L’idea del governo come arte, pur essendo tipicamente rinascimentale, continuò a rimanere al centro della scena fino alla metà del XVII secolo. La gestione dello Stato era ritenuta una scienza e in quanto tale prìncipi e ministri dovevano istruirsi ed apprendere l’arte del governare.
Il ruolo dello statista presuppone uno Stato nazione, ma nell’Europa barocca lo Stato moderno esisteva appena.
Francia, Spagna, Italia e Germania non erano realtà ma concetti, definiti da incerti confini geografici. In altre parole il temine nazione c’era ma aveva valore al massimo come sentimento patriottico. Ma questo sentimento non significava sempre fedeltà.
Per lo statista dell’età barocca, il sentimento patriottico aveva di fatto minor valore che una ferma lealtà alla monarchia.
Agli statisti era più congeniale l’idea di popolo. Olivares affermava che “è sempre importante prestare attenzione alla voce del popolo”. Tuttavia i politici concordavano sul fatto che il popolo non dovesse aver voce in politica.
Caratteristica fondamentale dei maggiori statisti dell’età barocca era l’assoluta coincidenza dei loro interessi con quelli del principe, che per loro ero lo Stato. Il principe era considerato il fondamento dello Stato e di conseguenza lo statista era semplicemente un servitore del principe.
Mazzarino costituisce un eccezionale esempio di fedeltà alla corona: la sua fedeltà a Luigi XIV non aveva confini.
Il modello teorico degli uomini di Stato dell’età barocca era l’assolutismo che in apparenza non riguardava i ministri dello Stato, ma in pratica erano questi a sostenerlo.
In quanto conservatori gli statisti avevano una visione molto ristretta dei diritti e della libertà. La politica estera era il campo d’azione che re e ministri ritenevano loro suprema specialità, il supremo esercizio del potere. Nel periodo barocco oltre i tre quarti delle entrate dello Stato venivano normalmente spesi per la guerra ed inevitabilmente la politica estera attraeva la primaria attenzione dello statista.
La politica interna si riduceva essenzialmente al mantenimento della legge e dell’ordine. Lo statista doveva avere spalle larghe per sopportare le critiche e dunque doveva essere tollerante.
Non si può non essere impressionati dalla operosità di questi uomini di stato, costretti a occuparsi personalmente anche del minimo affare di governo e quindi soggetti a soffrire di sovraccarico di lavoro e depressione.
Tutti i maggiori statisti dell’epoca ebbero un buona istruzione: Cromwell, Olivares, de Witt. Richelieu non diede mai molta importanza all’istruzione. Per lui i requisiti d’una statista erano: “mente salda, giudizio fermo, una ragionevole dimestichezza con la letteratura, la generale conoscenza della storia e dell’organizzazione degli Stati di tutto il mondo e specialmente della propria patria”.