Luigi Vanvitelli (Napoli 1700 - Caserta 1773), architetto, ingegnere pittore, figlio del pittore Gaspard van Wittel, fu uno dei più importanti esponenti dell’architettura tardo barocca.
Compì a Roma studi artistici, scientifici e letterari e approfondì lo studio dei modelli classici, di Vitruvio e dei trattatisti del Cinquecento, assimilando la lezione di Filippo Juvarra e del tardo Seicento romano. Dal padre apprese la pittura, che praticò in decorazioni a fresco a Viterbo, nella chiesa del Suffragio, a Roma, in Santa Cecilia in Trastevere. Dopo essere stato nominato architetto della Fabbrica di San Pietro nel 1726, cominciò ad affermarsi come architetto. A Roma, partecipò nel 1732 al concorso per la facciata di San Giovanni in Laterano. Per incarico di papa Clemente XII, costruì ad Ancona il Lazzaretto pentagonale (1733-38), l'austero e classico Arco Clementino, la cappella delle reliquie di San Ciriaco, la chiesa del Gesù (1743-45) ed iniziò il molo ed il faro. Tra il 1740 ed il 1750 lavorò a Pesaro (Santa Maria Maddalena, dal 1740), Macerata, Perugia Loreto (torre, Santa Casa) e Siena.
Riprese in seguito l’attività a Roma: con Nicola Salvi prolungò la berniniana facciata di palazzo Chigi-Odescalchi, eseguì l'acquedotto di Vermicino, compì la nuova decorazione e rimaneggiamenti parziali nella chiesa di Santa Maria degli Angeli (1749), costruì il convento ed il chiostro degli agostiniani (1746-47). In occasione del giubileo del 1750, diresse i lavori di consolidamento della cupola di San Pietro e apportò alcune sistemazioni all’interno della basilica.
La reggia di Caserta
Carlo III di Borbone lo chiamò nel 1751 a Napoli per realizzare la La reggia di Caserta, l’ultima grandiosa residenza reale dell’età dell’assolutismo.
Secondo il progetto originario, la reggia doveva costituire il perno di un sistema che vedeva da un lato l’espansione dell’immenso parco, dall’altro la sviluppo di una nuova città sede della corte, degli uffici amministrativi, dell’esercito e di nuove istituzioni culturali, entro quartieri regolari definiti da vie che si dovevano dipartire simmetricamente dal cortile ovale antistante la reggia.
L’enorme organismo architettonico a pianta rettangolare, di circa 183 m per 152, articolato da quattro cortili e gallerie e composto da milleduecento ambienti, si innesta scenograficamente sulla prospettiva del magnifico parco.
La struttura si erge sopra un alto pianterreno trattato con fasce orizzontali di bugnato piatto. Il progetto prevede i prospetti incorniciati da padiglioni sporgenti coronati da torri, poi non realizzate, articolati da un ordine composito gigante, e bilanciati al centro da un robusto motivo a frontone di tempio, che sottolinea l’ingresso principale. La facciata principale rimane austera senza elementi che la articolino, mentre il prospetto verso il giardino presenta un ordine gigante composito continuato per l’intera lunghezza a creare una lunga sequenza di stretti settori.
Un altro aspetto importante che caratterizza la reggia di Caserta è la straordinaria applicazione dei principi scenografici del tardo barocco italiano. Il vestibolo centrale, ispirato alla chiesa veneziana della Salute di Baldassare Longhena, propone visuali aperte in tutte le direzioni e raccorda i quattro cortili simmetrici, disposti sugli assi diagonali. Guardando diritto davanti a sé l’occhio del visitatore è poi attratto dalla visuale attraverso la galleria monumentale, che taglia esattamente tutta la profondità dell’edificio, e continua per permettere la prosecuzione all’interno del giardino, del rettifilo ideato, secondo il progetto iniziale, per unire la reggia alla vecchia capitale, ispirandosi all’Avenue de Paris di Versailles.
Dal vestibolo ottagonale si diparte il più grande scalone cerimoniale d’Italia ad angoli retti, le cui due rampe girano lungo i muri e terminano sotto una transenna a tre archi, secondo una modalità che richiama le scalinate scenografiche del Longhena in San Giorgio Maggiore a Venezia, ma anche le visioni dei Bibiena e di Piranesi.
Rudolf Wittkover afferma a proposito della reggia: «Vengono in mente il Louvre, l’Escorial, i progetti di Inigo Jones per il Whitehall Palace; siamo ovviamente in questa tradizione. Ma nessuna di queste grandi residenze fu disegnata con la stessa logica stringente e lo stesso amore per la forma geometrica assoluta, caratteristiche che hanno una lunga genealogia in Italia e rivelano, allo stesso tempo, il razionalismo e il classicismo del Vanvitelli».
Il giardino, l’ultimo grande esempio europeo di giardino formale, si sviluppa in lunghezza su una superficie lineare di 2700 m, occupa una superficie di 100 ettari ed è dominato da un unico asse, che inizia dopo un primo piano erboso antistante il palazzo ed è caratterizzato da un sistema canale-cascate, unico al mondo per lunghezza. Le linee di visuale sono individuate da un ardito cono ottico largo solo 120 m e sottolineate da un doppio filare di lecci potati in forme di grandi parallelepipedi. Le masse verdi accompagnano il dislivello del terreno, che è prima dolce, con i gradoni interni alle quattro vasche-bacino, poi si distende in piano, ed infine si impenna ai piedi del colle di Braino, dove la fontana di Diana e Atteone raccoglie le acque che precipitano dal colle.
Il giardino era stato progettato secondo un preciso programma iconografico, attraverso un percorso che corre attraverso i gruppi scultorei raffiguranti i miti di Diana e Atteone, Venere e Adone, Cerere, Giunone e Eolo, dalla grande cascata fino alla reggia, lungo una sorta di strada-fiume, costituita dalle acque provenienti dall’Acquedotto Carolino. Il sistema di approvvigionamento idrico si deve infatti allo stesso Vanvitelli, che i sei anni mise in funzione l’Acquedotto Carolino (1752-64) lungo 30 km, in parte in galleria, in parte supportato da spettacolari viadotti.
Luigi Vanvitelli seppe interpretare al meglio le esigenze di rappresentatività e prestigio della corte borbonica, attingendo ad una personale vastissima conoscenza delle tradizioni architettoniche precedenti e coniugando ad essa le tendenze del suo tempo con estrema abilità.
Vanvitelli realizzò altre opere di ingegneria caratterizzate da estrema razionalità e funzionalità, tra cui la caserma per la Cavalleria al ponte della Maddalena (1753-74).
Nell’ambito dell’architettura religiosa, a lui si deve la basilica della SS. Annunziata a Napoli, iniziata nel 1761 e terminata nel 1782 dal figlio Carlo, caratterizzata da una facciata concava, che riprende la facciata della chiesa del Gesù di Ancona, e da un interno scenografico, secondo stilemi di ispirazione romana. Un intervento di carattere più propriamente urbanistico è il Foro Carolino, ora piazza Dante, realizzato a Napoli tra il 1757 ed il 1763, in cui l’utilizzo sobrio e rigoroso dell’ordine gigante denota una progressiva tendenza verso un’austera classicità.
A Vanvitelli fu affidata nel 1769, anche la trasformazione del palazzo Vicereale di Milano, che fu poi condotta dal suo allievo Giuseppe Piermarini.
Il figlio Carlo Vanvitelli (Napoli 1739 - 1821) aiutò il padre e portò a compimento numerose sue opere nel napoletano, tra cui la reggia di Caserta, l’Acquedotto Carolino, il palazzo Berio, la Casina Vanvitelliana, il palazzo Doria d’Angri, la chiesa della SS. Annunziata, villa Campolieto. Succedette al padre come primo architetto di corte dal 1773 e nella direzione dei lavori della reggia di Caserta, che terminò nel 1774. Curò per i Borboni la risistemazione del parco della reggia e la sistemazione della villa Reale di Chiaia (1778-80). Tra le sue opere, di particolare rilevo è la chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini a Napoli.