Nel 1543 viene pubblicato il De revolutionibus orbium celestium di Niccolo' Copernico. La prefazione all'opera, a cura di Osiander, la presenta come una semplice ipotesi, ma il nuovo modello cosmologico eliocentrico viene ripreso da altri grandissimi astronomi quali Tycho Brahe, Johannes Keplero e Galileo Galilei. E' un modello carico di potenzialità rivoluzionarie non solo in campo scientifico, ma anche filosofico e teologico: porre il sole al centro dell'universo significa rovesciare il sistema tolemaico e la visione del mondo di ispirazione aristotelica che dominava ancora gran parte dell'ambiente universitario del tempo.
La Chiesa cattolica non ha, inizialmente, una reazione negativa: soprattutto se la confrontiamo alla reazione di Lutero, che disprezza manifestamente la tesi copernicana. Galileo aderisce con entusiasmo alla nuova concezione astronomica, anche se non prende ancora posizione con scritti ufficiali. Non si hanno ancora prove empiriche e dati osservativi sufficientemente forti da convincere dell'esattezza della nuova teoria. Nel 1609 Galileo si costruisce un cannocchiale più efficace e migliorato: erano stati gli Olandesi a inventare il cannocchiale, ma lo strumento aveva avuto inizialmente finalità soprattutto militari; Galileo è il primo a intuirne tutte le potenzialità scientifiche, e lo utilizza per osservare il cielo. Anzitutto fa delle importanti osservazioni sulla superficie lunare, sui satelliti di Giove, sulla differenza di forma e di luminosità fra i pianeti e le stelle. NelSidereus Nuncius del 1610 descrive la superficie della Luna non levigata e uniforme come si credeva, ma "ineguale, scabra, piena di cavità e di sporgenze". Le conseguenze implicite nelle sue osservazioni sono straordinarie: si apre la strada al riconoscimento dell'identità di natura della Terra e della Luna, e al superamento della distinzione tra mondo celeste e mondo sublunare che reggeva tutto l'edificio della fisica aristotelica. Poi c'è l'importante scoperta dei satelliti di Giove: testimoni di un movimento celeste che ha come centro un pianeta diverso dalla Terra, spezzano di fatto il caposaldo più importante dell'astronomia tolemaica, ossia la tesi che vedeva la Terra come unico centro possibile per tutti i movimenti orbitali dei corpi celesti.
Successi e contestazioni
La fama di Galileo si espande in tutta Europa. Riceve segnali di benevolenza e di accettazione anche da parte della Curia romana, dove presenzia a una serie d'incontri di altissimo livello nei quali spiega il significato delle sue scoperte; viene anche ricevuto da papa Paolo V. Nel 1611 è iscritto all'Accademia dei Lincei. Ma con l'avanzare delle scoperte, aumentano anche le tensioni. Il caso scoppia a Firenze nel 1614: il frate domenicano Tommaso Caccini tiene una violenta predica contro le concezioni eliocentriche di Copernico e Galileo, appellandosi ai passi della Bibbia che sembrano negare l'immobilità del sole (primo fra tutti, il famoso passo del libro di Giosuè). Il 7 Febbraio 1615 il domenicano Niccolò Lorini invia una lettera al cardinal Paolo Emilio Sfrondati, prefetto della Congregazione dell'Indice e del Santo Uffizio. La sua lettera è accompagnata da una copia della lettera di Galileo a padre Castelli. In gioco sono innanzitutto le affermazioni di Galileo riferite ai criteri esegetici, che devono guidare gli interpreti della Sacra Scrittura, in particolare quando si tratti di confrontare le attestazioni del testo sacro con i dati emergenti della ricerca scientifica. Nella lettera del Lorini, la dottrina copernicana passa in secondo piano; è questo il punto decisivo.
L’ammonimento del 1616
Il 25 Febbraio 1615 la Congregazione del Sant'Uffizio decide di aprire il caso. Il 19 Marzo, papa Paolo V ordina che venga ascoltato come teste padre Caccini, il quale ribadisce quanto detto dal Lorini, sottolineando il contrasto tra la tesi copernicana e le affermazioni bibliche. Vengono ascoltati i testimoni citati nella lettera del Lorini: lo Ximenes e l'Attavanti. Le loro deposizioni non aggravano la posizione di Galileo, anzi su diversi punti ridimensionano le affermazioni del Caccini. L'Attavanti, interrogato su come giudicasse Galileo quanto alla fede, risponde senza esitazioni: "Io l'ho per bonissimo cattolico".
Il 3 Dicembre 1615 Galileo parte per Roma, dove viene ospitato dall'ambasciatore del Granduca di Toscana. Il 16 Febbraio 1616, nella residenza privata del cardinal Bellarmino, alla presenza di cinque ecclesiastici come testimoni, il cardinale intima a Galileo di "abbandonare totalmente la sopradetta opinione, che il Sole sia il centro del mondo e immobile e la Terra si muova, e che anche in seguito in ogni modo non la tenga, né la insegni o la difenda, sia verbalmente che per iscritto. In caso contrario il Sant'Uffizio procederà contro di lui". Galileo si sottomette a questo precetto promettendo di obbedire. Contemporaneamente vengono messe all'indice le opere di Copernico, Astunica e Foscarini, ma non quelle di Galilei.
Il “Dialogo sui massimi sistemi”: scoppia il caso
Dopo l'ammonizione del Bellarmino, lo scienziato torna alle ricerche di fisica e astronomia. Nel 1623 pubblica Il Saggiatore, uno dei suoi massimi capolavori. Nello stesso anno sale al soglio pontificio Maffeo Barberini con il nome di Urbano VIII. Nell'opera Galileo stabilisce il principio secondo cui il vero può emergere solo dalla fusione di sensate esperienze e certe dimostrazioni. Inoltre ribadisce che deve essere rifiutata dall'autorità scientifica ogni autorità che non sia quella della natura stessa. Il libro ha un grande successo e viene gradito anche da papa Urbano. Dal 1624 al '29 Galileo si dedica alla composizione del Dialogo sopra i sue massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano. L'opera riceve l'imprimatur ecclesiastico per la pubblicazione solo nel Luglio 1631: all'interno della Curia romana non sono mancate le resistenze più intense e i dubbi circa un libro che, dietro l'apparenza di una discussione imparziale delle due ipotesi astronomiche, sembra celare una difesa schiacciante delle tesi copernicane. Il papa stesso ha autorizzato il libro, ma a condizione che in esso la tesi copernicana appaia solo come un'ipotesi. Maffeo Barberini era amico dello scienziato e lo ammirava. Gli chiede d’inserire nell’opera anche la sua ipotesi, cioè che i corpi celesti potrebbero muoversi in una maniera che non è comprensibile sulla Terra. Galileo accetta. Il Dialogo è basato sull'incontro di tre personaggi - Salviati, Simplicio e Sagredo - che dibattono attorno alle ragioni a favore e contro le due ipotesi astronomiche più importanti, tolemaica e copernicana: Salviati è un assertore del sistema copernicano; Simplicio e' il difensore dell'ipotesi geocentrica; Sagredo e' più neutrale e ha il ruolo di stimolare e orientare la discussione fra gli altri due interlocutori. Il problema è che Galileo presenta il fautore dell'eliocentrismo come saggio, intelligente e bene informato, con l'astante molto spesso persuaso dalle sue ragioni; mentre chi propone il geocentrismo (Simplicio) viene ritratto come lento di comprendonio, spesso in errore e in qualche maniera idiota. Insomma, non è propriamente una presentazione bilanciata delle teorie. La situazione precipita rapidamente: il papa non vede rispettate nel testo galileiano le indicazioni e le condizioni che aveva posto perché potesse essere pubblicato. Oltretutto, è furioso perché Galileo ha messo le parole del pontefice nella bocca dello stupido, ottuso Simplicio. Non si tratta di un’insinuazione sottile: l’opinione del papa in materia era ben conosciuta e tutti avevano capito che si trattava di un insulto ben diretto. Urbano VIII non può passare sopra un affronto del genere.
Il processo a Galileo
Nella lunga relazione di Padre Nicolo' Riccardi, maestro del sacro palazzo, stesa il 24 Maggio 1631, Galileo e' accusato di aver trasgredito gli ordini parlando della mobilità della Terra e della stabilità del sole non come semplice ipotesi, ma come cosa vera. E' accusato di aver "posta la prefazione con carattere distinto, e resala inutile come corpo alienato dall'opera, et aver posto la medicina del fine in bocca di uno sciocco". In sostanza, l'Inquisizione non crede alle intenzioni d'imparzialità di Galileo e alla tesi che l'argomento sia stato affrontato come pura ipotesi. Il 23 Settembre 1632 Galileo e' convocato a Roma, dinanzi al Commissario generale del Sant'Uffizio. Il 13 Febbraio 1633 lo scienziato giunge a Roma, dove viene ospitato ancora una volta dall'ambasciatore del Granduca. Il 16 Aprile si reca nel palazzo del Sant'Uffizio. Il 30 Aprile rilascia una deposizione in cui ammette di aver sostenuto e argomentato con troppa energia le tesi eliocentriche, eccedendo nella difesa di tesi che in nessun modo crede vere. Per spiegare il suo comportamento ricorre alla "natural compiacenza che ciascheduno ha delle proprie sottigliezze, e del mostrarsi più arguto del comune de gli huomini nel trovare, anco per le propositioni false, ingegnosi et apparenti discorsi di probabilità."
Il 10 Maggio Galileo viene convocato nuovamente e presenta una memoria difensiva in cui cerca di ribadire la purezza e onestà delle proprie intenzioni. Nell'interrogatorio del 21 Giugno, al reiterato negare da parte di Galileo di aver veramente creduto alla teoria copernicana, l'inquisitore gli intima di "dire spontaneamente la verità, se tiene o ha tenuto quell'opinione". Il testo della sentenza parla del "rigoroso esame" (ossia la tortura), ma bisogna dire che il riferimento al "rigoroso esame" nelle sentenze dell'Inquisizione veniva inserito tutte le volte che era stata minacciata la tortura, indipendentemente dal fatto che poi si fosse arrivati o meno a metterla davvero in pratica. Non è quindi possibile, da questo testo solo, arrivare a concludere che Galileo sia stato effettivamente torturato. Il 22 Giugno 1633 lo scienziato pronuncia una completa abiura dei suoi errori, davanti a tutta la Congregazione del Sant'Uffizio. Molti ricordano una “frase storica” che avrebbe pronunciato in quest’occasione: quell’”Eppur si muove!” fieramente lanciato in faccia agli inquisitori, dopo la lettura della sentenza. In realtà quella frase è un falso creato a Londra nel 1757 da Giuseppe Baretti, giornalista tanto brillante quanto spesso inattendibile.
Analisi del “caso Galileo”
Galileo è consapevole di aver fatto di tutto per indisporre il tribunale, cercando per di più di prendere in giro quei giudici - tra i quali c'erano uomini di scienza non inferiore alla sua - assicurando che, nel libro contestatogli, aveva in realtà sostenuto il contrario di quanto si poteva credere. Oltretutto, nei quattro giorni di discussione, ad appoggio della sua certezza che la Terra girasse attorno al Sole aveva portato un solo argomento. Ed era sbagliato. Sosteneva, infatti, che le maree fossero dovute allo "scuotimento" delle acque provocato dal moto terrestre. A questa tesi, i suoi giudici-colleghi ne opponevano un'altra che Galileo giudicava "da imbecilli". Era, invece, quella giusta: le maree sono provocate dall’attrazione lunare. Come dicevano, appunto, quegli inquisitori insultati sprezzantemente dal Pisano.
Non era la prima volta che Galileo prendeva una cantonata in campo scientifico. Nel 1618 erano apparse nel cielo delle comete: tratto in inganno da certi apriorismi legati alla sua scommessa copernicana, lo scienziato sosteneva che si trattasse solo di illusioni ottiche e attaccava duramente gli astronomi gesuiti della Specola romana, i quali – giustamente – erano convinti che quelle comete fossero oggetti reali.
Infatti, nel “caso Galileo” il Sant’Uffizio non si oppone all’evidenza scientifica in nome di un oscurantismo teologico. La prima prova sperimentale della rotazione della Terra è del 1748, e per “vedere” la rotazione all’opera bisogna aspettare il 1851, con il pendolo di Foucault. All’epoca del processo a Galileo, sistema tolemaico e sistema copernicano non sono altro che due ipotesi di pari valore, su cui si può scommettere, ma senza avere prove decisive. E sono molti i religiosi cattolici che parteggiano per il “novatore” Copernico, rigettato invece da Lutero.
Lo scienziato subisce una condanna molto mite, e non fa nemmeno un giorno di carcere. Già quand’era stato convocato a Roma per il processo si era sistemato a spese e cura della Santa Sede in un alloggio di cinque stanze con vista sui giardini vaticani e cameriere personale. Dopo la sentenza, viene alloggiato nella villa dei Medici al Pincio. Da lì, il "condannato" si trasferisce come ospite nel palazzo dell'arcivescovo di Siena, uno dei tanti ecclesiastici insigni che gli vogliono bene, lo hanno aiutato e incoraggiato e ai quali aveva dedicato le sue opere. Infine si sistema nella sua confortevole villa di Arcetri, dal nome significativo "Il gioiello". Non perde la stima di vescovi e scienziati, non gli viene impedito di continuare il suo lavoro e infatti prosegue gli studi, dando alle stampe i Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove scienze che è il suo capolavoro scientifico. Non gli è vietato di ricevere visite, e i migliori colleghi d’Europa passano a discutere con lui. Presto gli viene anche tolto il divieto di muoversi dalla villa. L’unico obbligo che gli rimane è quello di recitare una volta alla settimana i sette salmi penitenziali. Una “pena” che, sebbene scaduta dopo 3 anni, Galileo continua a “scontare” volontariamente fino alla fine dei suoi giorni. Muore a 78 anni, 9 dopo la condanna, nel suo letto, munito dell’indulgenza plenaria e della benedizione del papa.
Dessauer ha scritto: "Il nuovo mondo sorge essenzialmente al di fuori della Chiesa cattolica perché questa, con Galileo, ha cacciato gli scienziati". Questo non risponde affatto alla verità. Il temporaneo divieto d’insegnare pubblicamente la teoria eliocentrica copernicana è un fatto del tutto isolato: né prima né dopo la Chiesa scenderà mai in campo per intralciare in qualche modo la ricerca scientifica, portata avanti tra l'altro quasi sempre da membri di ordini religiosi. Lo stesso Galileo è convocato solo per non avere rispettato i patti: l'approvazione ecclesiastica per il libro "incriminato", i Dialoghi sopra i massimi sistemi, gli era stata concessa purché trasformasse in ipotesi (come del resto esigevano le stesse ancora incerte conoscenze scientifiche del tempo) la teoria copernicana che egli invece dava ormai come sicura. Il che non era ancora. Promise di adeguarsi: non solo non lo fece, dando alle stampe il manoscritto così com'era, ma addirittura mise in bocca allo sciocco dei Dialoghi, dal nome esemplare di Simplicio, l’ipotesi del papa sull’argomento.
Quando è convocato per discolparsi, Galileo, si sta occupando di molti altri progetti di ricerca, non solo di quello sul movimento della Terra o del Sole. Era giunto quasi ai settant'anni avendo avuto onori e aiuti da parte di tutti gli ambienti religiosi, a parte un platonico ammonimento del 1616, ma non diretto a lui personalmente; subito dopo la condanna potrà riprendere in pieno le ricerche, attorniato da giovani discepoli che formeranno una scuola. E potrà condensare il meglio della sua vita di studio negli anni che gli restano, in quei Discorsi sopra due nuove scienze che è il vertice del suo pensiero scientifico.
Se la scienza, a partire dal 1600, emigra verso il nord e oltre Atlantico – in regioni non cattoliche – le cause sono legate al diverso corso assunto dalla scienza stessa. I nuovi e costosi strumenti esigono fondi che possono permettersi solo i paesi economicamente in ascesa, non certo l’Italia occupata dagli stranieri o la Spagna che ha ormai concluso il suo “siglo de oro” (il 1500). Inoltre la scienza moderna si lega direttamente alla tecnologia, quindi può svilupparsi solo tra i popoli che hanno avuto una primissima rivoluzione industriale, che hanno – come gli olandesi e gli inglesi – grandi flotte da costruire, che hanno bisogno di equipaggiamento moderno per gli eserciti, e così via. Se prima la scienza era legata solo alla cultura, alla filosofia, all’intelligenza, dall’età moderna è legata al commercio, all’industria, alla guerra, al denaro.
Che questa sia la vera causa dell’inferiorità scientifica dell’Italia lo dimostra il fatto che i protestanti furono molto più intolleranti dei cattolici verso l’opera di Copernico e i suoi seguaci. Copernico è un canonico cattolico che installa il suo rudimentale osservatorio sulla cattedrale di Frauenburg. La sua opera fondamentale – la “Rotazione dei corpi celesti” del 1453 – è dedicata a papa Paolo III, appassionato astronomo. L’imprimatur è concesso da un cardinale domenicano. La prefazione del libro è invece di un protestante, Osiander, che prende le distanze da Copernico presentando la sua come una semplice ipotesi, preoccupato di possibili conseguenze per la scrittura. Ed ecco la reazione di Lutero alle tesi di Copernico: "La gente presta orecchio a un astrologo improvvisato che cerca in tutti i modi di dimostrare che è la Terra a girare e non il Cielo. Chi vuol far sfoggio di intelligenza deve inventare qualcosa e spacciarlo come giusto. Questo Copernico, nella sua follia, vuol buttare all'aria tutti i princìpi dell'astronomia". E Melantone incalza: "Simili fantasie da noi non saranno tollerate". Non sono minacce a vuoto: il protestante Keplero, fautore del sistema copernicano, per sfuggire ai suoi correligionari che lo giudicano blasfemo perché parteggia per una teoria creduta contraria alla Bibbia deve scappare dalla Germania e rifugiarsi a Praga, dopo essere stato espulso dal collegio teologico di Tubinga. Ed è significativo quanto ignorato (sono parecchie le cose ignorate in questa vicenda) che giunga al "copernicano" e riformato Keplero un invito per insegnare proprio nei territori pontifici, nella prestigiosissima università di Bologna.
Certo, la Chiesa commise un errore a mescolare Bibbia e nascente scienza sperimentale. Ma è facile giudicare col senno di poi: come si è visto, i protestanti furono assai meno lucidi; anzi, assai più intolleranti dei cattolici. E’ certo che in terra luterana o calvinista Galileo sarebbe finito non in villa, ospite di gerarchi ecclesiastici, ma sul patibolo.Dai tempi dell'antichità classica sino ad allora, in tutto l'Occidente, la filosofia comprendeva tutto lo scibile umano, scienze naturali comprese: oggi ci viene facile distinguere, ma a quei tempi non era affatto così; la distinzione cominciava a farsi strada tra lacerazioni ed errori. D'altro canto, Galileo suscitava qualche sospetto perché aveva già mostrato di sbagliare (sulle comete, ad esempio) e proprio su quel suo prediletto piano sperimentale: non aveva prove a favore di Copernico, la sola che portava era del tutto erronea. Il cardinale Bellarmino si diceva pronto - e con lui il cardinale Baronio - a dare alla Scrittura (la cui lettera sembrava più in sintonia col tradizionale sistema tolemaico) un senso metaforico, almeno nelle espressioni che apparivano messe in crisi dalle nuove ipotesi astronomiche; ma soltanto se i copernicani fossero stati in grado di dare prove scientifiche irrefutabili.
C’è anche da osservare che lo stesso Galileo mostra come, malgrado alcuni giusti princìpi da lui intuiti, il rapporto scienza-fede non sia chiaro neppure per lui. Non è sua, ma del cardinal Baronio (e questo riconferma l'apertura degli ambienti ecclesiastici) la formula celebre: "L'intento dello Spirito Santo, nell'ispirare la Bibbia, era insegnarci come si va al Cielo, non come va il cielo". Abitualmente si tace la contraddizione di Galileo, l'essersi anch'egli impelagato nel "concordismo biblico”. Davanti al celebre versetto di Giosuè che ferma il Sole lo scienziato non ipotizzava per niente un linguaggio metaforico: restava anch'egli sul vecchio piano della lettura letterale, sostenendo che Copernico poteva dare a quella "fermata" una migliore spiegazione che Tolomeo. Mettendosi sullo stesso piano dei suoi giudici, Galileo conferma quanto fosse ancora incerta la distinzione tra il piano teologico-filosofico e quello della scienza sperimentale.
In fondo, la condanna temporanea (la formula recitava donec corrigatur, ossia “fino a quando non sia corretta”) della dottrina eliocentrica, che dai suoi paladini era presentata come verità assoluta, salvaguardava il principio fondamentale che le teorie scientifiche esprimono verità ipotetiche,vere “ex suppositione”, per ipotesi e non in modo assoluto. Secoli dopo, Karl Popper osserverà che inquisitori e Galileo erano, malgrado le apparenze, sullo stesso piano. Entrambi, infatti, accettavano per fede dei presupposti fondamentali sulla cui base costruivano i loro sistemi. Gli inquisitori accettavano come autorità indiscutibili (anche sul piano delle scienze naturali) la Bibbia e la Tradizione nel loro senso più letterale. Ma anche Galileo - e, dopo di lui, tutta la serie infinita degli scientisti, dei razionalisti, degli illuministi, dei positivisti - accettava in modo indiscusso, come nuova Rivelazione, l'autorità del ragionare umano e dell'esperienza dei nostri sensi. Il laico e agnostico Popper si domanda: chi ci dice che la ragione e l’esperienza sensibile ci comunichino il vero? Come provare che non si tratti di illusioni? Oggi noi sappiamo che le “verità scientifiche" non sono affatto "verità" indiscutibili a priori, ma sempre e solo ipotesi provvisorie, anche se ben fondate. E la storia della scienza è piena di cantonate clamorose, dalle quali non sono stati preservati gli scienziati nonostante l’uso della ragione e dell’esperienza.
Fino a quando Copernico e tutti i copernicani (numerosi anche tra i cardinali) restano sul piano delle ipotesi, nessuno ha da ridire; il Sant'Uffizio si guarda bene dal bloccare una libera discussione sui dati sperimentali che via via vengono messi in campo. L'irrigidimento avviene soltanto quando dall'ipotesi si vuole passare al dogma, quando si sospetta che il nuovo metodo sperimentale in realtà tenda a diventare religione, quello "scientismo" in cui in effetti degenererà.
Galileo non viene condannato per le cose che dice, ma per come le dice. Con un'intolleranza fideistica che spesso supera quella dei suoi antagonisti, pur considerati "intolleranti" per definizione. Nel contraddittorio, il Pisano ha di fronte a sé astronomi come quei gesuiti del Collegio Romano dai quali ha imparato tanto, ha ricevuto tanti onori e che la ricerca recente ha mostrato nel loro valore di grandi, moderni scienziati anch'essi "sperimentali". Poiché Galileo non ha prove oggettive, è solo in base a una specie di nuovo dogmatismo che può scagliare contro quei colleghi espressioni come quelle che usa nelle lettere private: chi non accettava subito e tutto il sistema copernicano era – testualmente - "un imbecille con la testa tra le nuvole", uno "appena degno di essere chiamato uomo", "una macchia sull'onore del genere umano", uno "rimasto alla fanciullaggine", e via insultando. In fondo, la presunzione di essere infallibile sembra più dalla sua parte che da quella dell'autorità ecclesiastica. E’ proprio la sua personalità abrasiva a metterlo nei guai: Galileo è conosciuto per le sue maniere molto arroganti, e durante la sua carriera accumula un gran numero di persone che ha irritato, insultato o reso in qualche maniera suoi nemici. Nel 1615 alcuni di loro vedono una possibilità di vendicarsi di lui, accusandolo di eresia per la sua affermazione che l'eliocentrismo sia un fatto provato. Ed è così che la Chiesa viene incaricata d’indagare se Galileo propugni una visione contraria alle Scritture.
In ultimo è il caso di sottolineare che, se i giudici di Galileo commisero un errore, questo non riguarda affatto la fede: sia il giudizio del 1616 che quello del 1633 sono decreti di una Congregazione romana approvati dal papa in forma communi e come tali non cadono sotto la categoria delle affermazioni nelle quali la Chiesa è infallibile; si tratta, cioè, di decreti di uomini di Chiesa, non certo di dogmi della Chiesa.