Spesso le conquiste e gli oggetti della nostra civiltà sono opera di persone che fecero la storia rimanendo misconosciuti: William Petty è uno di questi personaggi.
La biografa Alexandra Lapierre in un recente romanzo edito da Mondadori, Vita straordinaria di William Petty, ci racconta la vita di un uomo che, dedito alla ricerca di oggetti d’arte, ha consegnato alla storia straordinarie opere del suo tempo ma anche rari e importanti manufatti dell’età romana e greca, sottraendoli alla rovina del tempo e degli uomini.
Un erudito ecclesiastico di umili origini
William Petty nasce nel 1587 nella contea di Westmorland, in un villaggio tra Inghilterra e Scozia. Di umili origini, presto si distingue per le sue capacità intellettuali; dopo anni di studio, in una situazione personale e politica molto difficile nella sua terra natale, grazie al suo precettore ottiene l’opportunità di studiare a Cambridge divenendo un erudito ecclesiastico.
Per una persona di umili origini, le possibilità di farsi una posizione nella carriera ecclesiastica erano rare nell’Inghilterra di quel periodo, travagliata da guerre civili e sanguinosi capovolgimenti dinastici: masse di predoni armati giravano alla ricerca di facili bottini scagliandosi contro i villaggi al confine della Scozia, tra cui il villaggio dello stesso Petty. In questa difficile situazione pochi maestri di scuola con i loro studenti strappavano ore al lavoro per studiare latino, matematica e storia, andando alle rovine del vicino Vallo di Adriano per compiere scavi archeologici nel tentativo di salvare reperti e riscoprire la storia millenaria dell’antica Roma in terra inglese.
Al servizio dei conti di Arundel
La passione per l’antichità, per lo studio e per l’avventura spinge William a lasciare il comando, che aveva ottenuto dopo il dottorato, della comunità del paese di Beverley, nello Yorkshire, per diventare precettore presso una delle famiglie più potenti d’Inghilterra: i conti di Arundel.
Nonostante le doti intellettive e i brillanti risultati accademici, le umili origini (non essendo né nobile né gentleman) lo relegano però a un ruolo di secondo piano presso i suoi padroni. In quegli anni studia in modo approfondito l’arte, imparando dalla collezione di Thomas Howard Lord Arundel e della moglie, la contessa Lady Arundel.
Una carriera di agente d’arte
In quel periodo la Gran Bretagna non si era ancora riunificata, e nella lotta per il potere si scontravano opposte fazioni sia per motivi dinastici che religiosi; le diverse casate si contendevano acrementente le simpatie dei re e le rendite nobiliari; ad ogni morte o successione reale il destino poteva cambiare repentinamente. In questi giochi di potere era vitale accrescere il proprio prestigio: uno dei possibili modi, a tal scopo, era quello di comprare oggetti d’arte arricchendo le proprie gallerie private.
In quegli anni William vive da protagonista l’antagonismo tra il conte Arundel e il duca di Buckingham. Durante un viaggio a Venezia a seguito della contessa Arundel Petty riesce a sfruttare il suo gusto e le sue conoscenze in materia d’arte per costruirsi una ottima reputazione come agente d’arte, procurando ai suoi padroni eccellenti opere di maestri italiani, quali Giorgione, Tiziano e Tintoretto.
Per anni scruta le cantine e le soffitte di conventi e monasteri, visita case di nobili in decadenza e, grazie a una particolare scaltrezza e fiuto negli affari, arricchisce il conte Arundel di opere straordinarie. William era un vero amante dell’arte, della bellezza e della libertà. Un godereccio dei suoi tempi, a cui piaceva la bella vita e i suoi succosi frutti, un viveur sempre in cerca di avventure galanti. Serviva fedelmente il suo padrone ma amava la libertà, quella libertà che la sua origine non gli avrebbe mai permesso.
Il soggiorno nell’Impero Ottomano
Spinto dall’amore per l’arte del passato (ed anche per allontanarsi dai padroni londinesi) ottiene di recarsi in oriente per cercare antiche vestigia del mondo greco nell’Impero Ottomano. Per otto anni viaggia tra mille pericoli e difficoltà tra Smirne e Costantinopoli, e poi Atene, il monte Athos e le isole del Peloponneso, setacciando anche i campi per scovare statue, busti, capitelli, bassorilievi e manoscritti delle antiche civiltà.
Agli inizi del Seicento l’Impero Ottomano era ancora nel pieno delle sue forze e la situazione politica con l’occidente cristiano era sempre critica: mercanteggiare con i mufti, gli agatha e gli imam, pronti a scagliare i “giannizzeri” con le sciabole in pugno, non era uno scherzo. La fortuna di William era la grande maestria imparata a Venezia dell’arte della persuasione e nel caso dell’impero della mezza Luna la corruzione dei potenti. Il problema non era solo riuscire a corrompere gli ottomani, ma anche destreggiarsi tra gli antagonismi dei gesuiti cattolici francesi, preti ortodossi ed anglicani, sia nel proselitismo sia nel collezionismo di opere d’arte. Era indispensabile essere scaltri, diffidare di tutti, saper corrompere per ricavare informazioni utili. Anche dal punto di vista tecnico le difficoltà da superare erano enormi: si navigava solo a vela, le strade erano scarse e in pessime condizioni, soprattutto tra i monti, la corrispondenza lentissima e c’era anche il pericolo dei predoni.
Nonostante mille avversità, William resta fedele al suo padrone in un tempo dove era facile arricchirsi e sparire senza lasciar traccia. Riesce così ad arricchire l’Inghilterra di pezzi rarissimi strappandoli alla terra e alla cieca ignoranza dei mussulmani, che in nome di Allah completavano l’orribile barbarie degli iconoclasti cristiani.
Ritorno in Patria e soggiorno in Italia
Dopo otto anni di avventure tra Atene, Smirne e Costantinopoli ritorna in patria dal suo padrone conte Arundel che, nel frattempo, ha la meglio sulla scena politica dopo la morte di Buckingam, e si riappropria della libertà e dei suoi averi. I rapporti tra i due uomini però non saranno più quelli del primo decennio, William non sopporta più di “stare in gabbia” al servizio del padrone e il Conte Arundel non può permettersi di perderlo e mandarlo al servizio di altri collezionisti. Fino alla morte William continua il suo lavoro di ricerca, soprattutto in Italia, lontano dalla madre patria, dando raramente notizie di sé ma continuando a offrire i suoi preziosi servigi al padrone. Nel Bel Paese William, amante dei piaceri e delle belle donne, si trova a suo agio. Famoso donnaiolo pare abbia avuto anche una relazione con una donna della famiglia Giustiniani. Anche i potenti d’Italia lo conoscono, come il Doge ed il Cardinal Francesco Barberini e tra le loro gambe razzia di tutto. E’ il primo a interessarsi ai bozzetti preparatori dei pittori del rinascimento acquistando collezioni di disegni, a matita, a grafite e a punta secca. Decine di schizzi di Leonardo da Vinci e Michelangelo così come il “Gabinetto di Daniel Nys” sono le ultime prede del reverendo Petty.
La fine di un grande amante dell’arte e dell’avventura
Nel 1639 il Wiliam Petty si spegne nella sua patria, in quella comunità da dove era partito decenni prima in cerca di avventure. Il testamento è una sorpresa per il Conte Arundel, poiché la grande ricchezza guadagnata dal suo servo viene destinata ai poveri del suo villaggio, mentre la consuetudine voleva che un domestico lasciasse parte dei beni al proprio benefattore. I tesori di cui l’Inghilterra si era arricchita però non durarono molto: una volta giunti al potere i puritani, dispregiatori dell’arte, fanatici ed indifferenti lasciarono disperdere il patrimonio e le stupende collezioni di opere d’arti e reperti. Anche i Conti Arundel subiscono l’avverso destino del nuovo corso, il Conte Arundel finisce i suoi giorni in Italia morendo nel 1646 a Padova. Le sue viscere murate risiedono ancora nel chiostro della Magnolia della basilica di Sant’Antonio a Padova.