Con il Concilio di Trento si ebbe una svolta decisiva riguardo ai monasteri femminili. Con l’imposizione della clausura prenderanno a definirsi quegli aspetti che connoteranno la vita delle comunità religiose. La figura della religiosa dell’età barocca è ricca di contrasti esterni ma anche di contrasti interni: tra le religiose professe, che l’ origine sociale circondava di prestigio, e le converse più povere, in una gerarchia di valori che tendeva fortemente a riprodurre nel monastero quelli del secolo; oppure tra chi era disposta ad accettare le riforme e chi ad esse si opponeva.
Pesanti furono le conseguenze della clausura. Era una forma di incarcerazione, la cui violenza fu avvertita non solo da chi, come le monache, dovette subirla ma anche da chi, come parenti e familari, con le loro proteste non mancò di reagire. Le porte siano perpetuamente serrate ne s’aprano mai se non nei casi di precisa necessità.” “…con due catenacci, e due chiavi, l’una di fuora e l’altra di dentro.
la grata del parlatorio si faccia più stretta affinchè le monache non possino in alcuna maniera stendere il braccio verso le grati di fuora, e toccar le mani, dita o altro di persona che stia fuori del monasterio.
Il controllo divenne accurato innanzi tutto sulle presenze e sui rapporti con il monastero di quelle persone che ad esso potevano far capo: personale ecclesiastico, personaggi di rango spesso in visita, donne accolte in caso di gravi calamità, addetti alla manutenzone del convento, musici.
Molto tempo, nel convento, era dedicato ovviamente alla preghiera, alle letture, alla pratica sacramentale, agli esercizi spirituali. La preghiera era interrotta dalle ore di lavoro manuale e domestico, dai pasti e dai momenti di ricreazione e da forme più aperte ai richiami mondani, comela musica e la pittura. Il lavoro era elemento importante perché strumento per fuggire all’ozio. Le monache si dedicavano al ricamo, alla preparazione di dolci e confetture, sciroppi, medicamenti e pomate. Famoso l’unguento di Mère Agnès de Sainte Thècle, zia di Racine, che veniva venduto a Port- Royal.
Il silenzio, le parole sommesse, i gesti misurati e discreti dovevano dominare sovrani. Alla base di tutta questa larga opera di controllo, v’era l’idea dominante, maschile e clericale, della debolezza e della fragilità della donna. La clausura poteva annullare o sublimare i ricordi, i desideri, i rimpianti. Tali sentimenti venivano esaltati dalla solitudine traducendosi nella ossessione o addirittura nella possessione diabolica. Non è un caso che nella prima metà del seicento si assista ad una vera e propria epidemia di possessioni diaboliche come ad esempio il caso delle orsoline di Loudun.
Le monache si sottoponevano a prolungati periodi di astinenze e di digiuni, sino all’anoressia, penitenze, flagellazioni, e segrete torture come il cilicio, le camicie di crine o abiti pieni di spini. Nella solitudine e nella umiliazione del corpo emergono con forza le esperienze mistiche: visioni, nozze mistiche, transverberazioni, stimmate. Ne sono un esempio la beata Maria Maddalena Mertinengo, santa Veronica Giuliani.
Lo stato monastico acuiva i sentimenti della religiosa nei confronti della famiglia d’origine, fossero di amara denunzia come negli scritti di suor Arcangela Tarabotti o dolci e colloquiali come nel caso di suor Maria Celeste Galilei nelle lettere al suo grande genitore.
Figure colte di scorcio, queste, tra le religiose del Seicento. Alcune sacrificate dalle strategie familiari come suor Virginia Maria de Leyva (la monaca di Monza) vissuta reclusa per 13 anni, ricevendo da una piccola apertura quel pò di cibo che le era consentito e un filo di luce per la lettura dell’uffizio, a espiazione della condanna inflittale per la sua relazione delittuosa con Paolo Osio. Il Ripamonti la descrisse come “una vecchia ricurva, emaciata, magra, veneranda: a vederla si crederebbe a malapena che un tempo abbia potuto essere bella e spudorata.
All’immagine della monaca barocca, disfatta dalle penitenze e sublimata nelle sue visioni di Dio, o della religiosa ribelle alla imposizione forzata della monacazione, darà voce la denunzia appassionata di “La religieuse” di Diderot.