In Europa nel seicento quasi tutte le persone credevano nei fantasmi e nella possibilità che i morti potessero ritornare a camminare tra i viventi. La letteratura antica era ricca di questi episodi convinta in una forma di ostilità dei fantasmi dei defunti verso le persone in vita. Questa credenza era associata in modo particolare a coloro che erano morti in modo violento e improvviso (chiamati, con termine greco, biaiothanatoi) e che, soprattutto se il loro cadavere era rimasto privo di sepoltura, restavano nei loro pressi esigendo, con modi a volte brutali, le dovute onoranze funebri.
Autori ed opere
Ricordiamo alcuni autori che hanno parlato di questi fatti: Platone nel Fedone, Virgilio nell’Eneide, Lucano nella Farsaglia, Porfirio nel De abstinentia, Tertulliano nel De anima, Taziano nell’Oratio ad Graecos.
Durante il Rinascimento molti testi antichi che parlavano dei biaiothanatoi avevano circolato e la relativa credenza era conosciuta come ci testimoniano Enrico Cornelio Agrippa, nel De occulta philosophia e Girolamo Cardano nella sua opera De rerurn varietate.
Ancora nel Seicento questa credenza era ben attestata, come dimostra il DeAdmirandis Naturae Reginae (1616) diGiulio Cesare Vanini .
I fatti reali
Gli scritti si basavano su fatti raccolti e raccontati nel popolo, fatti ed episodi che nel seicento aumentarono moltissimo.
Come esempio accenniamo alla storia narrata dall’inglese Richard Bovet e capitata nel Devon nel 1682 a Francis Fey, cui apparve uno spettro che gli domandò di saldare alcuni debiti rimasti irrisolti dopo le disposizioni testamentarie, e che da allora fu orribilmente vessato da un fantasma che tentò più volte di strangolarlo.
L’esistenza difatti incompiuti, irrisolti, tracciava un legame tra il defunto e i viventi e apriva la possibilità di un ritorno del primo tra i secondi, allo scopo di completare ciò che non era stato portato a termine o di punire le mancanze commesse. Il morto tornava come uno spirito vendicatore, a riprova dell’esistenza di vincoli tra i vivi e i morti che la morte aveva interrotto ma che non aveva definitivamente eliminato.
La posizione della controriforma
Non a caso molta della cultura religiosa esitata dalla Controriforma insisteva sul tema della morte come distacco dal mondo e dalle sue passioni. Il gesuita Luigi da Ponte nelle sue Meditazioni riteneva che il fedele deve abituarsi a distaccarsi dal mondo fingendosi nell’immaginazione come già morto, disposto nelle bara, e osservandosi totalmente solo e abbandonato dai superstiti.
Anche il gesuita Daniello Bartoli, scriveva nel suo L’uomo al punto cioè l’uomo in punto di morte (1668) che il mondo è un’apparenza, che solo gli occhi della carne possono reputare un luminoso spettacolo; ma agli occhi dello spirito il mondo si rivela piuttosto un sozzo cadavero di vapor buio e povero.
Distacco dal mondo significava dunque connessione al mondo ultraterreno, l’abbandono di cupidigie e passioni carnale oramai dimenticate. Il pio e il giusto, legati come sono ad un mondo celeste, non hanno motivo di tornare a un mondo terreno. Al contrario, i morti dei racconti di Crouch, di Glanvill, di Bovet restano legati a passioni che li agitano e li possiedono e che li indirizzano a cercare di nuovo la compagnia se non la carne dei viventi.