Aveva una bellissima testa…Ci si sentiva costretti ad amarlo lì per lì . Casanova
Nel 1711 il Gran Delfino, figlio unico di Luigi XIV morì di vaiolo. L’anno successivo, il Duca di Borgogna, figlio maggiore del Gran Delfino, divenuto a sua volta delfino, morì a causa dei postumi di un morbillo petecchiale, sorte che toccò anche alla moglie dalla quale aveva sicuramente contratto la malattia. La coppia lasciava due figli maschi: il primo, il duca di Bretagna, di lì a poco seguì i genitori nella tomba, mentre al secondo il duca d’Angiò, fu salvata la vita dalla governante, Madame de Ventadour, che lo sottrasse alle cure dei medici.
Il re fanciullo
Il duca d’Angiò, il futuro Luigi XV, era nato a Versailles il 15 febbraio del 1710, terzogenito di Luigi di Borbone Duca di Borgogna e di Maria Adelaide di Savoia.
Sin dall’infanzia la morte lo aveva ossessionato privandolo dei genitori e dei fratelli. Il destino aveva voluto che proprio lui, gracile principino di due anni, ereditasse la corona del Re Sole.
La trepida sollecitudine di cui era circondato gli aveva fatto prendere ben presto coscienza della propria onnipotenza e al tempo stesso della propria vulnerabilità: allevato nella paura del diavolo e dell’inferno, al minimo raffreddore si temeva per la sua vita. Sin da giovanissimo, si era quindi abituato all’idea della propria fine, che si compiaceva di evocare sovente, forse per tentare di esorcizzarla.
Aveva solo cinque anni quando salì al trono alla morte del bisavolo il 1°settembre del 1715.
Secondo la testimonianza di Saint-Simon, Luigi XIV si rivolse così al suo successore prima di morire: “Mio piccolo caro, tu sarai un grande re. Ma tutta la tua felicità dipenderà dall’essere sottomesso a Dio e dall’aver cura di consolare il tuo popolo. Bisogna per questo che tu eviti la guerra quanto lo potrai. Non seguire il cattivo esempio che ti ho dato su questo. Io ho troppo amato la guerra. Ho spesso intrapreso la guerra troppo leggermente e l’ho sostenuta per vanità. Non imitarmi nel mio amore per le costruzioni e nel mio amore per la guerra. Al contrario, cerca di vivere in pace con i vicini. Riconosci i tuoi doveri e i tuoi obblighi verso Dio. Vedi che i tuoi sudditi Lo onorino. Chiedi buoni consigli e seguili, cerca di migliorare il destino del tuo popolo come io sfortunatamente non sono stato capace di fare. Non dimenticare la riconoscenza che devi a Madame de Ventadour.”
La Reggenza
In base alle disposizioni testamentarie di Luigi XIV la presidenza del consiglio di reggenza, spettò a Filippo II duca d’Orleans che di fatto governò la Francia fino alla morte ( 2 dicembre 1723) con la collaborazione del cardinale Guillaume Dubois. Indifferente in campo religioso, il reggente pose fine alla persecuzione contro i giansenisti: tentò di risanare le finanze sostituendo il sistema John Law (1716-1720), che, se rovinò moltissimi privati, consentì però il rimborso d'una parte del debito pubblico e risvegliò il commercio. Anche in politica estera, operò in modo diametralmente opposto a quello di Luigi XIV: contro le ambizioni espansionistiche dell' Alberoni, primo ministro di Filippo V di spagna, si alleò con l' Inghilterra e le Province Unite nella Triplice alleanza dell' Aia del 4 gennaio 1717 (divenuta poi Quadruplice alleanza). Il periodo dellareggenza segnò un passaggio fondamentale nell'arte e nella moda: si sviluppò uno stile, detto appunto "reggenza", chesegnò il passaggio definitivo dal barocco al rococò. Le basi gettate in quegli anni garantirono 25 anni di pace ed un regno più florido che sotto Luigi XIV.
In questo periodo il re ebbe per tutore il vescovo di Fleury, al quale rimase profondamente affezionato. Nel 1721, in seguito alla nuova alleanza franco-spagnola seguita alla caduta del cardinale Alberoni, il re fanciullo fu fidanzato all’infanta Maria Anna Vittoria, figlia di Filippo V di Spagna che aveva allora tre anni.
La politica del duca di Borbone e il matrimonio con Maria Leszczynska
Raggiunta la maggiore età e morto il Reggente , Luigi XV nominò Primo Ministro il duca Luigi Enrico di Borbone, il quale approfittando della timidezza del sovrano e della sua innata ripugnanza alla gestione dei pubblici affari, governò da padrone, insieme con la propria amante, la marchesa de Prie. La politica del duca di Borbone e la sua ostilità verso la casa d’Orleans portarono alla rottura del fidanzamento spagnolo e al rinvio dell’infanta (un avvenimento che contribuì alla stipulazione dell’alleanza austro-spagnola e della Lega di Hannover); i maneggi della marchesa de Prie fecero cadere la scelta della sposa del re su Maria Leszczynska, figlia dell’ex re di Polonia Stanislao Leszczynski. Un matrimonio, questo, privo di complicate alleanze dinastiche.
Le nozze furono celebrate il 4 settembre 1725. Il re aveva allora 15 anni, la sposa 22. Maria, profondamente pia e devota, con un carattere obbediente e discreto, amò il re senza alcuna riserva. Lo adorava e gli si rivolgeva in tono umile e sottomesso. Non rendendosi conto del profondo attaccamento del sovrano per il Fleury, la regina si lasciò indurre dalla riconoscenza per il duca di Borbone, al quale doveva il suo matrimonio, a secondare i suoi intrighi contro il vescovo. Il risultato fu il licenziamento del duca di Borbone, l’esilio della marchesa de Prie e un primo raffreddamento del re con Maria. Ma i buoni rapporti fra i coniugi continuarono fino al 1737. Regolarmente incinta, la regina diede a Luigi due figli, dei quali uno solo sopravvisse, il delfino Luigi Ferdinando, e otto figlie, sei delle quali giungeranno all’età adulta.
Il cardinale Fleury
Sbarazzatosi del duca di Borbone, il Fleury (che nel 1726 fu fatto cardinale) consigliò il re di assumere personalmente la direzione del governo e di abolire la carica di primo ministro. In realtà, in questo modo Fleury accentrò in sé tutti i poteri. Nei diciassette anni del suo governo, il cardinale cercò di attuare una politica di raccoglimento all’interno e all’estero anche se la crisi economica lo rese impopolare. Si sforzò di conservare la pace in Europa mediante l’intesa con l’Inghilterra e il regolamento della successione del ducato di Parma e Piacenza e del granducato di Toscana a profitto della Spagna. Dovette però rassegnarsi all’intervento nella guerra di Successione polacca: il re infatti sostenne i diritti del suocero Stanislao Leszczynski, alla corona polacca.
Il cardinale morì nel 1743, durante la prima fase della guerra di successione austriaca: non aveva voluto l’intervento, ma non aveva potuto impedirlo, perché negli ultimi anni aveva perduto ogni autorità, e solo l’attaccamento del re l’aveva salvato da una completa disgrazia.
L’epoca delle favorite di Luigi XV
Intanto il re, che da giovinetto aveva dimostrato una repulsione, giudicata perfino anormale, verso le donne, che ancora nel 1726 si esprimeva nel modo più energico contro qualsiasi ingerenza femminile negli affari di stato, aveva finito con seguire l’esempio che gli offriva la società di corte, gettandosi nella vita galante. Adolescente ragionevole e sottomesso alla volontà del suo ex precettore ,che l’aveva messo in guardia dalle tentazioni della carne, il re nei primi tempi del suo matrimonio era stato uno sposo fedele. Luigi XV non era Luigi XIV: non sceglieva le sue amanti, ma aspettava di esserne conquistato e di fronte alle donne dimostrava timidezza e diffidenza.La regina, affaticata dal susseguirsi delle maternità, si concedeva ormai al marito con riluttanza e il loro rapporto ormai si andava raffreddando. L’epoca delle favorite incomincia nel 1733 con la contessa di Mailly, seguita a breve distanza dalla sorella di lei, la marchesa di Vintimille che aveva cercato di scuotere l’inerzia del re ma che morì prematuramente. La sua opera fu continuata da una terza sorella, la duchessa di Chateauroux. La favorita indusse il re ad assumere un atteggiamento più responsabile in un momento particolarmente difficile per le forze francesi durante la guerra di Successione Austriaca; e nel 1744 il re partì per il campo,un gesto che consolidò per allora il tradizionale attaccamento dei Francesi alla monarchia. Fu in questa occasione che gli fu dato l’appellativo di Beneamato. Quando Luigi si ammalò gravemente a Metz, parve voler licenziare la Chateauroux che l’aveva seguito; preoccupato di salvarsi l’anima giunse a chiedere pubblicamente perdono al popolo delle proprie colpe. Tutta la Francia pregò per la sua guarigione e confidò in un completo risanamento della corte e del governo.Passato il pericolo il re richiamò a se la favorita che però morì improvviasamente nel dicembre del 1744.
La Pompadour
La Chateauroux fu presto sostituita con Jeanne Antoinette Poisson d’Etioles, poi marchesa di Pompadour, una borghese promossa al rango di favorita. Bella, colta, intelligente, sedusse facilmente il sovrano, uomo annoiato e incline alla depressione. Con il passare degli anni si trasformò in una vera sovrana: creava e distruggeva ministri, intratteneva corrispondenze con diplomatici e generali, esercitava il proprio gusto e la propria protezione in campo culturale ed artistico, diede un impulso decisivo al pensiero illuminista.
I diversi periodi della vita di Luigi XV sono contrassegnati coi nomi dei suoi ministri e delle sue amanti. In verità, per quanto grande fosse l’influenza della Pompadour, non si può affermare che tutta la politica francese fosse determinata dal suo capriccio. Indubbiamente per assicurare la propria supremazia, la marchesa favorì le tendenze meno nobili del re; cercò di distrarlo da ogni seria occupazione mediante divertimenti continui; quando capì che i suoi vezzi non bastavano più a vincolare l’infedelissimo monarca, tollerò e provvide il re di petites-maitresses. La Pompadour regnò di fatto per quasi vent’anni e a lei si deve se Luigi XV, dapprima sostenne la politica di giustizia fiscaleinaugurata da Machault d’Arnouville.
Luigi XV un re “indefinibile”
Non si deve però credere che il re si disinteressasse in modo assoluto del governo dello stato. Per gli affari militari e di politica estera, egli aveva i suoi informatori diretti e segreti (il cosiddetto secret du roi); geloso del proprio potere, lasciò operare i ministri fino ad un certo punto espesso non esitò ad infrangere la loro autorità con la brutalità propria dei timidi esasperati.
Quello che toglieva ogni efficacia all’azione governativa del re non era tanto l’assenteismo, quanto il suo carattere esitante, il continuo volere e disvolere, la sua ripugnanza a prendere una posizione netta e aperta. Accettando in molte occasioni il parlamento come sostegno della monarchia, non si accorse come il difensore fosse più pericoloso degli stessi avversari.
In seguito all’opposizione parlamentare e all’opposizione dell’assemblea del clero, il re concesse l’esenzione del ventesimo al clero (1751) ed esonerò Machault dal controllo delle finanze (senza però privarlo della carica di guardasigilli) e lo nominò segretario di Stato della Marina.
Il cavaliere d’Eon
Nel 1756 Luigi XV chiamò a far parte del suo cabinetto segreto, il cavaliere d’Eon. Noto soprattutto per il dubbio che, con le sue stesse dichiarazioni e il frequente ricorso all’abbigliamento femminile, suscitava e alimentava intorno al suo sesso; d’Eon fu mandato da Luigi XV in missione segreta a Mosca; la guerra dei Sette anni era alle porte e il re voleva convincere la zarina Elisabetta ad unirsi alla Francia e all’Austria ai danni della Prussia di Federico il Grande. D’Eon si presentò alla corte di Elisabetta sotto spoglie muliebri e attraverso le sue arti sottili e raffinate riuscì ad operare un ravvicinamento tra i due paesi.
L’attentato al re
Il 5 gennaio 1757 l’attentato di Damiens mise in pericolo la vita del sovrano. L’attentatore faceva parte di una famiglia di agricoltori caduta in miseria; divenuto cameriere presso una nobile famiglia, si credettedesignato ad avvertire Luigi XV per ricondurlo ai suoi doveri e ferì con una coltellata il sovrano, mentre si accingeva a salire in carrozza.
Ciò produsse nel re una crisi morale, che durò soltanto il tempo che egli si credette in pericolo di vita; la crisi del re ebbe come conseguenza il licenziamento di Machault e d’Argenson. Lo si attribuì ad una vendetta della Pompadour: i due ministri infatti si erano affrettati a considerare la marchesa caduta in disgrazia, ma si può anche pensare che il re spaventato, volesse conciliarsi gli oppositori, sbarazzandosi dei due uomini che avevano suscitato gli odi più violenti con la loro politica. Luigi XV si convinse che all’origine delll’attentato vi fossero i discorsi sediziosi fatti dai magistrati presso i quali aveva lavorato il suo attentatore. Poco tempo dopo l’esecuzione di Damiens il re ebbe a dire alla Pompadour: “Senza questi consiglieri e questi presidenti, non sarei mai stato colpito da quel signore” (così egli chiamava Damiens) “sono stati i loro discorsi a sconvolgergli la testa”.
Choiseul e la guerra dei Sette anni
La guerra dei sette anni(1756-1763) che i due ministri (Machault e d’Argenson)avevano avversato, trovò consenzienti, il nuovo ministro degli esteri Bernis e il suo successore, il duca di Choiseul.
La guerra costò alla Francia, la perdita delle Indie e del Canada e la cessione della Louisiana occidentale alla Spagna (cessione voluta dallo stesso Luigi XV che attribuiva più valore alle Antille, isole produttrici di zucchero). La Francia uscì dalla Guerra dei Sette Anni avvilita e isolata, con poca gloria ma tutto sommato ne uscì meglio delle guerre di Luigi XIV che vinceva rovinandosi. Va sottolineato che la guerra dei sette anni fu persa anche perchè Luigi XV ,irenico, non volle aumentare le tasse che all'epoca erano la metà di quelle inglesi, che di fatto fecero la differenza.
Negli anni di pace che seguirono, Choiseul lavorò assiduamente, e con successo, a riorganizzare l’amministrazione civile e militare e a risollevare il prestigio della Francia all’estero; mediante il trattato di Versailles nel 1758, Choiseul rafforzò l’alleanza con l’Austria. Di fatto, diresse con l’autorità di primo ministro, la politica francese dal 1758 al 1770. Riorganizzò la marina e riformò l’esercito. Durante la sua ultima permanenza agli esteri, compì l’annessione alla Lorena e acquistò la Corsica da Genova nel 1768. Amico degli enciclopedisti, riuscì a far sopprimere in Francia la Compagnia di Gesù. Fu un uomo di Stato che ebbe molto alto il senso del dovere.
La soppressione della Compagnia di Gesù
Scoppiata la lotta fra il Parlamento e i Gesuiti, Luigi dette ancora una volta la prova della sua irresolutezza; posto di fronte al dilemma di lasciare mano libera al parlamento o di annullarne i decreti, si appigliò al mezzo termine di un rinvio che portò necessariamente alla soppressione dell’ordine. Sorprendente è che, né gli ambienti di corte, né i ministri , né il re misurarono le conseguenze politiche e sociali di un atto simile; sopprimendo la compagnia di Gesù si rafforzarono i giansenisti (molto influenti sui parlamenti) ma anche il gallicanesimo e il pensiero laico cheassunse sempre più importanza nella società.
Verso la fine del regno di Luigi XV
La Pompadour morì il 16 aprile del 1764; dal 1750 era stata solo un’amica per il re attorno al quale aveva creato un’atmosfera intima e insieme raffinata. Luigi XV la pianse sinceramente. Nel 1765 morì il delfino Luigi Ferdinando, l’unico figlio maschio del sovrano; il delfino lasciava tre figli maschi: il futuro Luigi XVI, il futuro Luigi XVIII e il futuro Carlo X.
Nel frattempo ci fu l’avvento di una nuova favorita, la contessa Du Barry. La contessa non aveva ambizioni politiche e soprattutto non aveva l’intelligenza della Pompadour, ma si trovò coinvolta nella lotta contro Choiseul perché i familiari e sostenitori del ministro le si dichiararono ostili. La guerra che Choiseul stava progettando contro l’Inghilterra fu l’occasione della sua caduta. Le figure predominanti del ministero che gli succedette furono il duca d’Aiguillon, Maupeou e Terray. Questo triumvirato ebbe il merito di scongiurare una gravissima guerra navale, e con la soppressione dei parlamenti tentò un supremo sforzo per ristabilire il governo assoluto. Luigi XV sostenne il triumvirato contro tutti. Questo atteggiamento di insolita energia, così diverso da quello adottato nella questione dei gesuiti, fa supporre che egli si fosse finalmente reso conto dell’abisso nel quale andava precipitando la monarchia. Con la soppressione dei parlamenti, un atto che nemmeno Luigi XIV potè compiere, si può affermare che il regno di Luigi XV non fu privo di mutamenti e di modernità.
Ma era ormai troppo tardi. Alle lotte intestine,si univa il declino del prestigio internazionale della Francia, un sintomo del quale fu il trattato di spartizione della Polonia, concluso all’insaputa di Versailles. L’opinione pubblica addossò ancora una volta al governo e al re tutta la responsabilità dei mali interni e degli insuccessi internazionali. Agli ultimi di aprile del 1774, il re si ammalò di vaiolo. Sentendosi vicino alla fine, ordinò alla Du Barry di lasciare la corte, chiese i conforti religiosi e, dopo aver manifestato il suo pentimento, morì il 10 maggio.
Il re, come il suo predecessore, non fu pianto dai suoi sudditi; ingannati dal suo amore per i piaceri e dalla sua apparente indifferenza per gli affari di Stato, non ne avevano apprezzato l’innegabile realismo politico. La monarchia come istituzione era molto screditata da parte della popolazione, la borghesia nascente non accettava più di esser sottomessa e di lavorare per la casta di privilegiati. Luigi XV ebbe un discreto e precoce ingegno e non fu quel nemico di ogni cultura che certi avversari rappresentano. Ma la sua indole fu falsata da una funesta educazione che lusingò la sua vanità senza correggere i suoi difetti. Per allontanarlo dal potere, il duca di Borbone assecondò il suo amore per la caccia, per il gioco e per i piaceri della tavola; il cardinale Fleury assecondò la sua prigrizia e la sua avversione al lavoro. Così si formò quel carattere che d’Argenson disse “impenetrabile e indefinibile”. Choiseul, che lo conosceva meglio di chiunque altro, confidò nelle sue memorie pubblicate molti anni dopo la morte del re, di aver udito il sovrano definirsi “l’incoerenza personificata”.“Il carattere del re” scrisse Choiseul “somigliava a molle cera, su cui si sarebbero potuti delineare a volta a volta gli oggetti più dissimili”.
Degli affari pubblici Luigi XV fu piuttosto lo spettatore che il protagonista; il suo “secret” servì solo di strumento a una curiosità da dilettante. Non gli mancarono ministri di valore; mancò piuttosto ai ministri un re che ne coordinasse l’opera; e d’altra parte non c’era tra quelli nessun Richelieu che sapesse sostituirsi al sovrano. Si può dire che la Francia era governata da diversi re subalterni, i quali agivano ognuno per proprio conto, e spesso in contrasto fra loro. Quanto agli eccessi della vita galante, essi furono il fatale sbocco di un uomo che era stato allevato nell’atmosfera della Reggenza, e che sapeva di godere del privilegio dell’impunità. Ma non si può dire fino a che punto la fantasia abbia alterato la realtà.
Nel complesso come re verso il suo popolo fu migliore di LuigiXIV, tenne le tasse basse fece poche guerre; ai suoi tempi era impensabile un esercito di 300.000 soldati come ai tempi del Re sole. Alla morte di Luigi XV le casse dello Stato risultarono in buone condizioni e quasi in pareggio.