La situazione dell'infanzia, specchio inesauribile del livello civile e sociale di un paese, era drammatica: nelle case popolari gelide e ammuffite, razziate da topi grossi come gatti, lo svezzamento di un lattante avveniva spartanamente. I piccoli passavano di colpo ai cibi solidi, con gravissime conseguenze per il loro tenero apparato digerente.
Le madri che dormivano con loro spesso li schiacciavano soffocandoli; le fasciature troppo strette li stritolavano; le febbri li consumavano. Agghiacciante come gli scarni diari dei funzionari amministrativi elencassero, in lugubre sequenza, i nomi dei numerosi neonati morti a distanza di uno o due giorni.
La perdita di un bambino non causava grosse tragedie: la loro presenza era tanto effimera che la morte era considerata una calamità quasi inevitabile. Anzi, siccome i neonati accolti nei pii istituti dovevano essere allattati per un anno dalle madri, e queste per di più dovevano sorbirsi l'ulteriore seccatura di allattare anche altri bambini privi di nutrice, aumentava considerevolmente il numero degli infanticidi. Miserabile soluzione di una miserabile esistenza.
Superati gli otto anni, i rischi si riducevano e i bambini si inserivano direttamente nel mondo degli adulti: non esistevano spazi specifici per loro, frequentavano gli stessi ambienti di lavoro e di svago.
Mentre fino ai quattro anni maschi e femmine venivano infagottati nello stesso modo, grembiulini di telaccia se poveri, di velluto e damasco se ricchi, dai cinque in su vestivano esattamente come i genitori: comiche riproduzioni in scala ridotta di dame e cavalieri e, scendendo in basso, di ciabattini, sguattere e muratori.
I figli dei ricchi frequentavano dall'età della ragione istituti esclusivi come il Collegio dei Nobili e quello delle Orsoline. Nelle famiglie patrizie l'apprendimento della lettura avveniva in casa, verso i quattro, cinque anni, sui libri di galateo, che servivano appunto, nel medesimo tempo, ad imparare a leggere e per apprendere le buone maniere. In questi manuali, gli autori insistevano sui doveri dei genitori quanto alla scelta dei collegi, alla sorveglianza negli studi, alla ripetizione delle lezioni. I giovani rampolli imparavano la filosofia, la fisica, l'aritmetica e la geometria, la storia e la geografia, le lingue morte e quelle vive, e le arti d'ornamento, danza, musica, sport.
I coetanei diseredati, se venivano accolti in ospizio, venivano presto messi al lavoro e in qualche ora della giornata venivano istruiti, ma solo in funzione del mestiere che avrebbero svolto: barbieri, sarti, calzolai, ferrai, ramai.A undici anni lavoravano sedici ore al giorno, le bambine venivano collocate prestissimo come serve. Per lorouna rudimentale istruzione era collegata alla scuola di religione che tutte le domeniche li raccoglieva, ripuliva e strigliava, e propinava loro, insieme ai principi del buon cristiano, anche gli elementi fondamentali della scrittura e della contabilità. I maschi che rivelavano particolari doti venivano messi in seminario.
Le materie di insegnamento dipendevano strettamente dalle risorse personali degli istitutori e dai quattrini dei genitori: imparare a leggere costava meno che imparare a scrivere e a fare i conti. Su un migliaio di alunni potenziali, solo trecento andavano a scuola solo trenta erano femmine.
Le stanzette scolastiche erano tetre, i bambini spauriti: se leggevano male uno schiaffo, se si distraevano una bacchettata, se facevano baccano una frustata. Neanche l'ombra di un Benjamin Spock che scatenerà complessi di colpa nelle genitrici dell'ultimo scorcio del XX secolo.
C'era poi un'altra schiera di infelici maschietti: quella destinata ai cori delle voci bianche. Entrare in una scuola di musica era considerato in famiglia un traguardo sociale, ma comportava una barbara menomazione (la stessa dei capponi da ingrasso). Ci voleva il consenso dei genitori i quali erano ben lieti di concederlo, indifferenti a drammi così trascurabili.
Diffusa, nelle famiglie patrizie, la pratica di far monacare i figli cadetti e in particolar modo le femmine. Era questo il diritto di maggiorascato secondo cui l'intera eredità toccava al primogenito, continuatore del nome.
Con la pubblicazione dell'Emile ou de l'éducation, romanzo di Rousseau del 1762 molto cambiò circa i metodi pedagogici. L'opera fu apprezzata per la vigorosa affermazione della personalità che deve liberamente espandersi, e spontaneamente maturare al contatto con le cose. Le novità contenute nel libro furono accolte con entusiasmo a volte eccessivo dai contemporanei che volevano applicarne il programma di studio alla lettera, nonostante le raccomandazioni, in contrario dello stesso Rousseau.
Giochi e giocattoli
I giocattoli, sia costituiti da riproduzioni in scala ridotta e più o meno accurate di oggetti reali o di esseri viventi, sia da oggetti escogitati semplicemente in funzione del gioco, sono di origine assai antica.
Ma come giocavano i bambini nel Seicento e nel Settecento?
Certi giochi e giocattoli in voga nel XVII secolo, come la palla, le piastrelle, i dadi, le biglie, erano noti fin dall'antichità. I bambini giocavano al volano, al cerchio, all'aquilone, allo yo-yo, alla trottola.
Diffusi i giochi detti di società come lo sciarade e proverbi muti, il passa l'anello, le ombre cinesi e la pentolaccia, moscacieca e nascondino.
Innumerevoli erano i giochi effettuati con la palla (gioco antichissimo, per la prima volta menzionato espressamente da Omero nell'Odissea nell'episodio di Nausicaa).
La palla, o sfera, era fatta con pelli animali disseccate e riempite di lana o piume e, anche, ma in modo assai rudimentale, d'aria. Galeno raccomandava nei suoi trattati di medicina il frequente esercizio con questo gioco per l'igiene e l'armonia del corpo.
Tra i tanti giochi con la palla in voga in epoca barocca si ricordano la “palla avvelenata”, la “palla in circolo”, la “palla prigioniera”, “la palla vipera”; la pallamaglio e la pallamano, sport che richiedono agilità e destrezza, erano praticati da piccoli e grandi.
Con slitte speciali, durante i mesi invernali, i bambini si procuravano in anticipo sui tempi i brividi delle montagne russe.
Il gioco della campana, ancora oggi molto noto, era uno dei passatempi preferiti tra i bambini di ogni ceto.
Vi erano anche passatempi educativi: il gioco delle favole, per imparare la mitologia; il gioco della storia e della geografia con grandi cartelli variopinti, illustrati con ogni specie di animali e paesaggi esotici.
Per le bambine c'era ovviamente la bambola, di pezza, di legno, di cera e terracotta.
Le bambole principesche, coi loro costumi stupendi, davano l'impressione di manichini abbigliati piuttosto che di giocattoli. A partire dal XVII secolo apparvero bambole vestite all'ultima moda, che servivano sia da giocattolo per le bambine sia da manichino pubblicitario per le sarte e le modiste: nei salotti delle preziose venivano agghindate di tutto punto due bambole, la Grande e la Piccola Pandora , che diffusero nell'intera Europa il verbo della moda parigina.
Fin dal XV secolo si conoscevano serie complete di riproduzioni in miniatura di oggetti domestici, analoghe a quelle che nei secoli successivi serviranno alla realizzazione di modelli di interni di abitazione, le cosiddette “case di bambola”, particolarmente diffuse nei paesi anglosassoni.
I giocattoli preferiti dai maschi, in tutti i tempi attirati dalle armi, erano le spade, i tamburi e i soldatini. Già nel medioevo erano particolarmente apprezzati i giocattoli ispirati alla vita militare. Iniziarono così a comparire i primi soldatini di piombo, che furono introdotti relativamente presto su scala industriale (a Norimberga a partire dal XVIII secolo), e i primi bastoni con la testa di cavallo. Sappiamo che il piccolo Luigi XIV giocava alla guerra attorno ad un forte in miniatura per acquisire nozioni di strategia.
Nel Seicento comparve il “cavallo a dondolo”; nel Settecento si affermarono i primi giocattoli scientifici, come la lanterna magica e il diavoletto di Cartesio.
Antichissimo l'aquilone, o cervo volante, utilizzato come passatempo anche dagli adulti: Benjamin Franklin nel 1742 lo impiegò per i suoi studi sull'elettricità atmosferica.
Amatissimo il gioco del Volano simile al badminton consistente nel lanciarsi vicendevolmente, con una racchetta o un tamburello, una mezza sfera di sughero (volante o volano) con infisse alcune penne, evitando di farle toccare terra.
Infine, come passatempo prediletto dai bimbi di ogni ceto, non mancava quello delle bolle di sapone come testimoniano molti dipinti dei secoli XVII e XVIII.
Con lo sviluppo delle scienze pedagogiche anche i giocattoli subirono un'evoluzione: si diffusero così giochi più istruttivi come cubi e altri solidi geometrici, incastri, costruzioni più o meno complesse, serie di arnesi per lavori in legno e simili e attrezzature per compiere esperienze di chimica e fisica.