Figlia del grande re Gustavo Adolfo di Svezia, già regina a sei anni, fu una donna straordinaria: colta, intelligente e potente.
Gustavo Adolfo divenne re nel 1612 a soli diciotto anni. Fu un uomo risoluto, abile e tenace, dedito alle armi ma anche alla cultura, che seppe circondarsi di persone sincere e valide. I primi anni del regno furono impegnativi perché dovette affrontare una difficile situazione internazionale su tre fronti: danese, polacco e moscovita. Con abilità riuscì ad imporre il suo regno e a far crescere l'ammirazione del popolo e la fiducia di borghesia, clero e aristocrazia. L'appellativo di “grande” gli fu dato dal popolo per i successi militari a cui dedicò praticamente tutta la sua vita. Introdusse i fucili e i cannoni a cartuccia, e nelle battaglie si gettava con animo conquistando l'amore dei soldati. Non fu un bravaccio sanguinario: seguì sempre i precetti di Grotius scritti nel “De iure belli et pacis”.
Gustavo Adolfo sposò nel 1620 Maria Eleonora, figlia di un elettore tedesco calvinista. Fu un matrimonio di stato ma anche d'amore che durerà anche dopo la morte in battaglia del re.
Dopo sfortunati insuccessi, Maria Eleonora il 18 dicembre del 1626 partorì Cristina al castello delle Tre corone, la reggia di Stoccolma abbracciata dai ghiacci del Mare del Nord. La tanto attesa erede secondo gli auspici dei presagi avrebbe dovuto esser maschio, tuttavia Gustavo accettò la bambina come un segno del destino. La piccola crebbe tra le migliori corti d'Europa e fu educata per diventare una grande sovrana.
Il padre non potè vederla crescere. Quando scoppiò la Guerra dei Trent’anni partecipò al conflitto contro il sacro romano impero cattolico per consolidare e salvaguardare il regno svedese.
La Svezia era un regno forte, per quanto poco popolato, che aveva antiche origini e cultura. Ricco di miniere, si era sviluppato in una regione inospitale grazie a una notevole forza collaborativa tra le classi sociali tanto da avere quattro stati. Alla vigilia della partenza del re per la guerra vennero convocati gli stati generali: essi comprendevano il clero, l’aristocrazia, la borghesia e i contadini, che possedevano metà delle terre del regno. L'appoggio alla monarchia del quarto stato fu determinante per la forza del regno poiché teneva in equilibrio i poteri.
La guerra portò la Svezia ad allearsi con Inghilterra, Olanda, stati tedeschi ribelli e Francia, che sebbene cattolica vedeva salvaguardati i propri interessi – amministrati da Luigi XIII e dal cardinale Richelieu - contro il dominio degli Asburgo.
I successi militari del re delle nevi furono determinanti per la sua gloria e per il futuro del regno, ma il sovrano non potè goderseli perché morì in battaglia al massimo del successo militare e politico. Nel 1633, a soli sei anni, Cristina venne incoronata regina e sedette sul trono dopo aver assistito ai lunghissimi riti funebri, secondo la maniera gotica, tipici dei gelidi regni nordici. I quattro stati accettarono il testamento di Gustavo Adolfo quasi in toto, e soprattutto accettarono Caterina come regina.
Dopo il lutto, il rapporto con la madre divenne impossibile. La povera donna era volontariamente reclusa nel castello dove passava intere giornate a piangere il marito che non l’aveva voluta reggente né tanto meno educatrice della figlia. Nel 1635 il Riksdag, l'assemblea degli stati generali, su ordine del cancelliere Oxenstierna promulgò il progetto educativo della giovane regina che seguiva i canoni cristiani del tempo perché avesse un’ educazione conforme alla posizione e fosse preservata dagli errori del papismo e del calvinismo. I reggenti decisero anche l'allontanamento della madre dalla figlia perché il suo influsso era negativo, decisione che liberò la giovane regina da un pietoso macigno.
Cristina fu una bambina intelligentissima. Studiava fino a 12 ore al giorno con notevole successo e regolarmente veniva esaminata da due senatori che la aggiornavano sulla situazione politica svedese. A quattordici anni assisteva giornalmente anche al lavoro del cancelliere Oxenstierna che rimaneva stupito per la sua voglia di imparare e i progressi nell'apprendere. Presto seppe parlare perfettamente il latino, e apprese con estrema facilità le altre lingue del continente.
Leggeva tantissimo e si cimentava con la cultura dell'epoca apprendendo il neostoicismo di Montaigne e Charron, prendendo sempre le distanze dal suo sesso e vivendo come un maschio.
Nel 1640 Maria Eleonora scappò dalla costrizione al castello progettando di far unire in matrimonio il principe danese con la figlia, ma il piano fallì. I reggenti svedesi misero in giro la voce di una fuga romantica e il re danese allontanò l'ospite perché poteva esser causa di conflitto con la Svezia, con la quale aveva ancora conti in sospeso. Nel 1643 Cristina pose il primo piede nella guida del Paese accettando la pace chiesta dalla Danimarca e ponendo fine alla guerra con la Pace di Westfalia. A diciotto anni, divenuta regina, fermò il cancelliere Oxenstierna che voleva conquistare tutta la Danimarca e costruire una super potenza del nord, progetto caro al padre di Cristina.
Tra il 1645 e 1647 il potere di Cristina crebbe in ambito politico sfiduciando, il cancelliere ed imponendo la sua linea politica estera filofrancese alimentata dall'abilissimo ambasciatore Chanut. A ventuno anni rischiò la vita in un attentato, al culmine della paura che la regina volesse francesizzare la Svezia. I timori non erano fondati, ma da più parti le sue posizioni suscitarono critiche, come in fatto religioso vista la sua avversione per il luteranesimo. L'attentato rese impellente la necessità di avere un erede per dare continuità al regno svedese: questo compito era però visto con orrore da una donna che gradiva la compagnia maschile più per la caccia e l'uso della spada che non del letto.
L'amore di Cristina era irrealizzabile e soprattutto lontano dal matrimonio: amava il bellissimo e giovane Magnus de la Guardie e la bella Ebba Sparre: si dice infatti che fosse omosessuale. Quanto alla sua considerazione della vita coniugale, la massima che ha lasciato non lascia spazio ad equivoci: “I piaceri del matrimonio non ne valgono le pene".
Nel 1648 un’incredibile corsa fino a Praga delle truppe franco-svedesi costrinse l'impero alla pace con gran vantaggio della Svezia, tanto che Cristina divenne elettrice di diritto dell'impero essendo diventata sovrana di Brema. Grazie al cospicuo bottino di guerra la regina diventava anche ricca di collezioni pittoriche e biblioteche che la gratificavano più dell'oro.
Dopo la fine della guerra, Cristina poté concentrare le proprie forze nell’ambizioso progetto di ammodernare la Svezia e accrescere la cultura servendosi delle opere dei maggiori intellettuali europei, tra le quali spiccavano quelle di Cartesio, fattole conoscere dall'ambasciatore francese che aveva grande potere su di lei.
Cartesio corrispondeva già con alcune principesse che teneva come allieve e sperava che anche Cristina potesse diventarlo; lei invece cercava nella filosofia di Cartesio le giuste argomentazioni per sottrarsi al matrimonio che il senato gli imponeva. Il senato, di fronte alla decisione della sovrana di non sposarsi per non poter accettare soggezione, minacciò di ritornare all'antico sistema elettivo. Caterina propose come successore Carlo Gustavo, suo cugino, ma non placò l'inquietudine del senato.
Dopo alterne vicende il senato arrivò ad accettare la nomina di Carlo Gustavo come principe ereditario, fiducioso della promessa di Cristina di non sposarsi. Carlo Gustavo si legava alla corona, ma doveva sottostare ad ogni comando della regina e non poteva sposarsi.
Il 4 Ottobre 1648 Cartesio arrivò a Stoccolma dall'Olanda sfidando il timore d’esser rifiutato, come gli era accaduto in altre situazioni in passato. Stoccolma all'epoca contava appena quindicimila abitanti e le case erano per lo più capanne di legno, il Paese era assai povero e c'era tanto lavoro da fare.
Descartes fu accolto con gran giubilo: gli fu dato un titolo e gli vennero concesse molte libertà in cambio dell’impegno di svelare alla sovrana i segreti della filosofia alle cinque del mattino: un’ora insolita, ma la migliore per Cristina. Messo a dura prova dalle temperature mattutine svedesi, in Gennaio Cartesio si ammalò e dopo un mese morì. Aveva cinquantaquattro anni: lasciava molti nemici scolastici ma anche molti discepoli, che proprio in Svezia approfondirono e utilizzarono il pensiero analitico.
Il rapporto tra il filosofo e la regina aveva provocato delusione in entrambi, poiché non avevano trovato quello che si aspettavano. Nelle sue “massime” Cristina dice: "I filosofi sono stati pessimi garanti delle loro magnifiche promesse".
Quando nel 1650, due anni dopo essere salita al trono, si tennero i festeggiamenti per l'incoronazione, la situazione sociale era grave. La pace aveva liberato tensioni maturate da anni: in particolare i contadini erano stati vittime della politica della regina, che aveva enormemente aumentato le spese reali e soprattutto elargito feudi e nobiltà a spese dei contadini che avevano perso potere ed erano costretti a pagar tasse, accise e balzelli.
I tormenti della giovane regina in cerca di verità e libertà la portarono a percorrere una via filosofica della vita e a prendere decisioni inappellabili per il suo destino. Dopo aver deciso di non sposarsi e aver designato il successore in caso di morte nel 1651, dichiarò in senato la decisione di abdicare in favore del prescelto perché riteneva giusto che il re fosse un uomo, per i meriti di Carlo Gustavo e per la libertà che lei andava cercando.
I senatori si ribellarono di nuovo a questa decisione tanto inattesa: non potevano immaginare quali travagli stesse subendo il suo spirito.
Per quanto i gesuiti fossero stati banditi anche dalla Svezia, un padre portoghese riuscì ad avvicinare la giovane regina e a fare breccia nel più freddo dei paesi luterani. Cristina chiese che gli fossero inviati da Roma due padri gesuiti. Il Priore vagheggiò la speranza che questa regina potesse convertire il freddo regno del nord alla tradizione papista, ma era ben lontano dalla verità. Nel frattempo il senato, per paura di perdere la regina, le inviò una supplica perché recedesse dall'intento di abdicare dichiarandosi disposto ad accollarsi gli oneri dei debiti della Corona. Cristina prese tempo e accettò di rimanere, lasciando nel limbo Carlo Gustavo che continuava a manifestare la sua fedeltà alla corona. Per avvicinarsi al cattolicesimo Cristina aveva bisogno di lasciar la Svezia, e per realizzare questo obiettivo cercava protezione sia in Spagna che nell'Impero avviando accordi commerciali.
La già travagliata vita di Cristina si arricchì in quegli anni di un’altra religione, quella libertina, alla quale fu avviata grazie alle doti di un celebre cortigiano francese, Bourdelot, che le fece da medico e le salvò la vita. Le fece anche da cuoco, prescrivendole una dieta leggera priva di alcolici ( in Svezia infatti si credeva che l'acqua facesse male alla salute e si bevevano solo bevande alcoliche). La dieta consisteva principalmente in brodi e cotolette nonché terapie di aromi, bagni e riposi che la avvicinarono alla consueta vita delle dame francesi di cui la regina ammirava tanto il mondo. Bourdelot divenne influente a palazzo modificando riti e alleviando la pesante pedanteria degli eruditi svedesi.
Anche Gassendi fu chiamato a corte, ma si guardò bene dal farsi seppellire in quella fredda terra. Pascal omaggiò la regina inviandogli una delle sue macchine calcolatrici ed esaltandola come la più savia ed erudita delle regine. Tutti i libertini non mancarono di elogiarla come sovrano proprio nel momento in cui lei lasciava il trono.
Nel XVII secolo il cattolicesimo e il pensiero libertino non sembravano incompatibili: Gassendi era prete, e il cardinale di Retz fu uno degli esponenti più influenti della cerchia libertina. I due gesuiti venuti da Roma si erano prefissati il compito fare da guide intellettuali alla regina; Cristina desiderava giungere alla verità, e a lei pareva che la chiesa cattolica fosse più vicina ad essa perché più antica e meno soggetta ai cambiamenti.
Le aspettative dei gesuiti di veder tornare la Svezia cattolica caddero presto, perché le leggi svedesi erano durissime e Cristina per questo avrebbe abdicato, ma tenendo ancora il titolo di sovrana, al quale teneva molto, decise che si sarebbe trasferita a Roma perché in qualsiasi regno o principato sarebbe stata suddita.
La decisione definitiva al grande passo verso la libertà fu indotta dall’inviato spagnolo Pimentel, il quale, accompagnato da un gesuita, sotto le spoglie di un commerciante le restò appresso notte e giorno. Anch’egli descrisse Cristina al suo re come donna intrepida e dai modi maschili: raccontò che dormiva solo tre ore per notte e dedicava molto tempo allo studio. Conosceva sette od otto lingue e aveva una memoria straordinaria. Si occupava degli affari di stato personalmente, facendo tremare i generali che avevano messo a ferro e fuoco l’Europa. Si vestiva in maniera modesta e odiava le cerimonie. Benché libertina non ne condivideva l’edonismo, beveva solo acqua e dedicava solo mezz’ora al pranzo.
Nel 1653 Cristina si decise a chiedere protezione alla Spagna, ma le trattative non furono univoche: trattò molto anche con Mazzarino, che era restìo a concederle rendite vitalizie in nome degli accordi durante la Guerra dei Trent’anni. Ad accompagnare la regina dal suo successore, il cugino Carlo Gustavo, fu un generale dell’Impero: segno che il suo passaggio al cattolicesimo era noto in tutta Europa tranne che ai luterani svedesi, e che per mantenersi una vita agiata da sovrana aveva mosso delicatamente le leve del potere in tutti i punti cardinali. Lasciò il regno al cugino, molto indebitato e impoverito dalle ingenti concessioni economiche che si era procurata per il suo futuro, tenendosi il dominio su parecchie isole e lasciando i devoti sudditi nella prostrazione per non averla più come regina di Svezia, Finlandia e Gotia. L’ex cancelliere Oxensternia fu assai contrariato da questa scelta come da molti atti della giovane regina, ma forse per la Svezia sarebbe stato un bene liberarsi di uno spirito tanto ribelle. Oltre alle terre e ai tesori Cristina per paura di rimaner povera portò via dal palazzo reale tutti i quadri, i libri e le suppellettili, tanto da costringere il nuovo re ad affittare l’argenteria per il banchetto d’incoronazione il 6 Giugno del 1654.
La cerimonia di abdicazione e incoronazione fu solenne come da copione. Cristina si tolse da sola la corona con disappunto del vescovo luterano, che la pose sul capo di Carlo Gustavo divenuto Carlo X di Svezia.
Cristina abbandonò in fretta la terra natale e viaggiò per nord Europa in attesa che la Spagna riuscisse a intercedere a Roma nei suoi confronti. Fu accolta in tutte le corti per la curiosità che stimolava l’eccentrica sovrana attorniata da ben duecentoventuno servitori, tra i quali c’erano solo cinque femmine. Con lei c’era sempre Pimentel, che la teneva legata alla Spagna con gran dispiacere per l’ambasciatore francese, che sperava molto in un suo avvicinamento. In questi viaggi la prodigalità dell’ex regina fu tale che in sei mesi spese tutti i suoi denari e s’indebitò a tal punto con i banchieri ebrei che fu costretta a vendere parte del suo vasellame d’argento. Inutile fu il tentativo di vendere le sue terre svedesi, perché le casse di stato erano vuote.
Accolta dal duca di Bruxelles, la vigilia di natale del 1654 si confessò e ricevette la prima comunione. Tenne segreta la conversione, a convenienza sua e di chi la ospitava, per non guastare i rapporti finanziari con la Svezia. Ora trascorreva il tempo tra banchetti, balli, teatro e feste.
All’inizio del 1655 il suo destino prese una corsa più veloce. Morto Innocenzo X e divenuto papa Alessandro VII si avvicinava il momento dell’abiura, che non poteva però esser fatta in terra pontificia. Abbandonata Bruxelles, la piccola corte piena di debiti si diresse sulle terre imperiali. Il 3 novembre 1655, a Innsbruck, avvenne l’atto di conversione davanti all’alto inviato del papa e di fronte a tutte le autorità. La notizia fece scalpore in tutta Europa, e ovviamente anche in Svezia. Cristina scrisse al cugino re, il quale le rispose augurandogli la fortuna che cercava. Poi continuò il suo lento viaggio passando le Alpi e scendendo in Italia, dove fu accolta con grandi onori nelle città di permanenza dove visitò chiese e soprattutto mostrò interesse per il mondo dell’arte. Nel frattempo Roma si preparava per il suo arrivo, lustrando statue e obelischi e addobbandosi per il grande evento.
La Roma che accoglieva Cristina era al culmine del barocco tridentino. Dalla fine del 1500 e per tutto il 1600 Roma fu un cantiere aperto. Paolo V Borghese, Urbano VIII Barberini, Innocenzo X Panphili e Alessandro VII Chigi la trasformarono con le opere di Caravaggio, Carracci, Guido Reni, Velasquez, il Domenichino, Lorrain e Poussin. Gli architetti Pietro da Cortona, Borromini e Bernini ne fecero un gran teatro che con luci, colori e cascate di note e vivacità rendesse onore al vero credo pontificio.
Cristina incontrò il papa in privato il 19 Dicembre prima di fare l’ingresso ufficiale il 23, quando tutta Roma avrebbe sfoggiato il meglio di sé spendendo cifre enormi per la svedese. La carrozza di Cristina fu disegnata appositamente da Bernini, ed entrò in Roma passando sotto un arco di trionfo realizzato dallo stesso artista con la scritta “ Felici faustoque ingressui Chritinae Suecorum regina a.d.1655”.
Il giorno di Natale fu cresimata, ma iniziarono subito i primi disamori verso la nuova chiesa perché la Cristina si aspettava di esser trattata da regina, mentre non riceveva neppure il trattamento riservato ai cardinali. La innervosì una certa mancanza di etichetta; tuttavia, presa residenza nel palazzo di Ranuccio Farnese cominciò a fare conoscenza con la Città Eterna visitando le vestigia romane e le opere dei contemporanei, nonché tutti i conventi, le chiese e le cappelle.
L’irrequieta ed irascibile regina partecipava alle feste in suo onore mostrandosi a volte compiaciuta e a volte disinteressata, senza risparmiar battute, fischi e pernacchie e procurandosi così anche diversi nemici. I principi romani gareggiavano per ottenere le sue simpatie in modo da ingraziarsi il papa, che vedeva in lei uno strumento della propaganda fide. Inoltre Cristina continuava a intrattenere rapporti diplomatici con Spagna e Francia per ottenere i maggior vantaggi economici ma anche politici, poiché la voglia di potere non le era affatto scemata e agognava a qualche trono cattolico su cui sedere.
Nel 1656 fondò l’Accademia Reale, spinta dal fervore culturale di Roma. Questa accademia, che non ebbe molte sedute, si distinse per il distacco della pedanteria barocca e per le scelte meritocratiche a dispetto di nepotismi e giochi di potere nell’elargire premi e ricompense.
Fuggita dalla Svezia per non sottostare a ipocrisie, si dovette ricredere dopo aver scorto la verità dietro gli artifici, tanto da scrivere nelle massime: “ Il sacco dei bigotti è il peggiore che Roma abbia avuto”. Le sue economie erano così scarse che i servitori diventarono dei veri furfanti, tanto da asportare porte e tende dalla carrozza di un visitatore. Sempre nelle massime ammette che “ i furti dei servitori sono un risparmio per i loro padroni, perché se non rubassero dovrebbero pagarli di più”. Le dissennate spese e le mancate entrate delle rendite svedesi spinsero Cristina al ritorno in Svezia per risolvere la situazione, col proposito di tornare di nuovo a Roma. La sua partenza fu un sollievo per tutti; il papa temeva una sua riconversione al luteranesimo fu restio a concederle un prestito, ma la regina lo assicurò che non avrebbe abiurato una seconda volta.
Il suo viaggio di ritorno fu lento e trionfale. Dapprima via mare, sulle galere pontificie sontuosamente allestite per lei, e poi via terra attraverso la cattolica Francia. Qui ogni cittadina faceva a gara per riceverla, e da novella cattolica non poteva esimersi dal visitare ogni chiesa o monastero.
In vicinanza di Parigi la regina svedese incontrò un'altra donna libera del secolo, la duchessa di Montpensier, che aveva fatto tanto tremare Mazzarino e che avrebbe voluto sposare Luigi XIV. La Montpensier ci ha lasciato un interessante ritratto di Cristina: la descrisse piccola di statura ma ben proporzionata, con occhi blu e naso aquilino, una spalla più bassa che nascondeva bene con i vestiti da amazzone, calzature di foggia maschile. Osservò che aveva una bella pelle ed una bella bocca, e sebbene fosse giunta alla soglia dei trent’anni sembrava d’esser di fronte ad un ragazzaccio. A teatro bestemmiava, sedeva sdraiata sulla poltrona e rideva follemente.
A Settembre finalmente entrò a Parigi accolta trionfalmente. Fece la conoscenza di Mazzarino e del giovane Luigi XIV, divorò con la vista tutte le opere d’arte della capitale - in particolare la collezione privata di Mazzarino - ma dovette essere accudita in tutto, perché praticamente la sua corte era composta solo da sé stessa, e non aveva un soldo.
I colloqui con Mazzarino portarono ai vantaggi agognati: l’appoggio francese per il suo insediamento al trono di Napoli con tanto di cavalieri e flotta, e una lettera del Mazzarino che sollecitava la Svezia a versare le rendite promesse. Imbarcata nell’avventura napoletana, decise quindi di non proseguire per la Svezia e di ritornare a Roma.
Il papa fu accorto e parcheggiò la velleitaria regina a Roma, in attesa dell’avventura napoletana che però Mazzarino non era intenzionato a proseguire. Il soggiorno a Roma si protraeva oltre le sue aspettative logorando l’impaziente Cristina, che riceveva i dinieghi di Mazzarino anche di fronte alla promessa di farlo papa. Frustrata per l’attesa partì per la Francia, convinta che fosse il momento propizio per attaccare Napoli. La corte non la ricevette e la dirottò a Fontainebleau, facendola alloggiare nella Conciergerie e lì lasciandola decantare. Il sogno di Cristina però non sfumava, tanto che acquistò una quarantina di divise per le guardie svizzere, curate in modo eccelso, che le costarono una fortuna.
Nel frattempo le notizie dell’impresa napoletana iniziarono a girare giungendo alle orecchie del papa. Nel mezzo di quell’intrigo politico la fama di Cristina subì uno smacco inatteso, provocato dalla rivalità dei due spasimanti a suo seguito: il marchese Monaldeschi e il Santinelli, che le stavano sempre a fianco per spillarle dei soldi e che per ingordigia finirono per tradirsi. Il marchese fu scoperto e fatto giustiziare a colpi d’ascia: l’evento indignò la corte di Francia sia per l’efferatezza dei fatti, sia perché la regina svedese oltre a non avere trono si trovava su suolo francese, e le vittime erano italiane.
Da quel frangente politico tanto oscuro Cristina uscì molto male, sospettata di fare doppio gioco rendendosi sgradita alla Francia e messa in cattiva luce in tutta Europa. Fortuna volle che il cugino re di Svezia riportasse importanti vittorie sia in Polonia che in Danimarca; tuttavia la situazione della regina peggiorava, nonostante la Svezia le avesse concesso i sussidi francesi, anche perché sicura che la Francia non avrebbe pagato.
Alla fine la corte francese non poté sopportarla oltre: la regina madre dichiarò che, se non se ne fosse andata Cristina, se ne sarebbe andata lei. Mazzarino in via provvisoria le prestò il suo palazzo romano pagandole una somma a titolo di risarcimento dei sussidi svedesi mai pagati. Finalmente in Maggio Cristina liberò i francesi e ritornò a Roma. Il papa era adirato con lei sia per l’assassinio del marchese suo suddito, sia per il tentativo di occupazione del regno di Napoli; tuttavia per le regole dell’ospitalità organizzò un rinfresco in suo onore, e contemporaneamente le mise delle spie alle costole per tenerla a bada.
Dopo il 1660, in Svezia la situazione politica si complicò. Alla fine della gloriosa guerra Carlo X morì e la reggenza passò in via transitoria al cancelliere Magnus, che si era inimicato l’ex regina quando ella era ancora regnante e ora doveva subirne le conseguenze. Per quanto sgradita in patria, Cristina ci tornò in tutta fretta per cercar di salvare patrimonio e potere politico, sperando nella successione. Per quanto il parlamento fosse contrario alla sua presenza e alle sue pretese, riuscì a ottenere parte delle indennità patrimoniali. Con il clero arrivò allo scontro: appena arrivata nel palazzo reale allestì una cappella per la messa ed ebbe contro tutti i luterani. Con il cancelliere l'inimicizia arrivò al punto di assediare il castello dove risiedeva, e fu costretta a firmare la rinuncia perpetua al trono. Cristina non si diede per vinta e non abbandonò il castello, aspettando la probabile morte del malaticcio Carlo XI.
Nel frattempo Venezia chiedeva aiuto per la perdita dei possedimenti a causa dei turchi: Cristina scrisse ai sovrani d'Europa per organizzare una nuova crociata, ma senza successo. Si impegnò allora con a chiedere la libertà di religione verso i cattolici nei paesi protestanti, ottenendo qualche conversione e il plauso del papa che l'accolse a Roma nel 1661.
Si installò in Palazzo Riario, che allestì alla maniera classica con parecchie statue e colonne di marmo romane, antiche e moderne. Al primo piano gli armadi traboccavano di monete, medaglie e pietre preziose. Ricca era la pinacoteca, e al secondo piano c'era una sala musicale che poteva contenere fino a 150 musicisti. Il giardino di venti ettari fu curato da lei stessa per conferirgli un aspetto antico. Ma la sua permanenza era sempre incerta a causa della precaria situazione economica, mentre i rapporti tra i potenti si intrecciavano con la sua vita anche perché cercava di ficcare il naso in tutti gli intrighi con la presunzione far da mediatrice. I rapporti con Luigi XIV ebbero alti e bassi, mentre in Svezia una fazione del parlamento aspettava un suo ritorno con la speranzadi estromettere il cancelliere e farla tornare sovrana. In Svezia non si ebbe più pace dal momento della partenza di Cristina. I contadini e in generale tutti i sudditi erano stanchi della guerra, oltretutto nel 1665 cominciava a profilarsene un’ altra a causa di Luigi XV che si era messo contro l'Inghilterra. In patria molti la rimpiangevano.
A Roma Cristina si dedicò all'Accademia e alle scienze di cui era appassionata. Riceveva intellettuali, scienziati, astronomi e astrologi; non mancò la passione per l'alchimia, coltivata nella speranza di arricchirsi, ma il nuovo hobby le fece solo sperperare altro denaro.
Nel maggio del 1666 lasciò Roma. Sempre in attesa degli eventi sostò parecchio nella fredda Amburgo, dove si dedicò alla scrittura, tenne i fili con il re di Francia e col suo nuovo amore, il cardinale Azzolini, che sarebbe stato un prezioso tramite durante il conclave per la successione del defunto Alessandro VII. Al freddo non era più abituata, e rimpiangeva il dolce clima romano anche a causa delle malattie psicosomatiche che la affliggevano. Si svagava organizzando feste: una fu tanto grandiosa che i cittadini, durante i preparativi, temettero un’invasione straniera tanto da puntare i cannoni.
Arrivata a Stoccolma, dopo tutto il lavoro diplomatico francese per esser accolta ne migliore dei modi si rese conto della sua impotenza e presto ripartì senza ottenere nulla. Sperava di attendere tempi migliori, ma non tornò più in patria.
Il futuro papa rianimò Cristina perché fu proprio il suo preferito e raccomandato alla Francia, il che la riportava in auge a Roma. Tuttavia si trattenne ad Amburgo ancora un anno per seguire la causa svedese e per tentar di regnare prima su Breme, poi sulla Polonia. Nonostante gli sforzi del cardinale Azzolini, suo amante, fallirono anche questi piani.
Un anno dopo, alla morte del papa, Cristina svolse un ruolo importante durante il conclave che si risolse eleggendo un cardinale appena di più di ottanta anni che prese il nome di Clemente X. La svedese divenne famosa anche per la creazione del primo teatro romano: fino a quell’epoca, commedie e drammi venivano rappresentati da carrozzoni ambulanti. Nel 1670 Cristina divenne la "Padrona di Roma", soppiantando le nipoti di Mazzarino travolte dagli scandali.
Si incrementarono i successi dell'Accademia e del teatro: Cristina organizzava e spaziava tra scienze, alchimie, letteratura e storia. Non mancavano imprevedibili colpi di scena della devota cattolica, come quando per emulare il papa lavò i piedi a 12 povere dell'ospizio della Trinità; alla fine per un gesto di prodigalità si slacciò il prezioso grembiule gettandolo alle donne e gridando: "a chi saprà afferrarlo!". Il risultato fu una rissa colossale, che si concluse solo quando si vide costretta a prometterne uno a tutte.
Dopo la morte di Clemente X, papa di transizione, nel 1676 fu eletto papa Benedetto Odescalchi, con il nome di Innocenzo X: era soprannominato “papa minga” per i numerosi divieti esercitati per salvaguardare la morale, infilando le mutande alle statue d’ignudi e proibendo alle donne di indossare vestiti scollati e di recitare a teatro. Questo papa risanò con severità le casse dello stato e raccolse l'enorme somma di cinque milioni di scudi rastrellando danari da tutte le diocesi d'Europa: il denaro serviva per la crociata contro i turchi. Nel 1683 si arrivò alla vittoria contro i turchi senza l'appoggio del Re Sole, che perse una grande occasione, colta invece dalla Polonia. La devozione di Cristina non era più messa in discussione, tanto che Bernini in punto di morte le regalò un busto del Salvatore chiedendole di pregare per lui: si credeva infatti che parlasse direttamente con Dio. La sua devozione si produsse in una lotta per la libertà religiosa quando Luigi XIV, per ingraziarsi il papa, revocò l'editto di Nantes. La regina si pose a difesa della libertà di tutte le religioni e difese gli ebrei romani, avvicinandosi al quietismo. La setta fu contrastata dai gesuiti e condannata, ispirando la pasquinata: "Qui a parlare si va alle galere, a scrivere si va all'indice, a star quieti si va al Sant'Ufizio".
La posizione della svedese peggiorò quando il “papa minga" con una bolla tolse le immunità di cui godevano le ambasciate e certi palazzi patrizi. Anche il quartiere di Cristina godeva dell'immunità ed era il rifugio di furfanti e prostitute. Perdendo i suoi diritti, non potendo sopportare di esser messa al pari degli altri, chiese asilo nel regno di Napoli, ma il governatore del regno la invitò a restare a Roma. Abbassata la testa e restituita al papa la sovranità nel quartiere, avvenne un incidente che per poco non valse la condanna di scomunica contro Cristina.
Trascorse gli ultimi anni con lo spirito sempre alto, scrivendo lettere ai re ed occupandosi di magia. Morì il 19 aprile 1689 designando il papa come esecutore testamentario. Fu inumata e sepolta in San Pietro, onore concesso solo a un altra donna, Matilde di Canossa. Per tutta la vita combattè per la sua regalità e il suo impegno fu premiato alla sua morte.