progetto per l'acquedotto e La Vergine che indica la fonte all'esercito romana di Andrea Bergondi e Giovanni Battista Grossi; le sculture sull'attico sono di B. Ludovisi, B. Pincellotti, A. Corsini e F. Queirolo, mentre le due immagine della Fama che al vertice della fontana sostengono lo stemma clementino appartengono al Benaglia