Francesco Borromini nasce a Bissone, sul lago di Lugano, nel 1599. Dopo aver soggiornato e lavorato a Milano come intagliatore di marmi, si reca a Roma intorno al 1620. Il suo primo lavoro di scalpellino si svolge in San Pietro dove esegue teste di cherubini, balaustre, festoni. In seguito l'architetto Carlo Maderno, ormai anziano, ne riconosce le qualità e gli affida l'esecuzione dei disegni di architetture della basilica. Inevitabilmente, dopo la morte del Maderno, deve affrontare in veste di disegnatore il rapporto diretto col Bernini. Verso il 1631 i due artisti lavorano in San Pietro al completamento del baldacchino; in questa occasione Bernini accetta le felici soluzioni del collaboratore, ma in seguito l'edificazione di palazzo Barberini (di cui Bernini assume la direzione dei lavori alla morte del Maderno) provoca i primi contrasti: differenze di gusto e interpretazioni contrastanti dei dettagli architettonici evidenziano obiettivi linguistici inconciliabili.
Un contemporaneo, Filippo Baldinucci, descrive così l'artista: "Fu Francesco Borromini uomo di grande e bell'aspetto (...) di forte animo e d'alti nobili concetti (...)stimò molto l'arte sua per amore della quale non perdonò a fatica; affinché i suoi progetti riuscissero di intera pulitezza facevagli di cera, e talvolta di terra, colle proprie mani". Un ritratto ben diverso da quello fatto al suo antagonista da Paul Freart de Chantelou, l'erudito che fa da guida a Bernini durante il suo viaggio in Francia e che ci offre l'immagine di un uomo brillante, mondano, estroverso; di un maestro che, giunto all'apice della carriera, affida l'esecuzione delle proprie opere agli allievi. Francesco Borromini al contrario e' geloso dei suoi disegni, teso alla perfezione, chiuso e nevrotico; porrà fine volontariamente alla sua vita in un momento di disperazione.
A differenza dei colleghi rinascimentali pittori e scultori, Borromini giunge all'architettura mediante un severo iter artigianale che sfocia in un'altissima concezione della tecnica edilizia, tanto che l'artista critica apertamente la difettosa costruzione berniniana dei campanili di San Pietro. A sua volta, Bernini rimprovera al giovane e valido antagonista "la troppa voglia di uscir di regola", lo definisce "buon disegnatore e modellatore", nelle sue opere vede "ricordi di maniera gotica" e l'allontanamento dal "buon mondo moderno e antico". Forte della sua specializzazione come architetto puro, Borromini persegue con rigore il suo programma di rinnovamento, al fine di proporre un superamento della maniera e un ordine nuovo. Le sue opere, definite dai critici (specie quelli neoclassici) "chimeriche strutture", testimoniano invece la sua eccezionale ricchezza inventiva e la sua perenne ricerca di affinamento di uno stile.
Il tardo riconoscimento ufficiale, in parte provocato dalla presenza accentratrice di Bernini, fa vivere a Borromini momenti di crisi psicologica, ma nel 1634 giunge la prima occasione di lavoro autonomo: la costruzione di un importante complesso, il monastero e la chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane, commissionata dall'ordine dei Trinitari. Il chiostro e' un ottimo esempio delle qualità rivoluzionarie del suo linguaggio. Le colonne abbinate sono disposte in modo da formare un ottagono e sono legate da un cornicione uniforme, che conferisce continuità di movimento; gli angoli dell'ottagono sono sostituiti da curvature convesse; i trapassi di luce e ombra risultano lievi. Borromini realizza così una nuova unità degli elementi strutturali racchiudenti lo spazio, considerandolo come "qualche cosa di modellabile". Nella chiesa, l'artista supera il punto di vista centrale dell'architettura rinascimentale rinunciando al modulo cruciforme e creando un'ellisse, il cui perimetro e' vivacizzato da nicchie contenenti altari. L'abbandono dei vincoli imposti dalle norme proporzionali rinascimentali sfocia nel privilegio della forma, esaltata nelle sue qualità visive: nel piccolo edificio risaltano le spettacolari dimensioni delle colonne. L'estesa decorazione, l'uso dell'intonaco e dello stucco uniformano gli elementi dell'ordine architettonico e quelli secondari. Del complesso il visitatore ha una visione organica e totale, culminante nell'uniformità' luminosa che regna nella cupola.
L'originalità' straordinaria di San Carlino alle quattro fontane ha immediato riconoscimento in Roma, e suscita interesse anche in architetti e intellettuali di diverse nazioni: contemporaneamente, aumenta il numero e l'importanza delle commissioni. Nominato nel 1642 architetto dell'Archiginnasio romano, poi Università, gli viene affidata la costruzione della chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza. Come in San Carlino, Borromini ricorre alla pianta a triangolo equilatero, forma simbolica riferita alla Trinità. La compenetrazione di due triangoli da' vita a una pianta esagonale a stella che non ha precedenti nella tradizione architettonica italiana. L'unità spaziale della cappella è ottenuta grazie a una serie di pilastri giganteschi che racchiudono l'andamento del perimetro, alternante ampie concavità a brevi convessità. La cupola prosegue quella riforma che raggiunge i massimi valori di tensione verticale: modanature dorate su fondo bianco accentuano la suddivisione dei volumi in spicchi. La luce domina incontrastata e assurge a tale chiarità da evocare l'infinita lontananza di un cielo. All'esterno, l'alto tamburo convesso avvolge la cupola nascondendone in buona parte la curva sopraelevata, una piramide a gradini divisa da contrafforti conduce alla lanterna: una leggera struttura a spirali reggente un'aurea corona in ferro. Qui lo stile di Borromini raggiunge l'apice e sconcerta i contemporanei, testimoni di una visione dello spazio che annulla i confini tra massa e atmosfera.
Il restauro dell'antica basilica di San Giovanni in Laterano, commissionato da papa Innocenzo X per il giubileo del 1650, offre all'artista un'occasione per valorizzare al massimo il proprio prestigio professionale e la possibilità di un confronto con l'antico. Infatti secondo la volontà del papa doveva essere conservata la forma primitiva della basilica; così Borromini concepisce la navata come una grande aula preservando le antiche strutture. Riempie un'arcata ogni due inglobando le colonne a coppia dell'antica basilica in ampi pilastri; un ordine di lesene scanalate scandisce il potente ritmo delle pareti. Sulla facciata di ogni pilastro posa edicole di marmo grigio scuro contenenti statue, sovrastate da rilievi marmorei e ovali dipinti. La volta progettata dall'architetto avrebbe proseguito l'articolazione cromatica e spaziale della navata, ma il papa preferisce conservare il massiccio soffitto cinquecentesco.
Sempre per Innocenzo X, Borromini interviene nei progetti di Piazza Navona che già vede realizzati, nella scenografia berniniana, il palazzo della famiglia Doria Pamphilj e la fontana dei Fiumi. Una nuova chiesa di Sant’Agnese doveva sorgere vicino al palazzo; l'incarico era stato affidato a Girolamo e Carlo Rainaldi, ma le critiche sorte intorno al loro progetto provocano il licenziamento degli architetti papali e la nomina di Borromini alla direzione dei lavori nel 1653. Pur conservando la pianta a croce greca, disegnata dai Rainaldi, Borromini fa demolire la parte precedentemente edificata della facciata e realizza quest'ultima su pianta concava, arretrandola nei confronti della piazza. Due campanili poggianti sulle due ali laterali indicano la volontà di valorizzare la massa leggera della cupola, impostata su un altissimo tamburo. Da allora la tipologia della cupola, il cui prototipo risale a quella michelangiolesca, vedrà una progressiva riduzione della massa e un maggiore slancio nel disegno.
L'interesse barocco per i problemi dello spazio e per l'illusionismo prospettico lasciano una curiosa testimonianza nella Colonnata di Palazzo Spada (1653). L'opera e' commissionata al Borromini dal cardinale Bernardino Spada, che si era prefisso come obiettivo l'ampliamento illusorio degli spazi. A ispirargli l'idea della prospettiva era stato un apparato effimero per le Quarant'ore creato da Borromini in Vaticano. Oggi la colonnata e' buia per l'occlusione delle finestre che vi si aprivano, ma un tempo l'effetto doveva essere ben diverso e il corto budello doveva apparire come lo splendido passaggio tra due giardini: uno reale, ancora oggi esistente, e uno finto al di là della stessa galleria. Erwin Panofsky definisce la galleria "inganno diabolico", in quanto da' l'impressione a chi la guardi dal cortile di essere molto profonda, mentre di fatto non raggiunge i nove metri di lunghezza. Chi vi si fosse avventurato avrebbe scoperto l'inganno e colto la metafora morale implicita nello scherzo prospettico: per usare le parole stesse del cardinale Spada, "l'immagine del mondo fallace" e dei suoi valori "grandi solo in apparenza", ma che diventano "piccoli all'atto di afferrarli". Coadiuvato dalla scienza dello studioso di prospettiva padre Giovanni Maria Bitonto, il Borromini adotta sottilissimi accorgimenti prospettici e, per evitare un'eccessiva accelerazione della fuga, crea anche l'illusione di spazi laterali che sembrano interrompere la continuità della Colonnata. La perfezione del risultato (oggi non poco alterato dalla scomparsa del giardino finto e altre manomissioni) testimonia la stessa ingegnosità inventiva e dedizione al dettaglio profuse nelle opere maggiori, rivelando anche l'attento studio dedicato in gioventù dall'artista ai traguardi lombardo-bramanteschi dell'illusionismo prospettico.
Il successo subito raggiunto da Bernini col favore di Urbano VIII viene conquistato da Borromini solo faticosamente, e non potrà mai dirsi definitivo. Nel 1667 l'artista, caduto in uno stato di prostrazione ipocondriaca, si toglie la vita. E' il culmine drammatico del progressivo isolamento a cui il prevalere del partito "berniniano" lo aveva condannato negli ultimi anni.