Il duello moderno in epoca barocca
Scritto da Stefano Torselli. Pubblicato in uomo e società
Il concilio ecumenico di Trento (dal 1545 al 1563) aveva sottoposto ad esame la fede e la morale cattolica, preparando la strada alla Controriforma. Le sue decisioni contro le giostre e i tornei, a differenza di altri precedenti pronunciamenti papali in merito, andavano osservate come tassative da tutte le autorità secolari cattoliche, cui era imposto almeno di rifiutare qualunque appoggio attivo al duello.
Molti cattolici non seguirono però quei dettami e il duello si trasformò in qualcosa di più informale, flessibile, veloce. Il nuovo duello, al quale si poteva ricorrere in qualunque tipo di contesa, per quanto lo si possa ritenere fenomeno irrilevante, era però qualcosa che si svolgeva tra uomo e uomo; segnava un’altra pietra miliare nella costruzione dell’individualismo.
Anche le armi subirono un processo di semplificazione, quelle difensive vennero eliminate in modo da fare del duello un incontro da condursi velocemente, prima che fosse possibile una qualunque interferenza.
Dall’Italia proveniva tutta una letteratura tecnica: una serie di trattati sull’arte del duello, in particolare sulla scherma e sul codice d’onore, che dettava le norme secondo cui un gentiluomo poteva fare o ricevere oltraggio in maniera dignitosa. Essendosi ormai ridotti i confini delle classi alte, lo status andava ribadito attraverso la cura delle apparenze. Le raffinatezze del comportamento sociale assumevano così un’importanza difficilmente comprensibile. Le ragioni o i pretesti per scontrarsi proliferavano e divenivano sempre più complessi e sempre più assurde. C’era follia in tutta la faccenda e Shakespeare fu solo uno dei tanti scrittori che se ne prese gioco.
In teoria si ubbidiva al principio dell’umanesimo italiano che era la «virtù», un ideale di comportamento virile e coraggioso, con forti accenti aristocratici.
Il testo di Girolamo Muzio, Il duello, pubblicato a Venezia nel 1550, divenne il più famoso trattato in materia. Il concetto di onore del gentiluomo fioriva fra i venti della Riforma e della Controriforma dai quali era eccezionalmente poco toccato. Per i suoi adepti la religione era qualcosa da riservare al branco, mentre ciò che contava per loro era lo status e l’opinione del mondo. Frotte di membri nullafacenti della nobiltà di campagna senza un’occupazione più seria di quella di giocare, bere e intrattenersi con le prostitute, avevano tutto il tempo che volevano a disposizione per uccidere; il duello permetteva loro di ravvivare giornate altrimenti monotone e, poiché comportava qualche rischio, dava loro anche un brivido di nobile ebbrezza.
Secondo Sebastiano Fausto da Longiano, che nel 1551 pubblico un trattato sul duello, la giustizia degli antichi cavalieri era la più perfetta fondata sulla brama dell’onore. Il duello è prodotto della natura, il cavaliere che non antepone una morte onorata a una vita infamata è indegno non ha onore. Solo ai cavalieri spetta la bella morte.
Tuttavia il duello costituì un collante fra i ranghi della nobiltà e per «rafforzare il loro senso di appartenenza a una stessa classe privilegiata». La monarchia, che aumentava il proprio potere, poteva rappresentare un ideale punto d’incontro comune; i nobili di rango più alto, così lungamente riottosi nell’accettarne il controllo, continuando a rivendicare il diritto al duello, davano una dimostrazione simbolica di non aver ancora rinunciato al loro spirito indipendente.
Il sangue blu era indivisibile, e se i nobili poveri insistevano nel lanciare le sfide i grandi non potevano schivarle con dignità, il duello era il segno e il sigillo di un’unità mistica fra livelli superiori e inferiori, era un elemento livellatore. D’altra parte un duca era tenuto ad accettare la sfida di un semplice gentiluomo, poiché, recandogli offesa il duca si era abbassato al suo stesso livello.
Il duello forniva la garanzia di un’educazione aristocratica sempre più minacciata di scomparire; conservava a tutta la classe un carattere militare, certificava la legittima discendenza dalla nobiltà della spada di epoca feudale e il suo titolo a riempire i ranghi degli ufficiali nei nuovi eserciti di massa. Il duello era di per sé asserzione di un diritto superiore, una rivendicazione di immunità dalla legge, cosa che le classi dirigenti cercano sempre di ottenere in qualche modo: sottoporsi alle pastoie e alle catene della legge era comportamento da comuni mortali, mentre per l’uomo di nobili natali era più che naturale porsi al di sopra della legge, poiché lui stesso, in quanto signore, aveva rappresentato la legge sulle sue terre. Il duello costituiva un residuo dell’antico diritto feudale di guerra privata.
Essere pronti a battersi era un dovere perentorio, che, in tempi così bellicosi poteva anche tornare utile, soprattutto ai più poveri che cercavano di farsi ingaggiare come capitani d’armi, ma anche nelle classi superiori. Un cortigiano, ha scritto Castiglione nel suo manuale della vita di corte, deve essere abile nel maneggiare le armi e specialmente quelle armi che vengono più spesso usate dai signori, perché, a parte la possibilità continua delle guerre, c’è quella di essere coinvolto in una rissa.
Fra il 1550 e 1650 venne utilizzata una grande varietà di armi. Il posto d’onore andava però allo stocco, un tipo di spada lunga e pesante, affermatosi soprattutto in Italia e in Spagna, che per essere maneggiato oltre alla destrezza richiedeva anche forza fisica; la lentezza che imponeva deve aver contribuito a permettere l’esecuzione di mosse e passi complicati messi a punto dagli esperti, giusto contrappunto alle complicazioni e ai cavilli del codice d’onore. A volte venivano usati due stocchi, uno in ciascuna mano, ma, più spesso, si combatteva con uno stocco e un pugnale; quest’ultimo fu però abbandonato per permettere al duellante di concentrarsi sulle tecniche della scherma. Gli insegnanti, per lo più italiani, trovavano alunni dappertutto e i «virtuosi» si esibivano, a pagamento, in duelli spettacolari.
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