Giacomo Casanova
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in società barocca
Infanzia e giovinezza
Giacomo Casanova nacque a Venezia nel 1725. I genitori erano attori di teatro: se il nome della madre - Giovanna Farussi - è certo, lo è meno quello del padre vista l’allegria d’amore degli attori. L’infanzia non fu facile: lontano dai genitori, attori erranti, crebbe malaticcio afflitto da emorragie al naso finché non fu guarito da una strega; da quel momento sarà sempre influenzato dall’occulto. A otto anni non sapeva ancora scrivere, così fu mandato a istruirsi a casa di un uomo di chiesa che lo prese nelle sue grazie, data la sua passione e l’intelligenza nell’apprendere classici e moderni. In casa dell’insegnante, il Gozzi, conobbe Bettina, il suo primo amore, provò a sedurla e ne uscì sconfitto ma istruito tanto da ricordarla nelle sue memorie. Finiti gli studi dal Gozzi si iscrisse di malavoglia all’università per studiare legge come voleva la madre, che ogni tanto si ricordava di lui.
Presto però dovette ritornare a Venezia perché aveva le mani bucate e passava il tempo a far baldoria; nella Serenissima fu accolto a casa di un Senatore, il Malipiero, infermo gaudente che spendeva molto nel praticare l’epicureismo dando molte feste col fior fiore della società veneziana. Giacomo, divenuto pupillo del vecchio senatore, apprese molto da lui; godendo delle sue stesse passioni diventò un viveur nonostante l’abito da abate che indossava, e che avrebbe dovuto procurargli una sicura piccola rendita.
Come abate godeva di maggiori libertà rispetto ai preti, libertà che gli consentirono di frequentare meglio le signore. Queste s’ invaghivano di lui facilmente: era alto un metro e novanta, ben piazzato e dai lineamenti degni di una medaglia.
Donne e viaggi
Da abate, sempre aiutato dal Malipiero, guadagnava qualche soldo predicando. Tuttavia la seconda orazione, dopo una notte di bagordi, fu un disastro. Per la vergogna scappò a Padova. Nelle sue memorie i ricordi si ingarbugliano: arruolatosi nell’esercito della Serenissima nel 1741 arrivò a Corfù, dove smascherò un impostore; successivamente si recò in Turchia.
Gli amori tra Padova e Venezia non mancarono, pare sia stato iniziato da due giovanissime sorelle a Padova quando si recò a ritirare la laurea in giurisprudenza. Interessante è l’annotazione di Giacomo sull’arte della seduzione: dice infatti che nella sua carriera sedusse più di cento donne ma disdegnò le giovani novizie perché difficili da sedurre, con un particolare però: “ho saputo ben presto che una ragazza si lascia difficilmente sedurre per mancanza di coraggio, mentre, quando è in compagnia di una amica, s’arrende con relativa facilità”. Questa tecnica funzionò alla perfezione per parecchi mesi e sempre in futuro con donne di ogni età.
Nel 1743 morì la nonna che gli aveva fatto da madre; Giacomo si mangiò tutti i soldi e venne cacciato dall’anfitrione, che, sebbene impotente, non aveva gradito il fatto che l’affascinante pupillo avesse sedotto la sua amante. Provò a entrare in seminario, ma non resistette che una settimana. Finì per qualche tempo a lavorare in una fortezza militare dove scriveva lettere per i soldati analfabeti e a spassarsela di sera con le donne dei militari; una di queste gli attaccò la gonorrea, e non fu l’ultima volta.
Per un anno vagabondò per il sud d’Italia e a Roma, decise di sfondare nell’alta società: arrivò nell’Urbe con buone raccomandazioni e la sua carriera avrebbe cominciato a decollare se non fosse caduto in un pasticcio, in cui era innocente, e non fosse stato scacciato dal cardinale che serviva, per cui dovette allontanarsi non solo dal palazzo dove alloggiava ma anche da Roma.
Ritornando da Roma si innamorò di un sedicente castrato, che in realtà era una donna, Angela Calori, che si fingeva uomo con un rudimentale membro finto per ingannare gli uomini; Casanova prima sedusse le sorelle di undici e dodici anni, con la complicità della madre ruffiana, e poi impalò anche la cantante.
Tornato a Venezia ci rimase poco, perché s’imbarcò su una nave diretta a Corfù. Il tragitto fu tanto malversato dal tempo che rischiarono di naufragare; Giacomo per tranquillizzar la ciurma pensò di issarsi su un albero e gridare che i diavoli non esistevano, provocando l’ira del prete e dell’equipaggio tanto che per poco non lo gettarono in mare. Di nuovo a Venezia lavorò come violinista e cercò di sbarcare il lunario tra ninfette, tardone e gioco dei dadi, finché non gli capitò l’occasione della sua vita. Raccolse una lettera a un gran signore che gli offrì un passaggio in gondola: era il senatore Bragadin, uomo potentissimo. Verso casa il senatore si sentì male e Casanova lo portò in camera, lo accudì, chiamò il medico ma lo guarì lui stesso grazie ad impacchi di acqua calda e una dieta. Il senatore lo fece suo pupillo assieme ai suoi potentissimi amici. Può sembrare incredibile ma quei potenti e intelligenti uomini si fecero abbindolare dall’alchimia, e Giacomo ne trasse gran vantaggio improvvisandosi cabalista e mago, tanto che fu adottato dal Bragadin, gli fu regalato un peota a sei remi e una pensione che riscosse fino alla morte del protettore. Per tre anni visse spensierato spassandosela con donne e giochi.
All’inizio del 1749 lasciò la Laguna in seguito a una faccenda di gioco e girovagò per il nord Italia. A Mantova incontrò un collezionista di reliquie convinto di avere il pugnale che San Pietro usò per tagliare l’orecchio a Malco. Casanova lo convinse a venderlo al Papa munito di un fodero che lui stesso gli avrebbe procurato, con una certificazione di autenticità. Perché il tutto funzionasse inventò un rito nel quale una pulzella avrebbe dovuto sacrificare l’imene; la cosa andò benone finché il giorno del rito, appena iniziato l’esperimento, un temporale li costrinse a rimandare. Casanova dice nelle memorie di aver riconosciuto il Dio vendicatore che lo puniva per la sua scelleratezza.
Il grande amore: Henriette
In viaggio incontrò Henriette, una bellissima donna ginevrina in fuga dalla famiglia, e se ne innamorò perdutamene tanto da volerla sposare; l’idillio durò parecchi mesi tra letture, conversazioni e tanto amore, ma la favola finì quando un parente della donna la intercettò, Henriette pur con rammarico seguì la via di casa abbandonando l'amante. Questo distacco fu per Giacomo un gran dolore: la bellissima dama gli rimarrà sempre nel cuore, anche se, quando si rincontrarono dopo molti anni, lei lo riconobbe ma lui no; d’altra parte, anche le migliori bellezze sfioriscono.
La Francia di Luigi XV
Nel 1750 sostò a Venezia festeggiato dal Bragadin, ma ripartì presto per Parigi. Sulla strada, a Lione, si affiliò alla massoneria ricevendo il grado di apprendista nella Gran Loggia Scozzese.
La Ville Lumière sotto il regno di Luigi XV era allegra, scettica e libertina; la gioia di vivere era dappertutto a teatro, nei caffè, nei salotti e a corte; non c’era morale e non si scandalizzavano a dar scandalo. Chi non aveva almeno un amante era giudicato o un eccentrico, o uno smidollato.
Ci si sposava per contratto economico e per il resto ognun per sé, soprattutto tra gli aristocratici corrotti e ancor di più a Versailles, dove la corte contava 10.000 abitanti. Ma l’etichetta era ancora cosa seria a quei tempi, e come all’epoca di Don Rodrigo i nobili ci tenevano tantissimo: ormai era l’unica cosa che avevano.
Luigi XV non era proprio come il bisnonno; del resto, come pretendere che un uomo sia un buon re per diritto di nascita? Non era uno sprovveduto e aveva fatto buoni studi, ma gli piaceva godersi la vita più che render forte la Francia, che infatti indebitò fino al collo per non farsi mancare nessun piacere. Sposato alla principessa polacca Maria Leszcynska, gli fu fedele finché non divenne scrofolosa e fu costretto a consolarsi con le amanti. Finalmente trovò Madame de Pompadour, bellissima, intelligentissima, coltissima. Quando s’innamorò la dama piantò il marito, lautamente ricompensato, per il re. Questi, che abitualmente era sempre annoiato, rimase stordito e ammaliato da quella forza della natura che organizzava instancabilmente feste e banchetti. La nuova amante divenne anche l’amica insostituibile che lo accompagnava ovunque, consigliandolo anche in politica. La Pompadour fu temibile a corte, amica dei colti e dei letterati che protesse ed emancipò; fu una vera regina ma si inimicò il clero, che mal vedeva gli illuministi. Oltretutto Madame era odiata per le sue origini borghesi: a Parigi le divisioni erano marcate e l’Uomo cominciava dal Barone.
Il soggiorno parigino
A Parigi Casanova viene introdotto e ospitato nel pittoresco mondo dei commedianti italiani che allora furoreggiava, grazie alle commedie del Goldoni e Marivaux; il pubblico era più composto che a Venezia, dove gli spettatori delusi non facevamo mancare fischi, immondizia ed escrementi.
Il suo primo soggiorno nella capitale francese durò due anni. Conobbe Madame de Pompadour e fu introdotto a corte; non sappiamo se incontrò il re, che però vide parecchie volte a Versailles. Fece buona impressione e imparò moltissimo, anzitutto la lingua francese. Amò molto nella capitale seducendo a man bassa, e visitando tra l’altro il più famoso bordello di Parigi frequentato, tra gli altri, da Voltaire e de Sade. Si fece anche mezzano per il re proponendogli una tredicenne che piacque tanto da finire nel serraglio reale del Parco dei Cervi, e che mise anche al mondo un non legittimato.
Spacciandosi anche per medico riuscì a guarire una marchesa colpita da eczema grazie ad una semplice dieta, ricevendo buon guadagno.
Il ritorno a Venezia e la fuga dai Piombi
Nel 1757 ritornò a Venezia, dopo aver rincontrato la madre a Vienna ed essere stato presentato al futuro imperatore Giuseppe II.
Nella città lagunare sperimentò una bisca al gioco del faraone che però fu chiusa. Si diede quindi all’amore, adescato da una suora che era amante dell’ambasciatore francese. Questi godeva nell’assistere agli assalti del forte trentenne: anche in amore, come diceva Ninon Lenclos, la trinità è sacra. Appagò grandemente la coppia libertina mostrandosi sempre pronto e arrivando ad eiaculare sangue, una specialità che mandava in visibilio le sue amanti. La triglia presto si trasformò in quadriglia, tra prelibate libagioni e orge; l’idillio finì però con la partenza dell’ambasciatore.
Intanto, le sue scorribande divennero famose e finì indagato dall’Inquisizione. Gli erano arrivati molti segnali a proposito, ma lo stesso Bragadin, ex inquisitore, non riuscì ad aprirgli gli occhi.
Finì così nei Piombi, le prigioni della Repubblica Veneta, accusato di truffa al gioco, corruzione di fanciulle e donne sposate, bestemmie, detenzione di libri proibiti, affiliazione a società segrete e circonvenzione d’incapace; ma soprattutto, il motivo ufficiale dell’arresto fu di esser irriverente alla religione. I piombi erano una pena indicibile tra topi, pulci e caldo insopportabile. Per di più era all’oscuro di tutto, imprigionato senza sapere perché, né avendo notizia sulla sua sorte. Meditò quindi la fuga, che non fu facile da realizzare tra inconvenienti e contrattempi, ma grazie all’aiuto di un monaco incarcerato riuscì a evadere grazie a buchi praticati nei muri nel mese di Novembre, quando gli inquisitori si recavano in terraferma. La fuga fu particolarmente temeraria e rocambolesca ma i due carcerati riuscirono farsi beffe delle prigioni e del guardiano del palazzo reale. Scapparono a Mestre in gondola, e da lì in carrozza a Feltre. Separatosi dal monaco raggiunse Bolzano, dove trovò 100 zecchini inviatigli dal fedele Bragadin e potè rimettersi in sesto.
Della veridicità dell’impresa dubitano in molti e si sospetta che fosse stato aiutato dagli zecchini del Bragadin; comunque sia, la sua impresa lo rese celeberrimo per anni in tutta Europa.
Il ritorno a Parigi: il gioco del lotto e le commissioni diplomatiche
A Parigi per la seconda volta venne accolto con calore da Bernis, il ministro degli esteri che aveva conosciuto come ambasciatore a Venezia. Il ministro, come si suol dire, gli aprì tutte le porte del regno. Presto Casanova ottenne favori spacciandosi per finanziere, e grazie alle sue conoscenze ottenne la licenza per una lotteria pubblica: il 18 aprile del 1758 uscirono i primi cinque numeri su novanta. Giacomo con il primo tiro guadagnò una cifra colossale e acquistò parecchi clienti pagando subito le vincite in contanti. Con tanto denaro e successo si diede alla pazza gioia dei divertimenti, ma dopo l’esperienza veneziana si fece furbo, parlò meno e tenne per sé i segreti inopportuni.
Nel maggio del 1756 ottenne un incarico speciale come osservatore a Dunkerque: una missione commissionata dal Bernis, che lo avvertì sulla pericolosità del viaggio perché non erano ammesse spie all’epoca. Il suo lavoro fu in realtà semplice e avrebbe potuto farlo chiunque, ma sotto quell’assolutismo chi pagava era il popolo, gabbato dai despoti. Fu mandato anche all’Aia a far affari e con buon successo ma scarsa rendita quand’ebbe la fortuna di azzeccare un pronostico cabalistico e fare ricco un commerciante, che lo ringraziò con una lauta ricompensa.
Lo stile di vita era alto, e le sue mani bucate, tanto che non gli bastavano la lotteria e i compensi delle sue protettrici; creò un impresa manifatturiera per produrre stoffe di seta colorate e assunse 20 giovanissime ragazze come garzoncelle, seducendole una dopo l’altra regalando loro gioielli e compensi. L’impresa fallì e Casanova finì in galera scagionato dalla migliore protettrice che pagò ben 100.000 franchi di cauzione. Il governo non badò affatto alla sua vicenda legale e gli affidò un incarico molto importante, ossia la richiesta di un prestito ad una banca olandese. Per una seconda volta viaggiò alla volta dell’Olanda e poi per i paesi tedeschi, probabilmente come agente segreto.
Ancora viaggi, ancora donne
Per le donne si cacciava sempre nei guai seducendone in continuazione, innamorandosene e disperandosi quando veniva lasciato, tanto da entrare in convento; per poi finire a innamorarsi di nuovo e prendere la borragine. A Berna si travestì da cameriere con la complicità di un albergatore per sedurre una marchesa, ma l’intrigo si complicò e alla fine, una notte, possedette l’amica vecchia e racchia della marchesa, che gli attaccò una bella infezione.
Ma le sue vicende private non gli impedirono di fare interessanti conoscenze, come l’incontro con Voltaire. Il filosofo aveva sessantasei anni, era osannato da mezza Europa e maledetto dall’altra metà, in particolare dal papa e dai gesuiti. Giacomo fu ricevuto ad un pranzo dove uno stuolo di dame accompagnava il vegliardo, colto, intelligente e spiritoso. “E’ il più bel giorno della mia vita” disse l’emozionato Casanova, “finalmente conosco il mio maestro: da vent’anni sono suo discepolo”. “Continui a farmi onore per altri venti e prometta di portarmi poi le parcelle” replicò Voltaire. “Lo prometto – replicò Giacomo – ma a sua volta prometta di aspettarmi”. “ Le do la mia parola, assicurò il filosofo, e morrò piuttosto che non mantenerla”.
Casanova fu ospite qualche giorno a casa del filosofo; in verità non si trovavano molto in armonia, del resto l’uno, Voltaire, era il futuro e Giacomo, era il passato e tutti e due erano prime donne.
Ad Aix en Provence sedusse una monaca incinta che gli si concesse solo dopo il parto; ad Avignone deflorò una gobba e a Genova per la prima volta fece cilecca, con una cameriera. Proseguì così per l’Italia a caso, ma in realtà probabilmente per specifici compiti segreti; alcune volte veniva gabbato lui stesso. A differenza di Cagliostro non aveva ambizioni missionarie, così a Roma riuscì a farsi ricevere dal Papa, che gli fece recapitare la croce dello Speron d’Oro che si mise subito al collo e si levò solo quando un principe palatino gli disse a chiare lettere che quel gingillo lo regalavano i padroni ai camerieri. A Napoli sedusse una sua figlia senza saperlo e per poco non la sposò; fortuna volle che la madre della fanciulla diciassettenne volle incontrar lo sposo e si riconobbero. Si riprese dallo choc andando a letto con madre e figlia, Lucrezia e Leonida. In realtà non si crede ci fu un vero incesto, ma che scrisse quest’episodio nelle sue memorie per spavalderia libertina. Rifiutò anche il matrimonio con la madre che gli aveva posto la condizione di rimanere a Napoli, quindi partì di nuovo verso Roma e poi per Parigi, dove a corto di soldi si prodigava in amore e in magia con la sua amante marchesa d’Urfè. Conobbe anche il celeberrimo conte di Saint German che esercitava presso la corte i suoi prodigi, ma non si piacquero; tutti e due necessitavano di piacere ai potenti, erano rivali. La marchesa divenne il suo zimbello e, avendo il desiderio di rigenerarsi, lui non la contraddisse affatto e trovò il modo per accontentarla.
Fu escogitato un piano alquanto strambo: Casanova deflorò una vergine il cui figlio appena nato doveva giacere nel letto della marchesa per sette giorni, durante i quali la marchesa l’avrebbe baciato sulla bocca per passargli l’anima fino alla sua morte. Il bambino a tre anni si sarebbe riconosciuto nella marchesa, che avrebbe avuto così seconda vita. L’esperimento fu complicato da parecchi oracoli che il libertino ci racconta con precisione, così come tutti gli spostamenti e le premure per beffar la vecchia e non essere scoperti.
La marchesa d'Urfè e il soggiorno londinese
Nel 1763, dopo itineranti avventure per l’Italia, riprendono gli esperimenti a Marsiglia con la marchesa d’Urfè che gli ha affittato un appartamento, alla carica di assalti d’amore impropri. La marchesa era proprio pazza per credere a tutte le gabelle dell’avventuriero, che dopo averla montata per parecchie ore la convinse che sarebbe rinata da se stessa ma con sesso maschile. In sei anni alla marchesa aveva spillato una cifra enorme, e i nipoti della povera donna incominciarono ad aprire gli occhi alla vegliarda anche perché la sua enorme ricchezza faceva gola. Riparato a Londra per non finir nei guai con la polizia francese si acquartierò a Pall Mall, e per non rimanere solo fece pubblicare il 5 luglio del 1763 un annuncio sul Gazetteer and London advertiser affittando un appartamento. Accorsero in molti: lui scartando gli uomini selezionò accuratamente le donne, accolse quindi a un prezzo molto basso una portoghese di ventidue anni, molto procace ma difficile da sedurre. Tenacemente riuscì anche in questa impresa portandosela a letto per alcuni mesi. Non riuscì invece con una giovanissima francese, Marianna Charpillon, che insieme alla madre ex prostituta e alle zie mezzane lo gabbarono per parecchio tempo, sfruttando il suo orgoglio, il suo amore e la sua voglia di conquista. La disavventura gli costò salata e finì addirittura in galera. In compenso, fece ridere tutta Londra con la trovata di tener un pappagallo in casa che ripeteva corbellerie contro la Charpillon e la madre. Aveva trentotto anni e la ferita con quella donna gli bruciava: incominciava forse il suo declino? Si riprese impalmando cinque ragazze dai quattordici ai ventidue anni venute dalla Germania con la madre che doveva riscuotere crediti. Le mantenne nonostante l’iniziale ostilità della madre che vantava la loro virtuosità.
L'incontro con Federico il Grande e Caterina II
Lasciata Londra nel 1764, riparò sul continente dove Saint Germain gli promise di guarirlo dalla solita gonorrea che prendeva dalle sue amanti. Proseguì per Berlino cercando lavoro come faccendiere e si fermò otto giorni nella più ricca biblioteca d’Europa a Wolfenbuttel. Come sappiamo era uomo di cultura che amava la storia, la filosofia e gli eruditi. A Berlino conobbe il re Federico, uomo rude e determinatissimo, che lo sottopose a un interrogatorio e gli trovò anche lavoro come precettore. La paga era buona, ma la sporcizia dell’alloggio era tale che l’avventuriero preferì trasferirsi a Mitau in Curlandia e poi a Sanpietroburgo, dove si trattenne nove mesi. In Russia fece ottime conoscenze: acquistò una contadinella di tredici anni che vestì alla francese e spulzellò a piacimento. Anche l’incontro con la Zarina Caterina non gli diede un buon impiego, e ripiegò quindi in Polonia, dove il re lo accolse favorevolmente e gli avrebbe anche dato un posto se non gli fosse capitato un disdicevole inconveniente che lo costrinse ad un duello in seguito al quale dovette cambiare aria. Anche questo episodio divenne un cavallo di battaglia delle sue conversazioni, e il libello da lui scritto andò a ruba, ma si inimicò la nobiltà con grande danno.
A Parigi dopo qualche mese dal suo ritorno ricevette una Lettre de cachet che lo invitava a lasciare la Francia. Riparato in Spagna ci rimase dieci mesi, lasciando un memorabile racconto della società e poco altro. Attraverso la Francia si trasferì a Lugano dove pubblicò la sua prima opera: Confutazione della storia del Governo veneto d’Amelot de la Houssaie, cercando di riacquistare i favori della Serenissima. Nonostante i molti lettori non ebbe però effetto.
Verso il declino
Per anni peregrinò senza fortuna in tutta Italia, finché non ricevette la grazia e tornò a Venezia dopo diciotto anni. Ormai era vecchio: i tempi della sua giovane libertà e delle avventure era passati, i suoi amici morti o caduti in disgrazia. Si sentiva solo. Gli inquisitori lo invitarono a cena per farsi raccontare la fuga dai piombi, che ancora era sulla bocca di tutti.
Era ancora un bell’uomo, dalla infinita esperienza e una poderosa cultura. Sapeva vestire bene e parlare ancor meglio, conosceva lingue e luoghi e aveva un insuperabile savoir faire, ma il suo tempo era passato. Senza denaro, e con poca possibilità di farne, viveva a casa di un amico mentre un altro gli passava qualche soldo. Il passato di avventuriero pesava: era massone e fu espulso da parecchi paesi stranieri, tenuto sempre sotto l’occhio vigile dell’Inquisizione. Tentò di racimolare qualcosa con la traduzione dell’Iliade dal latino, ma il guadagno fu magro. Incredibile a dirsi, trovò lavoro proprio da coloro che lo avevano ingiustamente arrestato: diventò un confidente segreto dell’Inquisizione, occupandosi di scandali religiosi e di costume che compilava sotto falso nome. I suoi referti erano severe requisitorie contro la corruzione morale, e venivano proprio da lui che era stato il libertino per antonomasia e che continuava ad esserlo, immorale ed epicureo; ma aveva il terrore di cadere sotto gli inquisitori. Le sue relazioni non ebbero grande risalto agli occhi di questi, anche quando li metteva in guardia dalla possibile invasione austriaca dalla Dalmazia. Nel 1778 reincontrò Cagliostro, che aveva conosciuto anni prima quando viveva d’elemosina; ora il famigerato conte era ben vestito, viaggiava con sua moglie in carrozza e alloggiava nei migliori alberghi. Casanova gli si offrì come cicerone, prima di partire gli consigliò di stare alla larga da Roma e nelle sue memorie scrisse: “ se mi avesse ascoltato non sarebbe finito a San Leo”.
La fine
Scrisse un libello contro Voltaire, morto da poco, provò a fare l’editore per tirar su qualche soldo e poi l’impresario teatrale. Il lavoro presso l’Inquisizione non durò molto, poiché le sue relazioni erano sempre vaghe e non portavano a nulla. Senza soldi e con una famiglia sul groppone, da quando prese in casa una giovane spiantata di nome Francesca con madre e fratelli, fece il segretario per il marchese Spinola. Anche in questa occasione fu braccato dalla sfortuna: s’imbattè in un ufficiale piemontese che gli promise del denaro per una commenda, ma al momento di pagare non rispettò i patti. Casanova subì una vergognosa sconfitta di fronte all’opinione pubblica, ma invece di sfidarlo a duello come era consono alla sua persona preferì scrivere un pamphlet allegorico che andò a ruba e piovve come un macigno sul nemico. Il nemico però era legato alla nobiltà, e Casanova fece le valige per Trieste. Abbandonò per sempre la laguna dopo nove anni di incertezze e sofferenze, tra gente bassa e nullafacente: la Repubblica era oramai un inutile dispotismo che non valeva nulla.
A Spa, in Germania, incontrò una ricca nobildonna che amava parlare latino e che se lo portò ad Amsterdam mantenendolo, ma la loro relazione finì nel mistero. Casanova ricevette una proposta dalla nobildonna, che rifiutò senza rivelarne il contenuto a nessuno. In altre lettere menziona il Madagascar, ma non se ne sa nulla di più. Rivide Parigi e poi Vienna, frequentò filosofi e letterati, diplomatici e nobili, ma senza guadagno, finché non conobbe il conte Waldstein che lo condusse al suo castello di Dux, dove rimase fino alla fine dei suoi giorni.
Dux era un castello con un grande parco in cui viveva raramente il conte, e in cui Casanova assunse la funzione di bibliotecario. Passava il tempo a catalogare, leggere e intrattenere corrispondenza con vecchi e nuovi amici. Si recò anche a Praga, dove pubblicò La fuga dai piombi che ebbe gran successo, e incontrò Da Ponte che stava completando il libretto del Don Giovanni di Mozart al quale anche Casanova collaborò. A Dux ebbe sempre parecchi nemici: i servi del castello lo odiavano e non mancarono anche in quella città problemi con donne incinte, ma grazie alla sua determinazione e alla benevolenza del conte se la cavò sempre portando a termine le sue memorie. Morì nel 1797 al castello di Dux del conte Waldstein, che fu l’ultimo generoso mecenate ad assisterlo nell’ultima parte della sua vita.
Fu un uomo che seppe godere delle fortune della natura, che gli aveva donato un fisico e una bellezza eccellenti e un cervello sveglio. Si divertì molto e gabellò parecchio in un tempo, quello dell’Ancien Regime, dove re, principesse e maghi ancora vivevano.
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