La finanza inglese
Il progresso delle tecniche finanziarie fu notevole in Inghilterra. L’organizzazione ancora molto arcaica e inefficiente della zecca e la costante esportazione di grosse quantità di argento, soprattutto verso l’Oriente, fecero sì che anche in quel paese si manifestasse una deficienza cronica di monete, soprattutto quelle di minor valore nominale.
Di conseguenza, per tutto il diciottesimo secolo i privati, soprattutto gli industriali, fabbricarono spesso monete proprie. All’inizio del periodo di cui ci occupiamo all’insufficienza di monete metalliche si rimediò con altri tipi di valuta: biglietti stampati dalla Banca d’Inghilterra, biglietti dello Scacchiere, biglietti di lotteria e soprattutto biglietti delle banche private, che cominciavano adesso a moltiplicarsi. Negli anni 1750-65 si contavano a Londra da venti a trenta banche private, che nel 1800 sarebbero diventate settanta. Le banche private della provincia, benché si sviluppassero più lentamente, alla fine del nostro periodo erano anch’esse affermate. Già prima della fine del diciassettesimo secolo i mercanti, i fabbricanti e i notai, a Londra come nelle province, avevano svolto molte delle funzioni proprie dei banchieri. In Scozia, nel 1695, era stata fondata una banca nazionale; e durante il diciottesimo secolo erano nate diverse banche costituite come società per azioni, più potenti e durature di moltissime banche inglesi. Alla metà del secolo Londra era il centro di un bene organizzato sistema di assicurazioni marittime. Gli assicuratori facevano molti affari con gli armatori stranieri contribuendo così a rafforzare la bilancia dei pagamenti del paese e ad accrescerne l’importanza nel commercio e nella finanza internazionali.
Lo sviluppo di istituzioni e tecniche nuove in Inghilterra non tolse alle Province Unite la posizione di predominio che esse avevano avuto nei progressi della finanza internazionale d’Europa durante gran parte del diciassettesimo secolo. Si calcolò nel 1737 che circa 11 milioni di sterline in moneta olandese fossero investiti in Inghilterra, mentre nel 1776 il primo ministro in persona affermò che si era arrivati ai cinquantanove milioni, e cioè ai tre settimi dell’intero debito nazionale.
La finanza francese
Una diffusa e radicata sfiducia nella stabilità finanziaria e perfino nel l’onestà del governo, e il sistema fiscale inefficiente e ingiusto al di là di ogni speranza contribuirono a scoraggiare lo sviluppo di un debito nazionale di tipo inglese. La « truffa del Mississippi », nel 17 19-20, che fu causa, per migliaia e migliaia di persone, di pesanti perdite, in una esplosione di speculazione frenetica provocata dall’inflazione monetaria e dalla speranza di ricavare enormi profitti dal commercio coloniale ebbe ripercussioni psicologiche che si fecero sentire a lungo. Rafforzò la già diffusa sfiducia dei francesi nei confronti della moneta cartacea e delle grandi istituzioni finanziarie centralizzate. Le conseguenze di questo atteggiamento mentale si notano nella lentezza con cui la finanza pubblica francese si sviluppò e nel suo non essere riuscita a tenere il passo dello sviluppo industriale e commerciale del paese. La Bourse parigina, che pure si aprì nel 1724, fu fino al 1780 privata di gran parte della sua utilità dalla proibizione di transazioni a termine. Uno dei sintomi più evidenti dell’arretratezza della Francia, sotto questo aspetto, fu il ruolo d’importanza a volte predominante avuto dagli stranieri nel tardivo sviluppo del sistema finanziario del paese.
Negli ultimi anni prima della rivoluzione il ritmo dello sviluppo finanziario in Francia accelerò nettamente. La Caisse d’Escompte, una banca di emissione e di sconto, fu fondata nel 1776. La Loterie Royale istituita in quello stesso anno emise dal 1783 in poi biglietti rimborsabili dopo otto anni con gli interessi: in sostanza, una specie di buoni del tesoro. Le società per azioni cominciarono a prendere piede dopo la metà del secolo, e questo movimento accelerò di molto dal 1780 in poi. Nel 1788 uno svizzero fondò la prima società di assicurazioni contro gli incendi che avesse la Francia. Nonostante tutto ciò il paese si avviò alla rivoluzione avendo un’organizzazione finanziaria decisamente inferiore a quella della rivale d’oltremare. Le sue deficienze, combinandosi con quelle di un sistema fiscale arbitrario e inefficiente, non permisero mai al governo, in questo periodo, di mobilitare e usare efficacemente le sue grandi risorse economiche.
In altri paesi europei i progressi in questo campo furono più lenti e si concentrarono soprattutto negli ultimi decenni del secolo. Genova continuò a essere centro finanziario di qualche importanza: fonte di capitali e centro di compravendita dei metalli preziosi importati dall’America latina. Amburgo, una delle città europee che fecero più rapidi progressi, consolidò la propria posizione di centro bancario e finanziario internazionale. Dal 1720 in poi vi fiorirono in misura notevole le assicurazioni marittime. I banchieri di Ginevra, altra città la cui importanza economica andava rapidamente crescendo, stavano già investendo somme considerevoli in Inghilterra, in Francia e anche nei Paesi Bassi durante la guerra di successione spagnola. Gli stretti contatti con Cadice assicurarono loro una posizione di primo piano nel mercato dell’oro e dell’argento, e negli ultimi decenni del secolo la loro influenza sulla vita finanziaria, in particolare della Francia, si fece marcata. Tutte queste erano città-stato in posizione geografica favorevole, con un’apertura cosmopolita e governi che non esige vano troppo dai sudditi.
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