Il dibattito sull’esistenza dei vampiri fu uno degli argomenti principe del Settecento. Il dibattito nacque, molto probabilmente, in seguito alla pubblicazione a Olmutz, nel 1704, del volume Magia Posthuma del giurista Schertz. L’autore, nel testo, prende in esame alcuni casi in Moravia, di presunto vampirismo, e pur trovando in queste testimonianze delle esagerazioni, le ritiene in generale credibili.Come giurista, Schertz si preoccupava del fatto che alcuni cadaveri fossero esumati e “giustiziati” senza un regolare processo. I corpi sospetti venivano bruciati, una pratica all’epoca legittima ma che secondo Schertz, non doveva essere in nessun caso lasciata in mano a contadini ignoranti. Da notare che la parola “vampiro” nel testo di Schertz non compare. La prima apparizione della parola fu quella del 21 luglio 1725 nel giornale tedesco “Das Wienerische Diarium” a proposito del caso Plogojowitz.
Le teorie di Schertz furono confutate quasi cinquant’anni dopo da van Swieten, nel 1755, in una celebre relazione. Ma la confutazione più famosa delle teorie di Schertz è quella del quarataseiesimo volume del grande Universal Lexicon, pubblicato a Lipsia tra il 1732 e il 1754 da Zedler.
Zedler riesaminò i casi descritti da Schertz e concluse la sua relazione dichiarando che il fenomeno del vampirismo altro non era che una malattia mentale e che in alcuni casi si trattava di allucinazioni da parte di contadini. “Quando possiamo trovare una spiegazione naturale di un incidente dobbiamo fermarci a queste spiegazioni senza far ricorso agli spiriti o a qualità occulte” concludeva Zedler; in sostanza la medicina era in grado di fornire spiegazioni esaurienti.
Il dibattito tuttavia continuò e con opinioni diverse e contrastanti. Per il professor Geelhausen, i vampiri erano effettivamente corpi che uscivano dalle tombe ma non si trattava di morti bensì di sepolti vivi per errore, un tema questo che ossesionò tutto il settecento. Sepolti in bare rudimentali che si aprivano facilmente, interrate in zone dove la terra risultava soffice e friabile, riuscivano a liberarsi e a riemergere. Un’opinione questa un po’ difficile da avvalorare. Ingegnosa invece, la tesi di Vogt, secondo cui il vampirismo altro non era che una reazione ad un potente quanto sconosciuto veleno che sembrava agire secondo regole di natura esoterica.
A Lipsia, nel 1732, Meinig, scrivendo con lo pseudonimo di Plutoneus, pubblicò una sua tesi secondo cui il vampirismo era da ricercare nelle malattie animali in particolar modo nella peste bovina.
Se si consumava carne bovina infetta, poteva insorgere febbre con allucinazioni. Le tesi di Meinig e Fritsch furono riprese e completate da Harenberg che cercò di spiegare non solo le allucinazioni ma anche il perché i corpi apparivano incorrotti. Egli riteneva che la presunta incorrutibilità poteva essere spiegata con cause naturali. Harenberg rimaneva incredulo di fronte ai vampiri e arrivò a sospettare che alcune relazioni che li riguardavano potessero essere state scritte sotto un effetto allucinatorio dovuto all’oppio.
Non tutti erano però scettici. Nòbling semprenel 1732, per esempio, ritenevache i fenomeni di vampirismo fossero collegati a fenomeni di demonologia. Davanzati, figura di prelato riformatore e scettico, sosteneva che i vampiri altro non erano che il frutto della fantasia umana: “La vera causa di queste apparenze, chi brama di trovarla, non altrove la potrà trovare, che in se stesso, e fuori di se stesso non la troverà giammai: la vera unica ragione dei vampiri è la nostra fantasia corrota e depravata”. E la prova era che i vampiri apparivano principalmente alle popolazioni ignoranti. Persone semplici, dedite al vino che “ingombra più d’ogni altro la mente e confonde..” “Si tratta dunque soltanto di fantasia di povere donnicciuole, e poveri contadini”. Davanzati non era un illuminista isolato che lottava contro la Chiesa.
Papa Benedetto XIV, al secolo Prospero Lambertini, affermava che le credenze sui vampiri “tutt’oggi mancano di prove sicure e vengono considerate, anzi, dalle persone più sensate come fallaci finzioni della fantasia”. Quanto al fatto che i cadaveri venissero ritrovati incorrotti, con i peli , le unghie e i denti che sembavano ricrescere, il Papa rilevava che la medicina era in grado di dare spiegazioni soddisfacenti.
Verso la metà del settecento la posizione scettica della Chiesa era ormai divenuta ufficiale. Una delle ultime discussioni magiche prese sul serio dall’Università, divideva l’anima in quattro parti: l’anima vegetativa, sensitiva, razionale, e il corpo. Fondamentale per il vampirismo era l’anima vegetativa che rimaneva nel corpo per un certo periodo, l’anima sensitiva era quella che durava più a lungo mentre l’anima razionale era immortale. In quanto parte dell’ Anima mundi, l’anima vegetativa poteva comportarsi come uno “spirito vitale errante” che desiderava tornare all’anima del mondo. Nel suo “viaggio” verso questa sua ultima destinazione l’anima vegetativa poteva levarsi dalla tomba, e per una sorta di contrazione dell’aria si procurava un corpo sottile ed eterico. Il cadavere rimaneva nella bara e l’anima si muoveva andando magari in luoghi familiari e verso persone conosciute in vita, dalle quali assorbiva il sangue che iniettava in seguito nel cadavere per impedire la decomposizione del corpo.
Questa interpretazione esoterica si affacciava anche su riviste teologiche ma la Chiesa Cattolica rimaneva comunque diffidente. Dom Augustin Calmet (1672-1757) è rimasto a tutt’oggi noto per i suoi scritti sui vampiri. Ordinato sacerdote e divenuto in seguito professore di filosofia e teologia conobbe personalmente Voltaire che lo riteneva un inguaribile credulone. Calmet credeva nell’esistenza fisica del diavolo, nei suoi misfatti, nelle sue apparizioni, nella possessione diabolica. Tutti aspetti su cui non poteva trovarsi d’accordo con Voltaire, ma la sua posizione, rispetto alla teologia e al magistero cattolico, non è inconsueta neppure ai giorni nostri. Per Calmet la resurrezione di un morto è opera di Dio. Diverso era il caso delle morti apparenti, la cui “resurrezione”, è un fenomeno puramente naturale.
Calmet, riportò senza commenti, una serie di episodi antichi e moderni, partendo da Philinnio fino ai casi più recenti della Moravia, dell’Ungheria e della Serbia. Poi Calmet passò a spiegare che cosa si dovesse pensare sui vampiri. Premettendo che il Diavolo non può risuscitare i morti, Calmet sosteneva che il vampirismo non si poteva spiegare semplicemente come morte apparente. Come Davanzati, Calmet non credeva potesse essere Dio a causare i fenomeni di Vampirismo e non credeva neppure fosse il demonio. Il demonio poteva iscenare prodigi ma solo con il permesso di Dio. E se il diavolo c’entrava qualcosa è soltanto perché ama propagare disordine e superstizione.Calmet dunque era uno scettico anche se meno moderno nel modo di pensare ma leggendo il suo Traitè fino alla fine non si può che concludere che l’abate non credeva affatto nei vampiri.